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RSA
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Lettera 
6 aprile 2009 0:00
 
Il caso che vi sottopongo è di un'anziana ultrasettantacinquenne che è stata accolta in una Rsa da tre mesi perché sottoposta a violenze ed estorsioni da parte della figlia convivente con problemi psichici (riconosciuta invalida al 75%, ma che rifiuta ogni cura) e con problemi di tossicodipendenza. La signora ha una pensione di 650 euro al mese (decurtata di un terzo per un prestito chiesto alcuni anni fa) ed è proprietaria di un terzo dell'abitazione dove vive con la figlia. Il comune che partecipa da tre mesi al pagamento di metà della retta della Rsa, in attesa che il Sert e il Csm intervengano adeguatamente e che si avvii l'iter giudiziario in seguito alle denunce presentate, chiede ad una seconda figlia che vive da sola (nucleo famigliare a se stante), in un'altra città lontana, in una casa piccola quindi non adeguata ad ospitare altre persone, e con un reddito appena sufficiente a sé, di farsi carico del pagamento della parte di retta attualmente pagata dal comune. E minaccia, in caso contrario, di rifarsi per vie legali perché, spiega l'assistente sociale di riferimento, l'anziana signora in questione è proprietaria di parte della casa in cui vive con la figlia malata psichica e quindi non ha diritto ad essere assistita gratuitamente. Posso chiedervi se vi sembra legale? Cosa si intende per nucleo familiare, secondo il codice civile? Una figlia che non risulta sullo stato di famiglia del nucleo originario e che non ha nessun tipo di relazione con esso, è tenuta a partecipare alle spese in una condizione di emergenza di questo tipo? Sotto ricatto, la figlia malata ha costretto l'anziana madre a chiedere prestiti a varie finanziarie per un ammontare di alcune decine di migliaia di euro, mettendo così a rischio anche la casa dove le due persone - madre e figlia - vivono, visto che le varie finanziarie sono già ricorse alle vie legali, e questo malgrado alla stipula dei contratti fosse evidente a ciascuna finanziaria (collegate in rete tra loro) che la somma di tutte le rate da pagare superasse di gran lunga la pensione percepita dalla signora. Purtroppo però nessuno ha la disponibilità economica per chiedere l'aiuto di un avvocato. Le istituzioni hanno il dovere di intervenire in una situazione simile? Quale istituzione?
Maura, da Roma (RM)

Risposta:
il reddito sulla base del quale computare la retta da pagare e' solo quello della signora, e sara' formulato aggiungendo alla pensione (ed escludendo, se percepita, l'indennita' di accompagnamento) una somma per l'abitazione in comproprieta' applicando un coefficiente che qualsiasi CAF (centro di assistenza fiscale) puo' computare. E' indispensabile rivolgersi a questo punto ad un legale, anche tramite il gratuito patrocinio:
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