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 U.E. - U.E. - La Ue e i fondi per la ricerca sulle cellule staminali
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Comunicato 
17 maggio 2002 14:32
 
RICERCA SULLE CELLULE STAMINALI
IL PARLAMENTO EUROPEO STANZIA I FONDI MA NON STABILISCE LA LIBERTA' DI RICERCA SU TUTTO IL SUO TERRITORIO. ANZI! UN INCENTIVO PERCHE' CONTINUI OGGI LA FUGA DI CERVELLI E DI INVESTIMENTI DALL'ITALIA, DOMANI QUELLA DEI MALATI

Firenze, 17 Maggio 2002. L'Unione Europea, grazie al voto del Parlamento Europeo, finanziera', per la prima volta, progetti di ricerca sulle cellule staminali embrionali, pur senza includere la clonazione terapeutica e solo nei Paesi le cui leggi lo consentiranno. La novita' e' costata mesi di negoziazioni in cui era in gioco il VI Programma Quadro di Ricerca, che alla fine e' stato adottato con un investimento globale di 17.500 milioni di euro durante quattro anni. "In Europa ci sono Paesi che consentono la ricerca con le cellule embrionali, e altri no. L'accordo raggiunto dalle istituzioni europee e', quindi, realista. Negare i fondi comunitari a questo tipo di progetti li' dove sono consentiti, sarebbe stato un brutto precedente, una sorta di divieto a livello europeo, che avrebbe potuto essere applicato a qualunque altro ambito, come il nucleare, per esempio": queste le parole del socialista francese Gerard Cuadrom. Questo significa che con i fondi comunitari (quindi anche quelli dei Paesi in cui queste ricerche sono vietate) si finanzieranno i progetti negli altri Paesi comunitari. I Paesi piu' reticenti in materia (Germania, Irlanda, Austria e Italia) hanno comunque accettato questo principio. La Gran Bretagna e' il Paese piu' avanti in materia, mentre la Francia e' a meta' delle due estreme posizioni.
Interviene il presidente dell'Aduc, Vincenzo Donvito.
E' questo il prezzo da pagare per la ricerca scientifica e per la speranza di salvare milioni di vite umane grazie alle potenzialita' d'uso delle cellule staminali? Cioe' la conferma dell'Europa delle Nazioni a dispetto di quella degli Stati Uniti d'Europa? L'esaltazione del ruolo di forziere della Comunita' con la presa d'atto delle differenze, piuttosto che il riconoscimento della giustezza di una politica e l'apertura a chiunque, EUROPEO, per l'accesso a questi fondi? Sembra proprio di si'! Perche' i fondi non sono a disposizione di chiunque (privato o pubblico che sia) ma di coloro la cui legislazione nazionale consente di operare in materia. Quindi se una azienda italiana volesse investire su queste ricerche, non potrebbe farlo, perche' la legge italiana glielo impedirebbe; al massimo potrebbe impegnare i suoi cervelli e i suoi fondi aprendo una sua filiale in Gran Bretagna o -forse piu' fattibile- partecipando in societa' con una azienda britannica su un progetto che sottosta' al diritto britannico. Ci sembra un ottimo canale per favorire la continuita' del flusso di cervelli e investimenti verso l'estero, con tanto di imprimatur della Ue.
Se questo e' il prezzo da pagare, ne prendiamo atto. Meglio che una azienda britannica o spagnola abbia questo fondi e sviluppi la ricerca che non gravare solo -com'e' oggi- sui fondi pubblici del Governo britannico per la ricerca britannica. Presumibilmente -grazie alla nuova disponibilita' economica- potremo organizzare prima del previsto i viaggi della speranza verso la Gran Bretagna o la Spagna (dove gia' oggi c'e' un afflusso notevole essenzialmente dalla Germania).
E noi che credevamo nell'Europa e nella sua potenza di unire anche nella possibilita' della ricerca scientifica. Prendiamo atto, invece, del suo "divide et impera".
Ma l'euro che abbiamo in tasca, a che serve, oltre ad averci fatto aumentare i prezzi di molti beni e prodotti e a complicarci i calcoli quotidiani? Non doveva essere la premessa di qualcos'altro? Se questo qualcos'altro e' che ognuno continua ad essere soggetto ad un potere -quello nazionale- che e' la negazione di quello europeo, e che per essere liberi di ricercare si debba andare li' -altra nazione- dove questa liberta' c'e', perche' in EUROPA non e' prevista una "liberta' europea"..
 
 
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