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CONSERVAZIONE SANGUE CORDONE OMBELICALE. E' IL MOMENTO DELL'ABROGAZIONE DEL DIVIETO PER LE BANCHE PRIVATE: PER LA SCIENZA E PER LA SALUTE
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Comunicato 
10 maggio 2006 0:00
 

Firenze, 10 Maggio 2006. Sulla Gazzetta Ufficiale di oggi e' stata pubblicata l'ordinanza del ministero della Salute che regola la conservazione delle cellule staminali da cordone ombelicale. Il provvedimento "vieta l'istituzione di banche per la conservazione di sangue da cordone ombelicale presso strutture sanitarie private anche accreditate ed ogni forma di pubblicita' alle stesse connesse". Nel contempo apre alla conservazione " per uso autologo o dedicato a consanguineo con patologia in atto, ove si renda necessario, e' consentita previa presentazione di motivata documentazione clinico-sanitaria, e non comporta oneri a carico del donatore".
Se quest'ultima apertura e' un passo in avanti rispetto alla totale chiusura che vigeva fino ad oggi, i limiti di questo provvedimento sono talmente tali e tanti, che crediamo sia giunto il momento di prendere in seria considerazione la sua abrogazione in toto, sia dia questa apertura all'autologa che del divieto per le banche private.
Sara' bene ricordare, per capire l'importanza di cio' di cui stiamo parlando, che quello del cordone ombelicale e' un sangue ricco di cellule staminali utili per combattere malattie del sangue stesso, con capacita' di rigenerazione tissutale nel caso di, per esempio, leucemia, anemia e talassemia.
Perche' abrogare il tutto?
1 - L'apertura all'uso autologo, cosi' come decisa, e' un grosso limite alle innovazioni della ricerca scientifica: un settore in continua evoluzione che potrebbe scoprire altri usi di questo sangue per altre patologie, non indicate nelle motivazioni del deposito autologo; oppure il deposito autologo non sarebbe deciso perche' non ancora conosciuto l'uso per patologie non considerate guaribili in quel momento.
2 - il divieto per le banche private, visto il flop registrato in questi anni da quelle pubbliche (donare il sangue del cordone e' una sorta di impresa titanica in non poche regioni italiane), significa solo impedire di fatto la diffusione di questa pratica, a maggior ragione dopo che siamo usciti da quella situazione precedente che consentiva solo la donazione "altruista" (il che fa presupporre una maggiore disponibilita' alla conservazione da parte delle partorienti).
Quello che chiediamo non e' una decisione stellare, ma cio' che di fatto succede gia' in diversi Paesi Ue, negli Usa e nel resto del mondo. Si tratta solo di decidere se questa concreta possibilita' di curare malattie genetiche altrimenti impossibili, debba continuare ad essere solo un tentativo da esperire in strutture ospedaliere al di fuori dei nostri confini nazionali, oppure una buona possibilita' per usare cervelli e strutture italiane che ne sarebbero benissimo all'altezza.

Vincenzo Donvito, presidente Aduc

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