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 USA - USA - Usa. Molti i medici non disposti ad interrompere cure di sostentamento vitale
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Notizia 
16 marzo 2006 0:00
 
Quanto i medici si sentono di aderire alle scelte dei pazienti nel momento in cui questi richiedono l'interruzione di una terapia in grado di garantire la sopravvivenza? Un'indagine condotta tra medici internisti statunitensi e pubblicata sugli Archives of Internal Medicine mostra che una larga percentuale di internisti sarebbe contraria a soddisfare il volere di un paziente terminale che richiede l'interruzione di un trattamento salvavita. Questo nonostante negli Stati Uniti, oltre all'obbligo morale di continuare o interrompere un trattamento quando desiderato dal paziente, ci sia anche un imperativo legale che obbliga i medici a comportarsi di conseguenza.
Per portare a termine il loro lavoro i ricercatori hanno condotto un'indagine incrociata attraverso un questionario sottoposto tramite posta elettronica, coinvolgendo 100 medici internisti selezionati in modo randomizzato attraverso i file dell'American Medical Association. Il campione era composto per lo piu' da uomini, dell'eta' media di 49 anni, coniugati e inseriti in contesti urbani e suburbani. Ai partecipanti e' stato chiesto di dire se avrebbero proseguito o interrotto il trattamento, secondo il volere del paziente, in 32 ipotetiche situazioni. Di ogni situazione erano forniti i seguenti dati: l'eventuale trattamento da interrompere, la capacita' del paziente di prendere decisioni in piena coscienza, le condizioni del paziente (malato terminale o tetraplegico). I medici dovevano dare per assunto che il trattamento era fondamentale per la sopravvivenza del paziente, che il paziente o i tutori non erano in stato di depressione e che la decisione era stata chiaramente espressa.
Solo il 41 per cento del campione ha risposto al questionario. Di questi il 49 per cento sarebbe riluttante a interrompere o proseguire il trattamento in almeno un caso mentre il 51 per cento sarebbe ben disposto. In sostanza i medici contattati si sono divisi a meta' e cioe' in coloro che hanno risposto che proseguirebbero la terapia in 14 di 16 scenari e coloro che la interromperebbero in 13,7 su 16. Il tipo di trattamento ha una certa influenza sulla risposta dei medici. tanto che dei 32 scenari iniziali solo per 16 i medici sono stati in grado di esprimere un giudizio. Per esempio nel caso di nutrizione artificiale interromperebbero o continuerebbero il trattamento in 6,6 casi su 8 e in 6,7 su 8 in caso di antibiotici, mentre le percentuali salgono a 7,1 e 7,3 su 8 nei casi, rispettivamente, di ventilazione e dialisi. I partecipanti sarebbero meno propensi a interrompere o proseguire il trattamento nei casi di malati non terminali (12,9 di 16 casi) rispetto a malati terminali (14,9 di 16) o affetti da demenza (14,5 di 16).
La conclusione alla quale arrivano gli autori e' che in ogni caso i medici, durante il loro percorso professionale dovrebbero essere istruiti riguardo agli obblighi etici e legali nell'aderenza alla volonta' del paziente.
(Il Pensiero Scientifico Editore)
 
 
 
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Quanto i medici si sentono di aderire alle scelte dei pazienti nel momento in cui questi richiedono l'interruzione di una terapia in grado di garantire la sopravvivenza? Un'indagine condotta tra medici internisti statunitensi e pubblicata sugli Archives of Internal Medicine mostra che una larga percentuale di internisti sarebbe contraria a soddisfare il volere di un paziente terminale che richiede l'interruzione di un trattamento salvavita. Questo nonostante negli Stati Uniti, oltre all'obbligo morale di continuare o interrompere un trattamento quando desiderato dal paziente, ci sia anche un imperativo legale che obbliga i medici a comportarsi di conseguenza.
Per portare a termine il loro lavoro i ricercatori hanno condotto un'indagine incrociata attraverso un questionario sottoposto tramite posta elettronica, coinvolgendo 100 medici internisti selezionati in modo randomizzato attraverso i file dell'American Medical Association. Il campione era composto per lo piu' da uomini, dell'eta' media di 49 anni, coniugati e inseriti in contesti urbani e suburbani. Ai partecipanti e' stato chiesto di dire se avrebbero proseguito o interrotto il trattamento, secondo il volere del paziente, in 32 ipotetiche situazioni. Di ogni situazione erano forniti i seguenti dati: l'eventuale trattamento da interrompere, la capacita' del paziente di prendere decisioni in piena coscienza, le condizioni del paziente (malato terminale o tetraplegico). I medici dovevano dare per assunto che il trattamento era fondamentale per la sopravvivenza del paziente, che il paziente o i tutori non erano in stato di depressione e che la decisione era stata chiaramente espressa.
Solo il 41 per cento del campione ha risposto al questionario. Di questi il 49 per cento sarebbe riluttante a interrompere o proseguire il trattamento in almeno un caso mentre il 51 per cento sarebbe ben disposto. In sostanza i medici contattati si sono divisi a meta' e cioe' in coloro che hanno risposto che proseguirebbero la terapia in 14 di 16 scenari e coloro che la interromperebbero in 13,7 su 16. Il tipo di trattamento ha una certa influenza sulla risposta dei medici. tanto che dei 32 scenari iniziali solo per 16 i medici sono stati in grado di esprimere un giudizio. Per esempio nel caso di nutrizione artificiale interromperebbero o continuerebbero il trattamento in 6,6 casi su 8 e in 6,7 su 8 in caso di antibiotici, mentre le percentuali salgono a 7,1 e 7,3 su 8 nei casi, rispettivamente, di ventilazione e dialisi. I partecipanti sarebbero meno propensi a interrompere o proseguire il trattamento nei casi di malati non terminali (12,9 di 16 casi) rispetto a malati terminali (14,9 di 16) o affetti da demenza (14,5 di 16).
La conclusione alla quale arrivano gli autori e' che in ogni caso i medici, durante il loro percorso professionale dovrebbero essere istruiti riguardo agli obblighi etici e legali nell'aderenza alla volonta' del paziente.
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