Che
il 74% degli italiani sia favorevole alla legalizzazione dell’eutanasia è una novità solo per chi ha sempre ignorato il tema o lo ha trattato superficialmente.
Sono ormai più di dieci anni che la stragrande maggioranza degli italiani, cattolici e non, chiede la legalizzazione dell’eutanasia, che altro non è che la rivendicazione della libertà di decidere sul proprio corpo quando la sofferenza diventa insopportabile.
Ci vuole il coraggio di Cittadini come Fabiano Antoniani e Marco Cappato per ricordarcelo. Il primo rende pubblici la sua storia e il suo corpo quando avrebbe potuto ottenere l’eutanasia clandestinamente; il secondo lo aiuta e si autodenuncia, esponendosi al rischio della galera pur di mettere le Istituzioni di fronte alla loro inerzia.
Ma ancora una volta, sembra che il dibattito politico sia incentrato sulla domanda se sia giusto o meno scegliere di morire. Si tratta di una domanda che non dovrebbe mai essere posta dalla politica in una democrazia liberale, idealmente fondata sulla protezione delle libertà individuali, ma lasciata interamente alla coscienza dell’individuo. Dare una risposta per legge a questa domanda, come ancora oggi fa il codice penale (anche noto come codice Rocco, dal nome del suo principale estensore, il Guardasigilli Alfredo Rocco del governo Mussolini), significa sopprimere un enorme spazio di libertà individuale che incide e inciderà sulla carne viva di ognuno di noi.
In democrazia, la prima domanda che la politica dovrebbe porsi è la seguente: è compito dello Stato decidere se, quando e come ognuno di noi può o non può morire?
La risposta dovrebbe essere ovvia, tanto quanto dovrebbe apparire retorica la domanda.