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ENGLARO. COME PER WELBY, LA MAGISTRATURA IGNORA LA COSTITUZIONE E LA CULTURA GIURIDICA DEL NOSTRO PAESE
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Comunicato 
18 dicembre 2006 0:00
 

Firenze, 18 Dicembre 2006. Dopo l'ordinanza del Tribunale di Roma in cui si nega di fatto il diritto costituzionale all'autodeterminazione terapeutica di Piergiorgio Welby, la Corte d'Appello di Milano ha rigettato la richiesta di sospensione dei trattamenti vitali che mantengono Eluana Englaro in stato vegetativo permanente. Secondo le prime informazione, la Corte avrebbe motivato la sua decisione affermando che le cure a cui e' sottoposta la Englaro da 14 anni non costituiscono accanimento terapeutico.
Siamo, come nel caso Welby, di fronte nuovamente alla delegittimazione della volonta' individuale. Infatti i giudici non sembrano essersi espressi in merito alla effettiva volonta' della stessa Englaro e di chi legalmente ne porta la testimonianza (tutore, prototutore, etc.), ma sulla definizione di accanimento terapeutico. Come se l'accanimento terapeutico non fosse, insieme alla dignita', un concetto strettamente individuale piuttosto che una categoria oggettiva.
Questa decisione purtroppo non ci sorprende. Se la liberta' individuale costituzionalmente protetta e' stata ignorata nel caso di una persona cosciente e lucida come Welby, figurarsi se poteva essere presa in considerazione per una donna allo stato non senziente.
Alcuni magistrati, contrariamente alla dottrina e alla cultura giuridica di questo Paese, continuano a calpestare la liberta' di ogni individuo, imponendogli trattamenti sanitari indesiderati. Sostituendosi alla volonta' individuale, invece di imporne il rispetto, questi magistrati compiono atti incostituzionali che ci auguriamo altri magistrati vogliano sanzionare.

Pietro Yates Moretti, consigliere Aduc e responsabile del notiziario "Vivere & Morire" (www.aduc.it/dyn/eutanasia), dedicato ai temi dell'eutanasia e della liberta' terapeutica
 
 
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