“Gioventù bruciata”, “Droga dei poveri”. Sono i titoli di un quotidiano fiorentino che sembra più attento al presunto “sensazionale” che alla cronaca. Argomento: un quindicenne che viene presentato come frequentemente strafatto di farmaci stupefacenti che al Meyer sembra che abbiano difficoltà a curare/contenere, anche per le sue violente esternazioni. Il mediamente ottimo ospedale fiorentino pediatrico - disarmato - gettandolo come fosse una spugna, ha creduto di trovare la soluzione (Pilato?) chiamando la forza pubblica che - vieni oggi e vieni domani - alla fine se l’è portato nel proprio luogo di “cura”, il carcere, pur se quello cosiddetto attenuato per minorenni. Da cui, pochi giorni dopo è stato rispedito al Meyer. La cronaca ci dice che il ragazzo rischia una denuncia.
A differenza di quanto si narra giornalisticamente, a noi sembra che il consumo di certe sostanze da parte del ragazzo non sia la centralità del fatto riportato, ma il modo per scappare dall'immenso dolore che prova. Altro che “gioventu' bruciata” e “droga dei poveri”, sembra malattia che dovrebbe essere curata. A partire dalla scuola che, impreparata a casi del genere, si lava la coscienza con (quando va bene) uno psicologo una volta al mese e poi - somaro - bocciato e fuori.
Questa tragedia è più frequente di quanto le cronache ci informano. Soprattutto dopo che ai ragazzi (e alle famiglie) è venuta meno la socialità scolastica nel periodo degli isolamenti per Covid. Nell’ospedale fiorentino Meyer - ogni caso diverso dall’altro - ci sono non pochi ragazzi in queste condizioni, ospedale strutturalmente e medicalmente sottodimensionato rispetto alle necessità.
Colpisce, oltre alla narrazione scandalistica e non centrata sul vero problema, la scelta dell'ospedale di liberarsi del problema. Trasformandolo da socio/sanitario in sicurezza/ordine pubblico.
La cessione del problema alla palestra per eccellenza della delinquenza (il carcere), per fortuna del ragazzo e di tutta la società, si è subito interrotta, rispedendo (sì, proprio come fosse un pacco) il ragazzo nella struttura sanitaria e, non si esclude, che lo si faccia ritornare in alcune comunità di recupero, dove il giovane è già stato ospite… comunità quasi mai specializzate: quella che ospita chi scappa da un padre violento e ha solo bisogno di un luogo dove vivere, si mescola con quella per chi soffre di malattie psichiatriche o abuso di sostanze… da cui il via vai ospedale/famiglia o ospedale/carcere.
Non è la prima volta, e crediamo non sarà l’ultima, in cui i problemi sanitari e sociali si “affidano” ai gestori dell’ordine pubblico, e alle carceri. E’ la nota “ultima spiaggia” a cui, spesso, ricorre anche la politica.
In ambito stupefacenti è quotidianità. Dove il tutto è reso ancora più difficile dall’illegalità di molte droghe. Non è matematico che la legalizzazione di certe sostanze possa portare all’affievolimento di fatti come il nostro. Ma è certo che se nell’ambito di vicende come quella del Meyer, non si avesse a che fare con sostanze illegali, gli approcci sanitari e umani sarebbero diversi… per esempio, di fronte alle proprie difficoltà non sarebbe scontato far intervenire la forza pubblica che, come abbiamo visto, non fa altro che rispedire il “pacco” al mittente. Non solo, ma il consumatore di queste sostanze avrebbe a che fare solo col proprio disagio umano e sociale e non anche penale.
Non è facile, e le soluzioni/affievolazioni sono solo a livello individuale, ma è probabile ci sarebbero maggiori possibilità se, in casi del genere, il Meyer di turno, al netto anche delle proprie burocrazie, affrontasse il problema, e fosse messo in condizioni di farlo, solo coi propri strumenti… senza “l’alibi” che, in difficoltà, si chiama la forza pubblica.
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