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 ITALIA - ITALIA - Parere pro veritate su un quesito referendario di abrogazione totale della legge in materia di procreazione medicalmente assistita (l. 19 febbraio 2004, n. 40), di Michele Ainis
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26 marzo 2004 12:00
 
Parere pro veritate su un quesito referendario di abrogazione totale della legge in materia di procreazione medicalmente assistita (l. 19 febbraio 2004, n. 40)
MICHELE AINIS
ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nell'università di Teramo

SOMMARIO: 1. Questioni di metodo. - 2. I criteri di inammissibilità del referendum elaborati dalla giurisprudenza costituzionale. - 3. L'ammissibilità di un referendum totale sulla legge n. 40. - 4. L'ambito della legge sulla procreazione medicalmente assistita e il significato istituzionale della sua abrogazione referendaria.
1. Questioni di metodo. - La valutazione prima facie circa l'ammissibilità di un quesito referendario tendente all'abrogazione totale della legge 19 febbraio 2004, n. 40, va condotta alla stregua di un doppio parametro: a) il parametro normativo, quale risulta dalla lettera dell'art. 75, comma 2, Cost., dove si trovano elencate le ragioni di inammissibilità del referendum; b) il parametro giurisprudenziale, quale si è via via configurato attraverso le numerose pronunzie della Corte costituzionale in questo campo, dalla prima decisione sul divorzio (sentenza n. 10 del 1972) all'ultima sul c.d. "lodo Schifani" (sentenza n. 25 del 2004).
a) La disposizione costituzionale elenca tre distinte cause d'inammissibilità dell'abrogazione popolare: le leggi tributarie e di bilancio; quelle di amnistia e d'indulto; quelle di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. Tali cause d'inammissibilità vanno considerate di stretta interpretazione, e dunque insuscettibili di applicazione analogica al di fuori dei casi testualmente previsti, in base a un triplice argomento: a1) per il linguaggio adoperato dal costituente, poiché l'art. 75 Cost. - a differenza di quasi tutte le altre norme costituzionali - non ricorre a espressioni indeterminate o a "concetti valvola", ma individua in modo univoco e preciso le fattispecie sottratte a referendum; a2) perché le leggi richiamate dall'art. 75 Cost. compongono un elenco particolarmente circoscritto, ancora una volta a differenza di altre disposizioni costituzionali inclusive o preclusive, com'è ad esempio quella contenuta nell'art. 72, comma 4, Cost.; a3) per ragioni generali e sistematiche, derivanti dalla collocazione del referendum nel sistema delle fonti e dal suo legame con il principio della sovranità popolare, di cui costituisce un'espressione tra le più significative, ed anzi forse la maggiore. In altre parole, regola è il referendum, o meglio l'abrogabilità di ogni legge ordinaria dello Stato per effetto di una consultazione popolare; eccezione l'inabrogabilità (G. Silvestri, Il popolo sotto tutela: garanzia formale e criterio di ragionevolezza nella conformazione giurisprudenziale del diritto al referendum, in Aa.Vv., Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, Milano 1998, pagg. 230 ss.; A. Ruggeri e A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino 2001, pag. 392). Da qui un canone ermeneutico che impone la massima cautela ove s'intenda escludere l'ammissibilità di una richiesta di referendum presentata dai soggetti indicati nell'art. 75 Cost.
b) Tuttavia - com'è ampiamente noto - la giurisprudenza costituzionale ha introdotto ulteriori cause d'inammissibilità del referendum abrogativo, a partire dalla sentenza n. 16 del 1978, stabilendo che la richiesta vada rigettata quando essa investa una eterogenea pluralità di disposizioni legislative, carenti di una matrice razionalmente unitaria; o ancora quando la legge sia dotata di "copertura" costituzionale; o infine quando si tratti di disposizioni legislative a contenuto costituzionalmente vincolato, nel senso che esse attuano un precetto della Costituzione nell'unico modo possibile e consentito (T. Martines, Diritto costituzionale, Milano 2000, pag. 327). Tale sentenza ha poi dato la stura a una giurisprudenza quantomai ondivaga ed incerta, spesso contraddittoria, e dunque sostanzialmente imprevedibile nei suoi singoli sviluppi; ciò che peraltro viene ormai riconosciuto da tutta la dottrina costituzionalistica, senza eccezione alcuna (v. in ultimo A. Barbera e A. Morrone, La Repubblica dei referendum, Bologna 2003, pag. 243, nonché R. Bin, Potremmo mai avere sentenze sui referendum del tutto soddisfacenti?, in "Giur. cost.", 2000, pagg. 222 ss.). Ciò nonostante, e benché la richiesta formulata da Marco Cappato miri a ottenere un pronostico "anche a prescindere dalla cosiddetta giurisprudenza evolutiva della Corte costituzionale", questo parere pro veritate si farà carico di misurare l'ammissibilità del futuro referendum sulla fecondazione assistita impiegando sia i comuni canoni ermeneutici, sia gli standard di giudizio che è possibile desumere dalla giurisprudenza costituzionale; difatti un pronostico in astratto risulterebbe assai poco utile a chi l'ha commissionato. D'altronde - come meglio si vedrà più avanti - la giurisprudenza della Corte non è affatto priva d'indicazioni sulla questione che sta al centro del presente parere, ossia sulla possibilità di sottoporre a referendum l'intera legge n. 40; ed anzi l'analisi giurisprudenziale comprova in ultimo la tesi sviluppata nelle pagine che seguono.
2. I criteri di inammissibilità del referendum elaborati dalla giurisprudenza costituzionale. - Pur con la difficoltà d'inquadrare in schemi definiti le mutevoli pronunzie del tribunale costituzionale, le cause ulteriori (rispetto all'art. 75 Cost.) d'inammissibilità del referendum possono distinguersi in tre categorie: a) quelle attinenti all'oggetto del referendum; b) quelle che invece colpiscono gli effetti incostituzionali dell'eventuale abrogazione; c) quelle che riguardano la domanda referendaria, ossia la tecnica di formulazione del quesito. Ai fini del presente parere, rileva specificamente il terzo tipo; ma ciò non elide l'opportunità di spendere qualche rapida osservazione anche sulle prime due categorie d'inammissibilità introdotte dal tribunale costituzionale.
a) Quanto al primo aspetto, la Corte ha proceduto a un'interpretazione estensiva dell'elenco contenuto nell'art. 75 Cost., per esempio assimilando alle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali quelle esecutive di obblighi internazionali, come è accaduto nel 1978 a proposito della richiesta abrogativa della legge di esecuzione dei Patti lateranensi, nel 1981 a proposito dei referendum sulle droghe leggere e sulle centrali nucleari, nonché in varie altre circostanze (cfr. al riguardo M. Ricca, L'abrogazione delle leggi di derivazione concordataria. Profili costituzionali, Milano 1993). A un primo esame del quadro normativo su cui incide la legge n. 40 del 2004, non sembra tuttavia che in questo caso possano ricorrere tali ragioni ostative alla celebrazione di un referendum popolare.
b) Il secondo requisito postulato dalla Corte tende a escludere l'ammissibilità del referendum quando quest'ultimo determini una lacuna normativa che di fatto svuoti i contenuti d'una garanzia costituzionale, di un istituto o di un principio espresso dalla carta fondamentale. Il caso tipico è quello delle leggi elettorali, poiché la loro abrogazione "secca" determinerebbe l'impossibilità di funzionamento di questo o di quell'altro organo elettivo (è avvenuto, per esempio, a proposito del Consiglio superiore della magistratura: sentenza n. 29 del 1987). In tale categoria può altresì farsi rientrare il caso delle leggi costituzionalmente obbligatorie, secondo un canone più volte utilizzato dal tribunale costituzionale per escludere l'ammissibilità della richiesta (cfr. le decisioni nn. 26 del 1981; 29 del 1987; 63 del 1990; 47 del 1991; 35 del 1993; 15, 17, 18, 19, 21, 24, 25 31, 33, 35 e 38 del 1997; 13 del 1999; e in dottrina A. Pertici, Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, in Aa.Vv., Aggiornamenti in tema di processo costituzionale, a cura di R. Romboli, Torino 1999, pagg. 480 ss.). In breve, si tratta delle leggi che attuano un determinato valore costituzionale "nell'unico modo possibile"; può allora darsi l'eventualità che la legge n. 40 ricada in quest'ultima categoria? Evidentemente no: al di là della questione generale circa il rango della legge sulla fecondazione assistita (che difficilmente potrebbe mai qualificarsi come legge di attuazione diretta della Costituzione), la materia regolata dalla legge n. 40 avrebbe ben potuto ospitare soluzioni diverse ed anche contrapposte, come dimostrano il dibattito parlamentare e l'esperienza di diritto comparato, ovvero la disciplina del fenomeno negli altri paesi occidentali. Insomma: la legge n. 40 non è affatto una legge a rime (costituzionalmente) obbligate.
c) Il terzo requisito d'ammissibilità del referendum fa perno sulla chiarezza del quesito, e dunque sulla possibilità che dev'essere sempre garantita agli elettori di scegliere fra due alternative (il "sì" o il "no" all'abrogazione) nettamente delineate, nella logica che le ispira e negli effetti normativi che concretamente ne derivano. Tale requisito viene desunto implicitamente dal principio della libertà del voto, e dunque dall'art. 48 Cost., ed è poi stato declinato dalla Corte in varia guisa, scomponendosi in una quantità di sottocriteri: chiarezza come omogeneità; come univocità; come completezza; come esaustività; come razionalità; come semplicità; come congruenza in relazione al fine perseguito dal comitato promotore (V. Baldini, L'intento dei promotori nel referendum abrogativo, Napoli 1996; A. Mangia, Referendum, Padova 1999, pag. 288).
È dunque ammissibile - in via generale e alla stregua del canone di chiarezza - sottoporre a voto popolare un'intera legge, posto che al suo interno giocoforza si rinvengono disposizioni plurime, rispetto alle quali l'elettore potrebbe ben assumere valutazioni diversificate? Ed è ammissibile nel caso specifico della legge sulla fecondazione assistita? Il vuoto normativo che di conseguenza ne discende renderebbe per ciò solo precluso il referendum? Infine: esistono ulteriori disposizioni normative - oltre e al di fuori della legge n. 40 - che di per sé determinano l'incompletezza del quesito, ove esso sia rivolto alla sola legge n. 40?
3. L'ammissibilità di un referendum totale sulla legge n. 40. - La risposta a queste molteplici domande non può che orientarsi nel senso dell'ammissibilità di un referendum sull'intera legge n. 40, ed anzi - a ben vedere - proprio la richiesta di abrogazione totale (anziché parziale) della legge sulla fecondazione assistita offre la migliore garanzia circa la possibilità di superare il vaglio della Corte costituzionale. Depongono verso tale soluzione cinque diversi argomenti, in via di fatto e di diritto. Nell'ordine:
a) Ai sensi dell'art. 75 Cost., i promotori possono richiedere l'abrogazione "totale o parziale" di una legge o di un atto avente forza di legge. Nel testo della Costituzione italiana, e nel dibattito che in Assemblea costituente ne precedette l'approvazione, non v'è dunque traccia della possibilità di espellere singole parole della legge, secondo la tecnica del "ritaglio" che ha poi innervato la prassi dei referendum manipolativi, e in sostanza propositivi. Nel modello costituzionale c'è spazio viceversa per il solo referendum abrogativo, e tale referendum non può che chiedersi sull'intero corpo della legge, fatto salvo il caso in cui la legge stessa si articoli in oggetti distinti e reciprocamente autonomi. Sennonché quest'ultima evenienza rappresenta a sua volta una degenerazione rispetto agli standard di buona tecnica legislativa, i quali presuppongono che a ogni legge corrisponda un'unica materia regolata (R. Pagano, Introduzione alla legistica. L'arte di preparare le leggi, Milano 2001, pagg. 99 ss.). In altri termini, sia il fenomeno dei referendum propositivi, sia il fenomeno delle "leggi omnibus" (quali ad esempio quelle finanziarie, o come in molti casi le leggi di conversione dei decreti legge), costituiscono l'effetto di prassi distorsive e deformanti: ne deriva che l'abrogazione parziale ha carattere eccezionale e residuale, mentre la regola imporrebbe di sottoporre a referendum interi blocchi normativi, o per meglio dire interi atti normativi. Regola è insomma l'abrogazione totale della legge per via referendaria, mentre l'abrogazione parziale rimane un'eccezione, un'ipotesi limitata e limitante.
b) Ma pure quando la legge affastelli in un unico corpo normativo oggetti eterogenei, non ne deriva affatto l'impossibilità di abrogarla per intero attraverso un referendum. In caso contrario, infatti, ne scaturirebbe la paradossale conseguenza che il cattivo legislatore, il legislatore che detta normative slegate ed incoerenti, finirebbe in questo modo per sottrarle alla mannaia del referendum. Ne deriverebbe inoltre l'ulteriore (e altrettanto paradossale) conseguenza che lo strumento referendario possa perdere la sua valenza oppositiva proprio nei casi in cui esso appare più urgente e necessario. Ne deriverebbe, infine, la completa svalutazione del dato formale (rappresentato dalla circostanza che un insieme di norme sia ricompreso in uno stesso atto normativo), il quale a sua volta riflette sempre una relazione sostanziale, sia pure artificiosamente imposta dal legislatore (P. Carnevale, Il "referendum" abrogativo e i limiti alla sua ammissibilità nella giurisprudenza costituzionale, Padova 1992, pag. 241 s.). Anzi: come è stato autorevolmente osservato (G. Zagrebelsky, Relazione in Aa.Vv., Il dettato costituzionale in tema di referendum. Funzioni e poteri della Corte di cassazione e della Corte costituzionale. Le otto richieste radicali di referendum, Roma 1978, pag. 32 s.), se l'elemento decisivo fosse quello materiale anziché il dato formale, se insomma ogni referendum che verta su materie distinte fosse inammissibile per definizione, allora si potrebbero celebrare unicamente referendum abrogativi di singole disposizioni normative, e mai di leggi intere, dal momento che qualsiasi legge regola materie in tutto o in parte diversificate; ma questa conseguenza viene espressamente esclusa dall'art. 75 Cost. (nello stesso senso v. anche F. Cocozza, Potere abrogativo referendario e potere abrogativo del Parlamento, in "Pol. dir.", 1981, pag. 505).
c) Anche l'obiezione secondo cui nel caso di specie possa essere coartata la libertà dell'elettore (il quale potrebbe convenire sull'abrogazione di alcuni - ma non tutti - gli articoli della legge sottoposta a referendum) è facilmente superabile. E del resto, non è forse ciò che comunemente sperimenta il singolo parlamentare, quando esprime il voto finale sui progetti di legge? Come potrebbe negarsi allora al popolo ciò che si riconosce ai suoi rappresentanti in Parlamento? In realtà il consenso globale (sulla legge votata dalle Camere, o altrimenti sulla stessa legge sottoposta a referendum) non è affatto impedito dall'esistenza di dissensi particolari su questo o quel punto dell'articolato normativo (v. ancora P. Carnevale, op. cit., pag. 245): difatti in tali casi la decisione positiva o negativa risulta il frutto d'una valutazione ponderata degli argomenti a favore e contro.
d) Di più: il quesito circa l'abrogazione di un'intera legge è sempre coerente ed omogeneo (e quindi chiaro), quali che siano le caratteristiche intrinseche dell'atto legislativo assoggettato a un referendum. Per un verso, infatti, il canone della "coerenza" del quesito referendario è stato elaborato dalla Corte dinanzi alla proposizione di referendum manipolativi, rispetto ai quali occorre evidentemente misurare la razionalità della c.d. normativa di risulta (G. Salerno, Il referendum, Padova 1992, pag. 162); ma se a cadere sarà l'intera legge, anziché suoi singoli spezzoni, non vi sarà più alcun bisogno di ritessere la trama normativa superstite, onde soppesarne la coerenza. La singola legge è insomma omogenea per definizione (ancora P. Carnevale, op. cit., pag. 245; ma v. inoltre G. Gemma, "Omogeneità delle richieste" e referendum sulla caccia: cattiva utilizzazione di un giusto criterio, in "Giur. cost.", 1981, I, pag. 1044, e R. Pinardi, Giudizio di ammissibilità e razionalità delle richieste di referendum, in "Dir. soc.", 1988, pag. 636); o meglio, la coerenza del quesito che s'appunti sull'intera legge non può mai essere inficiata da eventuali omissioni circa il raggio delle disposizioni sottoposte a referendum, dato che il referendum le ricomprende tutte. Per un altro verso, la scelta secca fra l'abrogazione o la permanenza in vigore di un'intera legge è sempre immediatamente percepibile dall'elettore, non può trarlo in inganno circa gli effetti del suo voto, e soddisfa infine l'attributo della "semplicità" del referendum più volte predicato dalla Corte (cfr. ad esempio la sentenza n. 27 del 1981, e in dottrina A. Ruggeri e A. Spadaro, op. cit., pag. 403).
e) Pure l'analisi della giurisprudenza costituzionale che nel tempo si è depositata su questa specifica questione suffraga le conclusioni qui raggiunte. In passato, difatti, la Corte ha sottoposto allo scrutinio dell'omogeneità del quesito anche la richiesta d'abrogare intere leggi: è accaduto, per esempio, nel caso delle due proposte abrogative del 1977 e del 1980 in tema di disciplina dell'ordine pubblico. E conta rilevare che in tali fattispecie essa non ha mai proceduto a una declaratoria d'inammissibilità per "disomogeneità" del quesito referendario, confermando quindi che ogni atto legislativo è sempre in sé concluso ed omogeneo, e che pertanto la richiesta d'abrogarlo per intero soddisfa automaticamente il requisito della chiarezza quale condizione d'ammissibilità del referendum.
4. L'ambito della legge sulla procreazione medicalmente assistita e il significato istituzionale della sua abrogazione referendaria. ? Resta da domandarsi infine se la legge n. 40 esaurisca l'intera disciplina della materia, come la Corte costituzionale esige e come essa ha ribadito in ultimo nella sentenza n. 25 del 2004, concernente la richiesta di referendum sul "lodo Schifani"; e inoltre se il vuoto normativo che in ipotesi possa subentrare all'iniziativa referendaria sulla fecondazione assistita possa determinarne l'inammissibilità.
L'una e l'altra fonte di dubbio sono però smentite, in via di fatto, dal carattere della legge qui in esame, e in particolare dalla sua novità. Dal dibattito parlamentare si evince difatti come i sostenitori della legge intendessero sanare un vuoto di regolazione normativa, piuttosto che proporre una diversa disciplina d'un fenomeno già regolato dal diritto; ciò che del resto chiunque può agevolmente constatare misurando il passaggio dalla condizione di liceità della fecondazione eterologa, nonché della sperimentazione sugli embrioni (ossia la situazione antecedente la legge n. 40), all'illiceità prodotta dal varo della legge (su cui v. in ultimo T.E. Frosini, La legge sulla fecondazione assistita nel fragile crinale tra tecnica ed il diritto, in "www.giust.amm.it"). Tutto ciò dimostra pertanto come il quesito diretto all'abrogazione referendaria della legge sia in sé e per sé completo e sufficiente, giacché non residuerebbe nessun'altra disposizione normativa di dettaglio da sottoporre agli elettori. D'altra parte la lacuna che conseguirebbe al successo dell'iniziativa referendaria è a sua volta fisiologica, giacché tale lacuna s'accompagna per definizione all'abrogazione - parlamentare o popolare - di ogni legge che introduca la prima disciplina di un fenomeno: e se tale effetto fosse di per sé solo causa d'inammissibilità della richiesta, tanto varrebbe vietare espressamente i referendum, o quantomeno circoscriverli alle soli leggi di modifica delle leggi già esistenti.
In questo senso, il futuro referendum sulla procreazione medicalmente assistita avrebbe connotati analoghi al primo referendum della nostra storia repubblicana, quello sul divorzio, anch'esso introdotto da una legge di poco precedente al referendum. Si tratterebbe infatti d'un referendum puramente abrogativo, e non già manipolativo, ossia propositivo sotto mentite spoglie. Da qui il significato istituzionale di tale iniziativa, che per un verso recupererebbe a pieno la libertà degli elettori, ponendoli di fronte ad un'alternativa chiara e chiaramente formulata; per altro verso recupererebbe il primato della lettera della Costituzione contro le troppe prassi deformate e deformanti che ne hanno alterato il disegno originale (cfr. il convegno Tornare alla Costituzione, Torino 2000).

Fonte: www.radicali.it
 
 
 
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