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 ITALIA - ITALIA - Italia. Trapianto incompatibile per il figlio: e' decisa la donazione
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15 maggio 2003 20:23
 
Una donna di Rieti, con un figlio affetto da una rara malattia, dal 2002 ha portato avanti la sua battaglia per poter conservare il sangue del cordone ombelicale del suo secondo parto, al fine di utilizzarlo come fonte terapeutica per la malattia del primo figlio. La decisione del tribunale di Rieti (marzo 2002), rappresento' il primo caso in Italia perche' il giudice Ugo Paolillo, disapplicando l'ordinanza ministeriale emanata dal ministero della Salute laddove, in uno degli articoli prevede espressamente che le cellule staminali, una volta prelevate, possono anche essere donate a terzi, ma non conservate per uso autologo, autorizzo' il prelievo obbligando l'Azienda sanitaria locale di Rieti a conservarle. Il tribunale ritenne infatti come in quel caso specifico "andasse ritenuto prevalente il diritto alla salute del bambino".
Poi per la signora era iniziato il lungo percorso, con una seconda gravidanza, il prelievo del cordone e le opportune analisi. Percorso che pero' si e' bloccato nelle scorse settimane quando, in seguito alla tipizzazione del sangue prelevato, e' risultata la piu' totale incompatibilita' con quello del figlio malato, eliminando cosi' ogni speranza di utilizzare per lui le cellule staminali. E cosi' e' arrivata la decisione di donare ugualmente il sangue cordonale alla clinica Ematologica del Policlinico Umberto, diretta dal professor Mandelli "perche' possa comunque essere utilizzato a favore di soggetti compatibili", hanno spiegato gli avvocati Antonio e Federico Belloni che hanno assistito la signora nella lunga battaglia legale contro il Ministero della Salute.
Il tribunale, in mancanza di una specifica giurisprudenza riferita a casi innovativi come quello sollevato dalla signora di Rieti, aveva infatti dovuto superare l'ostacolo posto dal decreto ministeriale che obbliga la madre, in caso di donazione, ad affidare le cellule alle strutture pubbliche, senza poter poi pretendere che siano conservate per il proprio figlio. Il giudice, nella sua decisione, lo aveva fatto osservando come "la preclusione prevista dall'articolo 10 del decreto ministeriale, vigendo il divieto di rivolgersi a strutture private e quindi di disporre liberamente del proprio sangue cordonale da parte della donatrice, porta all'assurdo di consentire a una madre di donare le proprie cellule staminali per la salute di chiunque, tranne che per quella del proprio figlio o di altri consanguinei". Aveva quindi disatteso il divieto ministeriale, ritenendolo superato, e considerando prevalente il diritto alla salute, aveva autorizzato il prelievo e la conservazione delle cellule staminali.
 
 
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Poi per la signora era iniziato il lungo percorso, con una seconda gravidanza, il prelievo del cordone e le opportune analisi. Percorso che pero' si e' bloccato nelle scorse settimane quando, in seguito alla tipizzazione del sangue prelevato, e' risultata la piu' totale incompatibilita' con quello del figlio malato, eliminando cosi' ogni speranza di utilizzare per lui le cellule staminali. E cosi' e' arrivata la decisione di donare ugualmente il sangue cordonale alla clinica Ematologica del Policlinico Umberto, diretta dal professor Mandelli "perche' possa comunque essere utilizzato a favore di soggetti compatibili", hanno spiegato gli avvocati Antonio e Federico Belloni che hanno assistito la signora nella lunga battaglia legale contro il Ministero della Salute.
Il tribunale, in mancanza di una specifica giurisprudenza riferita a casi innovativi come quello sollevato dalla signora di Rieti, aveva infatti dovuto superare l'ostacolo posto dal decreto ministeriale che obbliga la madre, in caso di donazione, ad affidare le cellule alle strutture pubbliche, senza poter poi pretendere che siano conservate per il proprio figlio. Il giudice, nella sua decisione, lo aveva fatto osservando come "la preclusione prevista dall'articolo 10 del decreto ministeriale, vigendo il divieto di rivolgersi a strutture private e quindi di disporre liberamente del proprio sangue cordonale da parte della donatrice, porta all'assurdo di consentire a una madre di donare le proprie cellule staminali per la salute di chiunque, tranne che per quella del proprio figlio o di altri consanguinei". Aveva quindi disatteso il divieto ministeriale, ritenendolo superato, e considerando prevalente il diritto alla salute, aveva autorizzato il prelievo e la conservazione delle cellule staminali.
 
 
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