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Eutanasia di un dibattito (3)
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Articolo di Pietro Yates Moretti
17 aprile 2006 0:00
 
Nei giorni scorsi avevo preso spunto dall'interpretazione che il quotidiano Il Foglio, il ministro Carlo Giovanardi ed altri avevano dato di questa frase,
Dei 200.000 bambini nati in Olanda ogni anno, circa 1.000 muoiono nel primo anno di vita. Per circa 600 di questi neonati, il decesso e' preceduto da una decisione medica sul fine vita.*
ovvero che il 60 per cento della mortalita' infantile in Olanda "ha un'origine intenzionale". Forti di questa loro lettura, non hanno esitato a definire quello che accade nei Paesi Bassi un "infanticidio", un "olocausto medico", un massacro degno di un regime nazista. Ma nel paragonare il tasso di mortalita' infantile olandese con quello dell'Italia, dove la mortalita' non puo' -per legge- avere "origine intenzionale", appare chiaro che fra i due Paesi non vi e' alcuna differenza. Anzi, in alcune zone dell'Italia la mortalita' infantile supera di gran lunga quella olandese (quasi di quattro volte se si considera il tasso di mortalita' "non intenzionle"). Se c'era un olocausto in corso in Olanda, per un qualche motivo ce ne doveva essere uno anche in Italia.
Nel fare quella analisi avevo proposto due spiegazioni per l'alto tasso di mortalita' "involontaria" in Italia: la carenza del nostro sistema sanitario (e politico), e la pratica clandestina anche da noi di eutanasia infantile. Non avevo pero' volutamente preso in considerazione un'altra spiegazione concorrente, piu' semplice, che trae origine da un fenomeno meno complesso (anche se spesso foriero di altrettanta sofferenza): per dirla con uno degli autori della frase su citata, sulla base della quale sono state promosse le severissime accuse all'Olanda, "In Italia non sanno di cosa parlano". Non vi e' dubbio, infatti, che ci troviamo di fronte ad una grossolana lettura dell'articolo di Verhagen e Sauer da parte di alcuni nostri giornalisti e ministri della Repubblica. Ecco perche'.

1. I fatti
Vediamo cosa veramente accade in Olanda, rileggendo i risultati dello studio sul quale Verhagen e Sauer si sono basati per scrivere la frase incriminata.
"Nel 57% dei casi, la morte e' stata preceduta dalla cessazione o limitazione del trattamento di sostentamento vitale. La maggior parte di queste decisioni sono state prese perche' non vi era alcuna chance di sopravvivenza (77%) o per prognosi infausta (18%); il 5% non e' stato classificato in alcuna categoria. Nel 23% di tutte le morti, alla decisione di cessare il trattamento di sostentamento vitale e' seguita la somministrazione di farmaci (generalmente oppioidi) per alleviare dolore e sintomi, in dosi che potrebbero aver accorciato la vita. Per l'84% dei casi l'accorciamento della vita stimato era inferiore ad un mese e per l'11% piu' di un mese (per il 4% non e' stato possibile stabilire la durata). Nell'8% delle morti, la decisione di cessare il trattamento di sostentamento vitale e' stato accompagnato da farmaci somministrati esplicitamente per accelerare la morte. La vita e' stata accorciata di meno di un mese nel 67% e di piu' di un mese nel 33% dei neonati. Nel 26% dei casi, nessun farmaco con potenziale di accorciare la vita e' stato somministrato.
Nel 4% di tutte le morti, l'unica decisione presa e' stata quella di somministrare farmaci per alleviare il dolore ed i sintomi in dosi che possono aver accelerato la morte. In questo caso, queste decisioni non sono state prese per prognosi infausta; la vita non e' stata accorciata di piu' di una settimana.
La decisione di somministrare farmaci esplicitamente per accelerare la morte di un neonato non dipendente da trattamento di sostentamento vitale ha preceduto l'1% delle morti; se i decessi in questo studio sono rappresentativi di un anno intero, questa percentuale rappresenta 10-15 morti di questo tipo all'anno in Olanda."**
Questi dati sono chiari abbastanza, credo, per stimolare una riflessione autonoma di ciascuno ed un dibattito basato sui fatti e non sull'istinto elettorale che caratterizza la polemica all'italiana. Mi limito a ribadire un dato. Ammesso e non concesso che si vogliano equiparare le cure palliative all'eutanasia attiva, solo nel 4% di tutte le morti sono stati somministrati farmaci per alleviare il dolore ed i sintomi in dosi che potrebbero aver accelerato (n.b. non causato) il processo di morte. In tutti questi casi, i neonati erano destinati a morire entro pochi giorni.

2. "Decisione medica sul fine vita"

Cosa significa "decisione medica sul fine vita"? Davvero significa provocare "intenzionalmente" la morte di un neonato?
Come spiegano numerosi studi sull'argomento, una decisione sul fine vita puo' significare si' la somministrazione di farmaci in dosi potenzialmente letali, ma anche la limitazione del trattamento di sostentamento vitale. Ad esempio, e' una decisione medica sul fine vita quella di non praticare manovre di emergenza per resuscitare un neonato -comunque destinato a morire a breve- che va per l'ennesima volta in arresto cardiaco. E' una decisione medica sul fine vita quella di non intubare in maniera invasiva (es. tracheostomia) un bambino nato troppo prematuramente -anche alla 20ma settimana- con gravi ed insuperabili sofferenze. E' una decisione medica sul fine vita anche quella di continuare ma non di aumentare il trattamento di sostentamento vitale.
Prendere "decisioni mediche sul fine vita" non significa quindi causare "intenzionalmente" la morte. Nella quasi totalita' dei casi, la decisione sul fine vita e' semplicemente quella di non accanirsi terapeuticamente su quei neonati la cui morte e' imminente ed inevitabile.
Questo tipo di decisione avviene regolarmente anche nei reparti italiani di terapia intensiva neonatale, come dimostra anche uno studio sulla mortalita' infantile in Italia pubblicato sullo stesso Lancet***:
- il 45% dei medici italiani interpellati ha deciso di non somministrare alcun trattamento di sostentamento vitale (es. respirazione meccanica)
- il 52% ha deciso di non praticare manovre di rianimazione
- il 78% ha deciso di non aggiungere altri trattamenti anche se necessari ai fini dell'allungamento della vita
- il 34% ha deciso di non somministrare farmaci salva-vita
- il 28% ha deciso di cessare la respirazione meccanica
- il 32% ha deciso di somministrare farmaci per alleviare il dolore anche se potenzialmente letali
- il 2% ha deciso di somministrare farmaci con l'intenzione di terminare la vita.

3. Il Protocollo di Groningen

Quando Il Foglio, dopo aver ribadito che il 60% della mortalita' infantile in Olanda ha "origine intenzionale", scrive che "il fenomeno non e' destinato a fermarsi, considerati i parametri 'etici'" del Protocollo di Groningen, commette un atto di profonda disonesta' intellettuale. Infatti in Olanda non e' ancora ammessa l'eutanasia infantile. Per quanto ci e' dato sapere, sono quattro i casi in cui l'eutanasia e' stata praticata su neonati alla luce del sole. Sono questi i casi in cui i medici responsabili hanno poi riportato le modalita' del decesso all'autorita' giudiziaria, la quale in piena autonomia ha ritenuto di non dover intraprendere alcuna azione penale. Se, come e' stato suggerito, ci fossero in Olanda 600 casi di eutanasia infantile ogni anno, questi sarebbero illegali e non il frutto di una legge che ammette l'eutanasia infantile. Infatti, lo studio su cui si sono basati Verhagen e Sauer risale al 1995, quando ancora non era in discussione (e tantomeno applicato) a livello nazionale il famigerato Protocollo di Groningen. Quel 60% di mortalita' infantile non ha niente a che vedere con protocolli o leggi sull'eutanasia infantile.

Ebbene si', la grande polemica che ha investito nelle settimane scorse il nostro Paese a seguito delle dichiarazioni di Giovanardi si e' incentrata su aria fritta. Una cocktail letale di ignoranza, superficialita', faciloneria, mancanza di curiosita', e forse anche di disonesta' intellettuale ha ucciso un dibattito che sarebbe potuto e dovuto nascere.
Sottolineare la scarsa attitudine o capacita' di approfondire di coloro che hanno accusato l'Olanda dei crimini piu' impensabili non vuole essere in alcun modo un rimprovero da maestrino, ma un richiamo a dibattere sulla realta' delle cose, anche quelle a cui vorremmo tutti fare a meno di dover pensare. Purtroppo la mortalita' infantile non e' ancora completamente eliminabile, anche se tutti lo vorremmo fortemente. Quello che puo' essere evitato in molti casi e' l'inutile sofferenza inflitta con trattamenti invasivi che non fanno altro che prolungare l'agonia di qualche giorno o settimana. Anche in Italia, come in Olanda, e come nel resto del mondo, decisioni sul fine vita vengono prese ogni giorno nei reparti di terapia intensiva infantile. In Olanda e' in corso un dibattito su come portare fuori dalla clandestinita' un fenomeno diffuso ed ancora inevitabile. Giudichiamo i medici olandesi per quello che realmente fanno, discutiamo del Protocollo di Groningen e condanniamolo pure (e' indubbio che la sua genericita' non puo' non farci riflettere criticamente), ma dibattiamo, dibattiamo, dibattiamo. Almeno questo, ai bambini meno fortunati, glielo dobbiamo.

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* Eduard Verhagen e Pieter J.J. Sauer, "The Goningen Protocol - Euthanasia in Severely Ill Newborns", New England Journal of Medicine X (2005): 959. Qui la traduzione integrale dell'articolo.
** Agnes van der Heide, Paul J van der Maas, Gerrit van der Wal, Carmen L M de Graaf, John G C Kester, Louis A A Kollée, Richard de Leeuw, Robert A Holl, "Medical End-of-Life Decisions Made for Neonates and Infants in the Netherlands", Lancet 350 (1997): 252-53.
*** M Cuttini, M Nadal, M Kaminski, G Hansen, R de Leeuw, S Lenior, J Persson, M Rebagliato, M Reid, U de Vonderweid, H G Lenard, M Orzalesi, R Saracci, for the EURINIC Study Group, "End-of-Life Decisions in Neonatal Intensive Care: Physicians' Self-Reported Practices in Seven European Countries", Lancet 355 (2000): 2112-18.
 
 
 
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