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 ITALIA - ITALIA - Clonazione: e la filosofia che ne pensa?
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Articolo di Cinzia Colosimo
7 febbraio 2003 0:22
 
Il passatempo prediletto dell'uomo, da quando ha messo piede sulla terra, sembra essere sempre stato quello di arrovellarsi il cervello con una serie di domande che, il piu' delle volte, sono rimaste insolute.
E le conoscenze acquisite grazie alle tecnologie, alle scienze, alle filosofie, poco hanno fatto per sciogliere quei 2 o 3 dubbi, che, volenti o nolenti, avrebbero la capacita' di farci letteralmente impazzire. Quelle domandine del tipo: chi siamo, che ci facciamo qui sulla terra, in che misura possiamo modificare o controllare la natura insita in noi e nel nostro ambiente. Purtroppo, il risultato dell'intelligenza di donne e uomini che hanno speso la loro vita cercando di dare indizi per la soluzione dei dilemmi, e' stato quello di creare un abisso proporzionalmente diretto alle conoscenze acquisite. Piu' le conoscenze "tecniche" aumentano, piu' aumenta l'abisso che ci allontana dalla soluzione. Ma lungi dall'essere un risultato negativo, spesso e' stato sentito e avvertito come un'umiliazione alla propria condizione umana, ma un'umiliazione di quelle che provocano rigetto, orgoglio, voglia di riconquista e di progresso.
E non solo. Per prendersi gioco di noi, le "domandine", con la crescita delle conoscenze, si sono moltiplicate, riprodotte, ingrandite. Quelle che oggi arrovellano la testa di scienziati, filosofi, politici e bioetici, per lo piu' riguardano la sfera umana nell'ottica della biotecnologia e della biogenetica. I filosofi gia' parlano di un orizzonte post umano, dove l'identita' umana e umanistica si contrapporra' senza mezze misure ad una nuova identita', pressoche' sconosciuta, definita come "transumanista". La pone in questi termini il filosofo Roberto Marchesini, che in un lungo articolo apparso il 3 febbraio sul quotidiano "il Giornale", cerca di trarre i limiti di una nuova filosofia che ha a che fare con soggetti nuovi: non piu' gli uomini che, bene o male, conoscevamo e che conoscevano i filosofi, ma soggetti che, frutto di modifiche fisiche o psicologiche, potrebbero innescare reazioni che ad oggi ignoriamo.
Nel medesimo articolo, che prendeva spunto dal tema "clonazione" per cercare di tradurre in termini filosofici le innovazioni tecnologiche e scientifiche a cui stiamo assistendo, prendevano la parola i pensatori odierni cercando di dare qualche spiegazione ai mutamenti cui siamo esposti. Il risultato? Tante domande in piu'.
Cercando di dare un ordine razionale a queste domande, e' opportuno innanzitutto selezionare quelle dettate dai dati scientifici da quelle dettate dall'allarmismo. Per Sebastiano Maffettone, presidente della Societa' Italiana di Filosofia Politica, "c'è una grande distonia tra la proporzione dei recenti fatti di cronaca e la gravita' dei problemi che pone la clonazione umana". In sostanza, la realizzazione effettiva di un essere umano geneticamente identico ad un altro, appare molto piu' lontana rispetto alle previsioni, e, di conseguenza, anche il confronto sulle implicazioni etiche risulta sproporzionato. Questo a discapito dell'uso terapeutico di questa tecnica, che, soffocato dall'attenzione mediatica data alla clonazione riproduttiva, rischia di essere sottovalutato o, peggio ancora, ignorato.
L'uso terapeutico della clonazione, difatti, non fa altro che potenziare l'aspirazione innata, e pienamente giustificata dell'uomo alla perfezione fisica. Ma il traguardo e' distante, quindi, perche' bloccare un processo di miglioramento, se di fatto, la perfezione e' lontana?
Jurgen Habermas, il filosofo tedesco che si accosta con scetticismo alle novita' presentate dalle biotecnologie, invece di parlare di opportunita', preferisce parlare di minaccia. Secondo Habermas i punti di frattura tra la moderna ingegneria genetica e le antiche concezioni etiche di uomo e natura, si trovano essenzialmente in due concetti: l'inviolabilita' della persona, e l'indisponibilita' della sua nascita. Se si prescinde da questi due inalienabili presupposti, l'intero dibattito sul genere umano si trasforma in quegli interrogativi che il filosofo definisce i rischi di una genetica liberale. Ma il tutto riconduce ad un'unica domanda, che sostanzialmente e' questa: quando inizia la vita umana?
Innanzitutto e' opportuno concordare con il filosofo Giulio Giorello, secondo il quale "occorre fare una pulizia del linguaggio, perche' gli abusi del linguaggio sono abusi di potere". Non per niente, e' grande la confusione fra termini come embrione, feto, blastocisti, clonazione, trasferimento nucleare e che piu' ne ha piu' ne metta. Per fare un esempio, lo scienziato Irving Weissman camminando per la strada, ha chiesto ai passanti di disegnare su un foglietto di carta un embrione. "Ogni volta, senza esclusione, loro disegnavano un feto con un viso". In realta' un embrione e' semplicemente un termine scientifico usato per descrivere il lasso di tempo entro il quale uno zigote si sviluppa fino al momento in cui si possono distinguere i suoi organi interni. Fino a quel momento pero', un embrione rimane un ammasso di cellule senza sistema nervoso o altro. E' quindi giusto dare ad una palla di cellule lo status di essere umano?
In questi termini la polemica sulle cellule staminali embrionali di fatto, perde terreno e fondamento. La dott.ssa Alta Charo ad esempio, ironizza: "Il dibattito sulle cellule staminali e' su tutto fuorche' sulle cellule staminali." Nessun promotore del trasferimento nucleare ha intenzione di clonare embrioni per produrre nuovi esseri umani, ma vuole solamente trovare vie alternative alla sofferenza di donne e uomini che lottano quotidianamente contro il dolore e la morte. Gli scenari che si prospettano per ora, non sono costellati da "fabbriche di uomini e di donne", come teme il filosofo Guillaume Faye, ma da uomini e donne, che consci della loro natura, non rinnegheranno i principi di identita', unicita' e straordinarieta' senza ostacolare la scienza.
 
 
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