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Staminali contro l'invecchiamento. Intervista a Rafael Pagani
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Articolo di Redazione
6 novembre 2010 10:35
 
Il dr Rafael Pagani, laureato in genetica alla Unam (Universidad Nacional Autónoma de México), dottore in biologia per la Uba (Universidad de Buenos Aires), sta studiano il ruolo delle cellule staminali nell'invecchiamento. Su questo e' stato intervistato da Leonardo Moledo del quotidiano argentino Pagina12.

D. Qual e' il ruolo delle cellule staminali nell'invecchiamento?
R. E' molto evidente, a partire dallo studio dei tessuti che indicano come le cellule staminali del tessuto adulto nei metazoi (organismi multicellulari) svolgono il ruolo di mantenere i tessuti stessi. Nella struttura dei tessuti ci sono cellule che invecchiano ed hanno a che fare con altre cellule che le rimpiazzano. L'invecchiamento e' un decadimento dei tessuti: diverse cellule funzionano con meno efficienza e ci sono meno cellule. Studiamo il fatto che le cellule staminali sono fondamentali per mantenere l'integrita' dei tessuti e, quindi, degli organi. Ma quando si va sul piano dell'organismo e' piu' complicato prevedere cosa possa succedere. E' risaputo, in materia di tessuti, che le cellule staminali sono fondamentali per evitare l'invecchiamento. Durante l'invecchiamento c'e' una perdita di cellule staminali: diminuiscono nel numero e nella loro capacita' di proliferare. Ci sono diversi studi che indicano che questa perdita di funzioni da parte delle cellule staminali e' un meccanismo su cui intervenire per prolungare la vita.
D. Come funziona?
R. Sono molti i tumori che talvolta derivano dalle cellule staminali. Per cui i tessuti maggiormente dipendenti dalle staminali (come il tubo digerente, il sangue, la pelle) sono quelli che hanno piu' probabilita' di generare il cancro.
D. Le cellule staminali possono provocare il cancro?
R. Sono cellule che possono dare origine al cancro. Per avere il cancro basta avere una cellula che si moltiplica. Se questa cellula perde la propria capacita' di dividersi, non puo' poi produrre cancro. Le cellule dell'organismo di un individuo adulto sono del tipo quiescente, cioe' non si dividono piu'.
D. Pero' vanno a morire
R. Si', e cominciano a giocare un ruolo fondamentale le cellule staminali del tessuto adulto.
D. Che le rimpiazzano.
R. Chiaro. Quando si ha un tipo di cellula (le cellule staminali) che hanno la capacita' di dividersi e lo fanno nell'ambito di tutta la vita, poi si hanno maggiori possibilita' di mutazioni durante la replica del DNA. Il periodo di tempo tra la possibilita' di avere cambiamenti e' molto maggiore. Alcuni cambiamenti non avranno nessun effetto, altri produrranno un effetto minimo e altri produrranno una maggiore capacita' di proliferare. Inoltre: sono importanti o meno per evitare l'invecchiamento? E' una questione complicata.
D. Lei cosa crede?
R. Credo che dipenda abbastanza da ogni tessuto. Ci sono regole tra tessuti, e questo si e' potuto studiare poco. Ci sono tessuti come il grasso, o cellule staminali del tubo digerente che hanno la possibilita' di modificare l'invecchiamento di tutte le cellule dell'organismo. Tutti questi lavori si fanno sulle mosche. E sulle mosche abbiamo una serie di strumenti che non permettono di modificare l'espressione dei geni in forma piu' specifica per ogni tessuto diverso. Allora noi identifichiamo un gene che modifica il tasso di sopravvivenza. Un overexpressed del gene e le mosche vivono di piu'; una riduzione e vivono meno. L'idea e' poi quella di studiare come questo gene introduce questi effetti e estenderlo in diversi tessuti per studiare cio' che si conosce come “effetti non autonomi”, vale a dire, per esempio, gli effetti sul sistema nervoso e se dipendono dai propri geni o da quelli, per esempio, del grasso.. nelle mosche abbiamo molti strumenti per questo studio. Nel contempo, per studiare la longevita', abbiamo bisogno di di un bug con un ciclo di vita corto.
D. La famosa “drosophila”. No? Che si usa talvolta per studiare gli effetti delle radiazioni e delle mutazioni.
R. Si'. Tutta la parte genetica, la base cromosomica dell'eredita', si scopre nella drosophila, anche la genetica del comportamento si scopre nella drosophila... Bene, se mi permette (e ora vedo che qualche spazio rimane sul foglio) le direi che la linea che si propone di mettere da parte e' molto piu' interessante.
D. Come ho detto prima?
R. Non so, pero' cogliamo cio' che e' rimasto. Cio' che intendiamo studiare sono i meccanismi molecolari dell'induzione della memoria a lungo termine. Sia negli esseri umani, che in qualunque altro organismo che e' in grado di apprendere, esiste la capacita' di formare una quantita' di memoria ad un preciso termine. Se uno chiede di aumentare la memoria, un meccanismo universale e' quello di ripetere il trattamento o le sessioni di studio. Qui ci sono due opzioni: si possono ripetere tutte le sessioni insieme o si puo' ripetere procedendo per una alla volta. Se si ripetono insieme, si migliora un poco la memoria. Pero' se si ripetono dando un certo spazio, migliora molto di piu'. Questo e' quello che si chiama “effetto di spaziatura”. Questa memoria non solo e' più grande ma per il resto è di altro tipo. E' biologicamente piu' ricca e induce cio' che si chiama “memoria a lungo termine”. Ed ha un uso enorme, sia per pazienti che hanno problemi di memoria in quanto colpiti dal morbo dell'Alzheimer, che nelle pubbliche istituzioni scolastiche, come pubblicita'... Ma ad oggi non ne consociamo le basi. Noi abbiamo scoperto un gene che lo puo' modulare. Stiamo cercando una via in cui sia incluso il gene che abbiamo scoperto. Lo stiamo sperimentando in un caso di “nooman syndrom” (un malattia che genera nei bimbi ritardi mentali, problemi di sviluppo, malformazioni ossee, un alto tasso di leucemia). Cio' che abbiamo identificato e' che questo stesso gene, che e' presente con le sue mutazioni nei bimbi, produce un effetto di memoria a lungo termine nelle mosche. Dopo aver scoperto un meccanismo di come si induce la memoria di lungo termine con questo gene, possiamo pensare che modificando gli intervalli possiamo indurre la memoria di quelle mosche che hanno questi problemi specifici. Aumentiamo da 15 a 40 minuti gli intervalli e le mosche recuperano una memoria normale. Cosa che ci suggerisce come gli umani con problemi cognitivi possono raggiungere un apprendimento normale se gli proponiamo un tipo con diverse sessioni di studio.
 
 
 
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