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Molti scienziati in Usa sono del partito democratico. Questo e' un problema
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Articolo di Redazione
30 dicembre 2010 15:56
 
Non e' un segreto per nessuno: in Usa il numero di scienziati e di ingegneri ispanici e afro-americani e' molto basso. Ma si dice che esiste anche un'altra comunita' sottorappresentata: i repubblicani.
Non e' una battuta. Uno studio del Pew Research Center, realizzato a luglio del 2009, fa vedere che solo il 6% degli scienziati americani si dice repubblicano; 55% si dice democratico e 42% indipendente. Il resto delle persone interpellate dice di “non sapere” o di non voler rispondere.
Questo enorme disequilibrio ha conseguenza politiche. Durante la trasmissione Mythbusters dello scorso 8 dicembre, il presidente Obama non si e' accontentato di incoraggiare i giovani a fare il proprio dovere di fisici -questa sola presenza ha rafforzato l'idea secondo la quale il partito democratico e' quella della scienza e della ragione. E perche' no, dopotutto? La maggior parte degli scienziati sono di questa parte.
Immaginate cosa sarebbe successo se George W.Bush avesse fatto lo stesso. Un premio Nobel avrebbe immediatamente fatto pubblicare un articolo su tutti i grandi quotidiani del paese, chiedendo come mai l'uomo che aveva proibito la ricerca sulle cellule staminali e rimessa in causa l'ipotesi del cambiamento climatico, potesse avere l'impudenza di andare in una trasmissione dedicata al valore del pensiero scientifico.
I fatti non sono ne' di destra ne' di sinistra
Ma se si mette da un lato la politica di parte, perche' porsi il problema di un numero cosi' basso di scienziati repubblicani? Uno scienziato si interessa ai fatti -e questi a priori non sono de' di destra ne' di sinistra.
Ma la questione e' un po' piu' complicata. Prendiamo il cambiamento climatico: l'opinione che se ne puo' avere differisce in funzione dell'orientamento politico e ideologico. Uno studio Gallup di marzo 2010 evidenzia che il 65% dei democratici ritiene che gli effetti del riscaldamento del clima si fanno gia' sentire, contro il 31% dei repubblicani. Questo vuol dire che i democratici hanno due possibilita' in piu' di accettare e capire questo fatto scientifico? Che i repubblicani siano popolati da imbecilli che non conoscono niente della scienza e delle politiche delle grandi imprese che si dedicano a sacrificare il nostro pianeta sull'altare dei profitti economici e politici a corto termine?
Al contrario, si potrebbe dire che questa polemica sia di natura essenzialmente politica, e che le opinioni scientifiche si conformano all'ideologia di ognuno? Da venti anni, i politici hanno proposto, per combattere il riscaldamento del clima -direttamente ed esplicitamente- iniziative a livello internazionale, una ristrutturazione sociale su larga scala e la distribuzione delle ricchezze. Provvedimenti che la maggior parte dei democtatici accoglie a braccia aperte e che la piu' parte dei repubblicani detesta. Inutile quindi domandarsi perche' i repubblicani diffidano del mondo scientifico.
Pensateci: le conclusioni dei climatologi (che sono nella gran parte democratici) sono utilizzate per promuovere un programma politico che combacia con le linee ideologiche dei democratici. Coincidenza o relazione di causa ed effetto? Ecco che questo e' stato un buon argomento per la trasmissione Mythbusters...
I problemi prigionieri dell'ideologia
Durane l'amministrazione Bush, i democratici hanno scoperto che potevano avere maggiori consensi accusando il presidente di essere contro la scienza. Sembrava che essi fossero i guardiani dello spirito dei Lumi, e chi fosse stato in disaccordo con loro -rispetto al riscaldamento climatico, per esempio- fosse sostanzialmente irragionevole. Molti repubblicani ritengono, dal canto loro, che la corrente scientifica dominante e' ormai contaminata dall'ideologia, che la scienza sia un'attivita' politica che non si manifesta come tale.
I repubblicani sono attirati da scienziati marginali riuniti in piccoli gruppi molto attivi, come quelli dei climato-sciettici, e quindi sembrano rifiutati da una larga parte della comunita' scientifica che, nell'insieme, non ha preferenze per una o l'altra parte politica. La débacle del dibattito sul cambiamento climatico e' l'esempio piu' evidente di questa tendenza per i meno invalidanti: i suoi effetti si fanno sentire in ambiti molto diversi -l'eliminazione dei rifiuti nucleari, la protezione delle specie minacciate, la regolamentazione dei prodotti farmaceutici...
Una comunita' scientifica piu' diversa sul piano politico potrebbe migliorare le cose -e se si', come? Questa diversita' potrebbe indurre i politici repubblicani a dare piu' credito alla scienza convenzionale, a riconoscere la sua legittimita'. I dibattiti sulla dimensione politica delle conoscenza scientifiche diventerebbero piu' informati, piu' creativi e piu' stimolanti. I problemi complessi, il cambiamento climatico, per esempio- non sarebbe piu immediatamente prigioniero della camicia di forza dell'ideologia. Questa diversita' permetterebbe infine di rendere piu' salubri le relazioni tra scienza e politica.
L'inclinazione per il pragmatismo della societa' americana e' conosciuta da molto tempo, cosi' come il suo rispetto per il valore di legittimita', non solo dei fatti scientifici, ma anche degli stessi scienziati. I sondaggi d'opinione mostrano che nove americani su dieci credono nella comunita' scientifica; nessuna istituzione puo' dire altrettanto, anche l'esercito o la Corte suprema. Ma questa situazione eccezionale potrebbe essere compromessa dal fervore in crescita che oggi anima la politica nazionale degli Usa, poiche' la maggior parte degli scienziati sono su una posizione di parte. Una perdita di fiducia sarebbe anche una perdita (grossa, e forse definitiva) per la societa' democratica Usa nel suo insieme.
Risibile e ironico
Questa penuria di scienziati repubblicani non ha, senza dubbio, nessun paragone con la sotto-rappresentazione delle donne e delle minoranze in questo medesimo ambito. Dubito che i giovani repubblicani dicano che loro non sono fatti per lo studio della matematica, come per esempio accade per le giovani donne; non credo che un insieme di fattori socio-economici impedisca loro di studiare le scienze in un buon contesto, come e' invece il caso per alcune minoranze etniche. L'idea di un programma di aiuto per l'apprendimento delle scienze da parte degli studenti repubblicani, o di borse di studio per attirare questi giovani verso gli studi scientifici, sarebbe perfettamente risibile e decisamente ironica.
Rimane il fatto che questa situazione oggi e' pienamente riconosciuta cosi' come ancor meno compresa. I principali protagonisti della comunita' scientifica dovrebbero dichiararsi disposti a studiare e dibattere il problema. Essi ripugnano di farlo, e' evidente: una rimessa in gioco di queste dimensioni metterebbe in cattiva luce il mito della scienza pura, a favore delle lotte di parte di basso livello. Ma non c'e' da aspettarsi qualche sforzo per comprendere e fare evolvere la dimensione politica del mondo scientifico. Essi continueranno sicuramente a spronare un miglioramento della comprensione delle scienze, e il sostegno della gente comincera' a venir meno. Non e' la comprensione delle scienze che pone il problema; e' la legittimita' della sua pratica. Che lo si voglia o no, una societa' democratica ha bisogno di scienziati repubblicani.

(articolo pubblicato su Slate 08/12/2010, di Daniel Sarewitz, co-direttore del Consortium for Science, Policy and Outcomes all'Universita' dell'Arizona, nonche' editorialista per la rivista “Nature”)
 
 
 
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