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Italia. Legge sul parto. Tre cose essenziali: epidurale, conservazione autologa del cordone e sostegno agli asili
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Articolo di Donatella Poretti
1 marzo 2007 15:10
 
Intervenendo lo scorso 12 febbraio al seminario "Liberta' Della Persona: Nascere, Curarsi, Morire Nuove Conoscenze e Privacy", organizzato dalla Cgil a Roma, ho ribadito che, per una legge sul parto,sono tre le questioni essenziali: anestesia epidurale, conservazione autologa delle cellule staminali del cordone ombelicale, conciliare il lavoro con la genitorialita'.
Si tratta in particolare di inserire tra i Lea (livelli essenziali delle prestazioni a carico del Sistema Sanitario Nazionale) l'anestesia epidurale.
Prima di tutto questo permetterebbe di diminuire il tasso dei parti cesarei, a cui spesso si fa ricorso quale unica alternativa al parto naturale e doloroso. L'Italia e' infatti il Paese con il piu' alto numero di parti con taglio cesareo dell'Unione Europea (pari al 35,2%, oltre il doppio della quota massima del 15-20% raccomandata nel 1985 dall'OMS).
Ricordo anche che, nel 2001, il Comitato Nazionale di Bioetica ha sostenuto che "il diritto della partoriente di scegliere un'anestesia efficace dovrebbe essere incluso tra quelli garantiti a titolo gratuito nei livelli essenziali di assistenza". A distanza di 6 anni il documento e le sue raccomandazioni non si sono ancora tradotte in realta'. Ne consegue che, se in Gran Bretagna e Francia questa anestesia viene utilizzata dal 70% delle partorienti, dal 90% negli Usa, in Italia solo il 3,7% delle donne hanno ottenuto l'epidurale (Istat, aprile 2001).
Un'altra scelta di liberta' che oggi viene negata in sala parto e' la conservazione delle cellule staminali del cordone ombelicale: o le doni oppure vengono buttate. Staminali salvavita, preziose cellule capaci di curare malattie del sangue, leucemie e speriamo in futuro anche altro, oggi ricevono questo assurdo trattamento. Nell'Italia in cui neppure il 10% dei cordoni viene conservato e donato alle banche pubbliche, si impedisce al restante 90% la possibilita' di una conservazione autologa. Anche questa possibilita' dovrebbe trovare spazio nella legge sul parto.
Infine, ho ricordato che una civile politica sulla maternita' non puo' prescindere dal sostegno alle famiglie. La maternita' e' infatti la causa principale dell'abbandono del lavoro da parte delle donne. Diventare madri e' il fattore primario che determina lo scivolamento verso l'inattivita' o il sommerso femminile, ed e' la principale fonte di discriminazione sui luoghi di lavoro. Promuovere politiche per le famiglie e per le pari opportunita' vuol dire investire in servizi e strutture per riuscire a conciliare il lavoro con la genitorialita'. Gli asili nido, i micro-nidi, anche aziendali, devono poter essere una scelta per i genitori che lavorano, si' da avere i propri figli vicini durante la giornata.
Sebbene gli accordi comunitari di Lisbona ci chiedono di arrivare nel 2010 con una copertura territoriale di asili nido pari al 33%, di questo passo falliremo di molto l'obiettivo. Oggi siamo a neppure il 10%. Occorrerebbero 9 miliardi di euro, mentre l'attuale finanziaria ha stanziato solo 300 milioni.


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Intervento al seminario Cgil "Liberta' Della Persona: Nascere, Curarsi, Morire Nuove Conoscenze e Privacy" (Roma, Sala Santi, Cgil Nazionale).

Quando mi e' stato chiesto di intervenire a questo convegno, su questo argomento, ne sono stata molto felice, e' una materia che mi vede coinvolta politicamente e personalmente da poco piu' di 11 mesi. E' facile il conto, visto che 11 mesi e' l'eta' di mia figlia, Alice. Per quanto mi riguarda, il privato diventa sempre occasione di spunti per interventi pubblici, nel bene e nel male. Del resto, se la politica non si occupa della vita dei cittadini, a cosa servirebbe, potrei anche invertire la domanda e dire a cosa servono dei politici che non hanno una vita privata in cui testare l'utilita' e la praticabilita' di certe norme!
Uscendo da questa doverosa premessa, quanto diro' non sara' per raccontare il mio privato, ma come alcuni eventi personali mi hanno dato occasione per alcuni interventi legislativi in direzione di una maggiore liberta'.
L'unico filo che provero' a tenere e' quello cronologico: partorire e la praticabilita' in Italia per una donna di decidere di farlo senza dolore, e poi come sopravvivere senza servizi adeguati dopo avere avuto un figlio: la donna e' davvero libera di continuare a lavorare?


Sul parto senza dolore si e' detto molto nell'ultimo anno, ora e' tempo di provvedere e l'occasione e' data in Commissione Affari Sociali dalla discussione di un testo sul parto. Sono diverse le proposte di legge (a cui si e' aggiunto anche il testo del Governo) gia' riunite in un testo il cui titolo dovrebbe gia' indicare la direzione: "Norme per la tutela dei diritti della partoriente, la promozione del parto fisiologico e la salvaguardia della salute del neonato". Tra le finalita':
- favorire il parto fisiologico;
- la possibilita' di ricorrere al parto senza dolore anche con l'obbiettivo di ridurre l'eccessivo numero di parti con taglio cesareo;
- potenziare l'attivita' dei consultori familiari;
- rafforzare gli strumenti per la salvaguardia della salute materna e della salute del neonato;
- introdurre cartelle ostetriche computerizzate;
- la promozione dell'allattamento al seno;
- garantire e assicurare la qualita' dell'assistenza ostetrica, anestesiologica e pediatrico-neonatologica;
- dimissioni precoci e appropriate dall'ospedale garantendo l'assistenza domiciliare ostetrica e pediatrica;
- contrastare le disequita' territoriali e sociali;
- promuovere la continuita' assistenziale per tutta la durata della gravidanza, ma anche dopo la nascita;
- corsi preparto, ma anche incontri post partum e scambi di esperienze.
Nella pratica si tratta di inserire tra i Lea (livelli essenziali delle prestazioni a carico del Sistema Sanitario Nazionale) l'epidurale, scrivendo testualmente nella legge: "nel quadro di una sempre maggiore umanizzazione dell'evento nascita, mediante il controllo e la gestione del dolore nel travaglio parto".
Attenzione particolare viene rivolta al diritto della donna di vivere l'evento in un contesto umanizzato e sicuro, garantendo la possibilita' di fruire di uno spazio riservato dove possano avere accesso le persone con cui la donna abbia deciso di condividere l'evento.
Un articolo che al momento mi lascia perplessa, e' quello di prevedere il parto a domicilio. Credo che il parto debba avvenire in strutture sanitarie in cui sia possibile, in caso di necessita', intervenire sia sulla donna che sul neonato con personale e attrezzature adeguate. Se lascerei alle regioni la liberta' di verificare la possibilita' di fare sperimentazioni sul parto a domicilio, non ritengo utile che venga data indicazione e quindi obbligo alle regioni di predisporsi a realizzare il parto a casa.

Ma torniamo all'epidurale e al taglio cesareo.
I dati dell'ultimo rapporto Istat (giugno 2006) parlano chiaro: l'Italia e' il Paese con il più alto numero di parti con taglio cesareo dell'Unione Europea: la percentuale e' pari al 35,2%, oltre il doppio della quota massima del 15-20% raccomandata nel 1985 dall'OMS.
E' evidente lo stacco rispetto ai Paesi dell'Unione Europea, il cui tasso medio di cesarei e' pari al 23,7%. Anche Stati Uniti e Canada hanno percentuali di parti cesarei nettamente piu' basse dell'Italia (rispettivamente 27,5% e 21,2%).

La vicenda dell'epidurale in Italia e' del resto sintomatica.
In un documento del Comitato Nazionale di Bioetica del 2001, si dedicava un intero capitolo al "dolore nel parto". Vi si sosteneva che la decisione se praticare o meno tale anestesia "deve essere riservata ad ogni singola donna sulla base di un'informazione corretta sui vantaggi, i rischi e le possibilita' delle due soluzioni". E ancora si evidenziava come "il diritto della partoriente di scegliere un'anestesia efficace dovrebbe essere incluso tra quelli garantiti a titolo gratuito nei livelli essenziali di assistenza". A distanza di 6 anni il documento e le sue raccomandazioni, sollecitate dall'allora presidente del Consiglio, Giuliano Amato, non si sono ancora tradotte in realta'.
Se in Gran Bretagna e Francia questa anestesia viene utilizzata dal 70% delle partorienti, dal 90% negli Usa, in Italia esistono pochissimi dati. Gli unici Istat risalgono al 2001, in cui viene fornito anche un interessante profilo sociologico delle donne che fanno ricorso al parto senza dolore. "Complessivamente il 63,3 % delle partorienti non e' stato sottoposto a nessun tipo di anestesia. [...] Soltanto per l'11,2% dei parti spontanei e' stata fatta l'anestesia; il 7,2% locale, il 3,7% epidurale". (Istat, aprile 2001).
La diffusione in Italia del parto senza dolore e' ancora affidata alla buona volonta' delle strutture e dei piani sanitari regionali. In merito a questi e' da segnalare una situazione particolarmente sconfortante quale quella della Toscana, dove nonostante il piano regionale 2005-2007 faccia un esplicito richiamo al fatto che la donna possa scegliere questo tipo di parto, nella pratica si verifica una estrema difficolta'.
L'Aduc (associazione per i diritti degli utenti e consumatori) ha realizzato un'indagine telefonica regionale lo scorso 21 febbraio 2006 per verificare l'esercizio effettivo di questo diritto da parte della paziente. In 12 dei 33 punti nascita (36%) e' possibile partorire con l'epidurale su richiesta della paziente e in maniera gratuita, almeno in teoria (turni anestesisti, ostracismi del personale che non vuole oberarsi di lavoro in piu', contrarieta' ideologica, etc..). Nei restanti 19 punti nascita (57%) non e' previsto, neppure in teoria.
Ecco perche' occorre garantire tra i livelli essenziali di assistenza del SSN le prestazioni di controllo del dolore nel travaglio-parto, effettuate tramite ricorso a tecniche avanzate di anestesia locale e di tipo epidurale. Obbiettivo non e' quello di imporre tale modalita' di parto, ma di fornire maggiori informazioni e permettere alla donna di scegliere come partorire. Un buon parto e' senza dubbio un buon inizio per un rapporto fondamentale tra madre e figlio, viverlo nel dolore non e' per tutte una bella esperienza e spesso da non rifare!

Un'altra scelta di liberta' che oggi viene negata in sala parto e' quella riguardante la conservazione delle cellule staminali del cordone ombelicale: o le doni oppure vengono buttate. Staminali salvavita, preziose cellule capaci di curare malattie del sangue, leucemie e speriamo in futuro anche altro, oggi ricevono questo assurdo trattamento. Dopo anni di assurde ordinanze completamente proibizioniste sulla possibilita' della conservazione autologa, cioe' personale, l'ultima in scadenza a primavera riconosce la possibilita' previa autorizzazione del Centro Nazionale Trapianti, ma solo all'estero. I dati forniti dal ministero ad una mia interrogazione parlano di 1400 cordoni autorizzati ad espatriare nell'ultimo anno, con una crescita costante di richieste tale che, nel solo mese di dicembre, erano ogni giorno 16 le donne che si rivolgevano al Centro Nazionale Trapianti. E cosi' nell'Italia in cui neppure il 10% dei cordoni viene conservato e donato alle banche pubbliche, si impedisce al restante 90% la possibilita' di una conservazione autologa. Anche questa possibilita' dovrebbe trovare spazio nella legge sul parto.

Quando la donna e il bambino escono dalla sala parto prima e dall'ospedale poi, siamo solo all'inizio di quella che e' l'avventura di diventare genitori e di trovarsi una vita completamente scombussolata a causa della presenza di una nuova vita, quella del figlio!
Fate figli, sposatevi -o almeno unitevi in unioni di fatto- e riproducetevi... sembra una sorta di mantra che arriva da molte parti. A questo messaggio non sembrano seguire politiche idonee a supportare scelte che sono sempre piu' consapevoli, e infatti arrivano sempre in eta' piu' avanzata; questo dovrebbe significare che si tratta di scelte consapevoli e ragionate. Non parlo delle politiche per la famiglia, ma per la donna. Se su una cosa si puo' essere certi, e' che i figli li fanno le donne, poi, in alcuni casi, i bambini si ritrovano dei papa' amorevoli ed affettuosi; in alcuni casi le mamme si ritrovano anche un uomo che da' loro una mano, ma la maggior parte del carico e' della donna, con conseguenze importanti sulla sua vita, anche lavorativa.

Alcuni dati.
Secondo un'indagine Isfol PLUS del 2005, tra uomini e donne permane una differenza retributiva, in media del 22% e la maternita' e' ancora la causa principale dell'abbandono del lavoro da parte delle donne. Il 13,5% delle lavoratrici, infatti, esce dal mercato del lavoro, momentaneamente o definitivamente, dopo la nascita di un figlio. Diventare madri e' il fattore primario che determina lo scivolamento verso l'inattivita' o il sommerso femminile, ed e' la principale fonte di discriminazione sui luoghi di lavoro.
Tra gli strumenti che possono conciliare vita privata e professionale, per le donne che continuano a lavorare dopo la maternita', la rete dei parenti, e in particolare i nonni (50,5%), occupa il primo posto; seguita dal nido pubblico (17,7%) e da quello privato (11,4%); il 9%, infine, si avvale di una baby-sitter. L'aiuto del partner, invece, viene percepito dalle donne come occasionale (41%). Il che vuol dire, osserva l'Isfol, che la condivisione dei compiti all'interno della coppia, ancora non e' tale da favorire in misura rilevante la permanenza delle donne nel mercato del lavoro. Nonostante la fruizione di congedi parentali da parte degli uomini sia in ascesa (nel 2004 il 24% degli uomini contro il 76% delle donne), come pure la richiesta di part time maschile, solo l'11% dei padri si occupa in modo sostanziale dei propri figli in eta' prescolare, e coloro i quali lo fanno appartengono a categorie professionali, quali impiegati e insegnanti.
Gli accordi comunitari di Lisbona ci chiedono di arrivare nel 2010 con una copertura territoriale di asili nido pari al 33%. Purtroppo non ce la faremo se continuiamo di questo passo. Oggi siamo a neppure il 10%, occorrerebbero 9 miliardi di euro, mentre l'attuale finanziaria ha stanziato solo 300 milioni, che pure venissero spesi nel migliore dei modi, ottenendo un effetto moltiplicatore a livello regionale, secondo il ministro per la Famiglia, Rosy Bindi, potremmo al massimo raggiungere il 15%.
Un fallimento annunciato non solo perche' produrra' la mancanza di servizi per i bambini, ma anche per le donne. Promuovere politiche per le famiglie e per le pari opportunita' vuol dire investire in servizi e strutture per riuscire a conciliare il lavoro con la genitorialita'. Gli asili nido, i micro-nidi, anche aziendali, devono poter essere una scelta per i genitori che lavorano, si' da avere i propri figli vicini durante la giornata.
Il cattivo esempio del legislatore e' dato dalla vicenda dell'asilo nido e della nursery alla Camera dei Deputati. Io sono arrivata in Parlamento con mia figlia dentro il marsupio alla tenera eta' di 1 mese e mezzo. Ho chiesto con testardaggine e con insistenza, ed ho ottenuto, che si predisponesse un ambiente per allattarla, avrei potuto allattare fuori come era gia' successo, ma non mi sembrava giusto. Ora cerco di impegnarmi anche per le altre donne che lavorano a vario titolo alla Camera dei Deputati, perche' ci si doti di un asilo nido aziendale. L'Italia e', infatti, l'unico Paese nell'Unione Europea a non avere una casa dei bambini nelle piu' alte istituzioni. Da dieci anni giace arenato nelle pastoie burocratiche, tutte maschili, il progetto asilo nido: frenato da sopralluoghi, consulenze e rimandi. Non e' un caso che c'e' lo spazio per il barbiere ma non per i bambini!

La nuova presidenza della Camera, a differenza della precedente, ha mostrato una disponibilita' per la nascita dell'asilo nido, del resto stiamo parlando di una realta' di circa duemila dipendenti, a cui si possono aggiungere i 630 parlamentari, gli assistenti, addetti stampa, i giornalisti accreditati, insomma un bacino d'utenza notevole. I Palazzi, oltre Montecitorio, sono tantissimi da Palazzo Marini a Vicolo Valdina, da San Macuto a quello dei gruppi, eppure il problema attuale e' quello di trovare uno spazio.
Nonostante delibere gia' esistenti, al momento siamo , bloccati ai sopralluoghi, alle necessarie autorizzazioni dei funzionari e poi comincera' la ricerca dei soldi... un anno e' passato e l'asilo nido, se non raccoglie le prenotazioni, e' impensabile che vedra' la luce!
Io me lo posso permettere e districandomi con due baby sitter una a Firenze e l'altra a Roma riesco a sopravvivere facendo fare la pendolare anche a mia figlia: lo stipendio parlamentare mi consente di lavorare e avere mia figlia con me, o quantomeno accudita a secondo della mia giornata lavorativa, con tempi spesso difficilmente imprevedibili. Il mio pensiero e la mia preoccupazione e' invece rivolto a chi ha stipendi decisamente diversi, e ad un certo punto si inizia a chiedere se ha un qualche significato lavorare per mantenere il bambino all'asilo. E spesso la risposta e' rinunciare al lavoro per dedicarsi a tempo pieno al mestiere di mamma. Una scelta che, se fosse completamente libera, non dovremmo guardare con preoccupazione. Purtroppo cosi' non e', e invece di riempirsi la bocca delle parole spesso vuote di politiche per la famiglia e pari opportunita', cominciamo a guardare in concreto cosa manca per sostenere una donna che decide, nonostante tutto, di avere un figlio.
 
 
 
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