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Cerchiamo le cellule staminali ottimali: intervista a Rudolf Jaenisch.
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Articolo di Redazione
21 settembre 2011 18:49
 
Quando il tedesco Rudolf Jaenisch è in Germania, è solo per una visita; la patria elettiva di quest'esperto in cellule staminali sono infatti gli Usa dove, da oltre venticinque anni, lavora presso il Whitehead Institute a Cambridge nel Massachusetts. Ritenuto uno dei migliori ricercatori nel suo campo, adesso si trova a Berlino per una conferenza internazionale al Centro Max-Delbrueck di medicina molecolare. Anne Bruening della Berliner Zeitung l'ha intervistato.

Professor Jaenisch, s'interessa ancora alle cellule staminali embrionali, oppure sono fuori gioco da quando esistono alternative eticamente meno problematiche?

Le cellule staminali embrionali sono molto importanti, e lo rimarranno nel prossimo futuro, visto che non sappiamo ancora esattamente cosa sia una buona cellula pluripotente. Con pluripotente s'intende la capacità delle cellule di trasformarsi in tutti i tessuti del corpo ma non di formare un organismo completo. Le staminali embrionali sono invece questi talenti universali.

Cosa c'è ancora da sapere?

Le cellule embrionali su cui lavoriamo oggi sono coltivate in base al protocollo del ricercatore statunitense James Thomson che, negli anni '90, è stato il primo a isolare cellule embrionali umane. Nel frattempo sono emersi certi indizi per cui è possibile che le staminali embrionali convenzionali non siano le migliori. E dunque bisogna cercare quella ottimale, per così dire.

Cos'è che fa dubitare della qualità delle linee attuali?

Le esperienze fatte con le cellule di topo. Con loro si può fare di tutto: si possono manipolarle geneticamente, consentono di coltivare geneticamente esseri misti (chimere). Con le staminali umane ciò non è possibile poiché crescono male, sperimentare è molto laborioso, la manipolazione genetica inefficace.

Quindi ci sono cellule staminali ottimali e sub-ottimali?

Sì, lo stadio sub-ottimale lo definiamo "primed" e quello ottimale "naiv". Le cellule staminali classiche di topo -finora ottimali- derivano da blastocisti, ossia da cellule di un embrione di pochi giorni. Meno ottimali sono le linee coltivate da cellule di un embrione impiantato, che provengono cioè da uno stadio successivo. Queste cellule sono sì pluripotenti, ma meno immature delle staminali embrionali "naiv"; con loro non si possono produrre chimere, hanno presupposti di crescita diversi. Sebbene anche le linee di cellule staminali umane provengano dallo stadio di blastocisti, assomigliano alle cellule "primed" di topo, perciò sono sub-ottimali.

Si possono migliorare le cellule staminali successivamente?

E' stato uno dei nostri maggiori progetti più recenti. Abbiamo potuto dimostrare che anche con le cellule umane i due stadi si possono convertire l'uno nell'altro. Però non è facile. Bisogna adottare dei trucchi genetici.

Qual è lo scopo di un'operazione così difficile?

Dobbiamo fissare uno standard di riferimento per le cellule pluripotenti; per ottenerlo ci servono cellule staminali embrionali nuove. Ma in un futuro lontano si potrà facilmente farne a meno.

Nel lungo periodo andranno per la maggiore le celle pluripotenti indotte (iPS), ossia le cellule somatiche riprogrammate, visto che non ci sono remore etiche nel reperirle?

Le cellule iPS sono straordinariamente importanti. Però dobbiamo scoprire che aspetto debbono avere nel caso ideale.

Quanto è avanti la ricerca in quest'ambito?

E' una tecnologia che esiste dal 2006 e in linea di massima funziona. Ma ci sono ancora molti problemi pratici. La mia équipe è stata la prima ad adottare terapeuticamente le cellule iPS. Nei topi siamo riusciti a curare l'anemia drepanocitica. Ma per gli uomini ci sono ancora molti problemi tecnici da risolvere. Non ci sono mai state terapie efficaci.

La trasformazione delle cellule somatiche funziona senza intoppi?

La tecnologia può essere ancora migliorata. Bisogna evitare che nelle cellule ci siano dei vettori -ad esempio virus, trasferiti con i geni.

Quando avverrà la prima applicazione clinica di queste cellule?

Siamo ancora ben lontani. Non possiamo fare promesse avventate. Innanzitutto è importante che ora si possano studiare le malattie umane in provetta.

A cosa sta lavorando il suo gruppo in questo momento?

Siamo tuttora molto interessati al quesito della pluripotenza e come possiamo definirla. E con le cellule iPS stiamo costruendo dei modelli, per esempio per il Parkinson.

Succede anche con le cellule staminali, come in tanti altri settori, che andando a vedere da vicino tutto è molto più complicato di quanto si pensasse?

Non direi. Sei anni fa pensavamo ancora di poter avere cellule specifiche per un dato paziente attraverso il trapianto nucleare -ossia riprogrammando una cellula adulta in un ovocita. Questo procedimento, detto anche clonazione terapeutica, era molto vago e inadatto a una terapia di routine. Nonostante tutti gli sforzi, finora non ha funzionato. Ora dobbiamo risolvere soprattutto difficoltà tecniche -e ciò è pur sempre un grosso passo avanti. Tutto sommato il settore si è sviluppato più in fretta di quanto ci aspettassimo.

(traduzione di Rosa a Marca)

 
 
 
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