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 ARGENTINA - ARGENTINA - Argentina. Analisi e prospettive di Jose' Cibelli
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Articolo di Rosa a Marca
29 marzo 2007 14:22
 
Se il film di Almodovar implorava "Parla con lei", l'argentino Jose' Cibelli -professore all'Universita' del Michigan e uno dei massimi esperti di cellule staminali- dice: "Parliamo con l'ovulo". Questo dialogo non si fa con le parole, ma con paroline microscopiche che conducono alla cellula e si chiamano geni. L'ovulo ha una capacita' unica: se gli si immette il nucleo di una cellula qualunque, per esempio della pelle, puo' convertirla in una cellula indifferenziata, come se fosse embrionaria, ossia una cellula staminale. Il cammino scelto da Cibelli e da altri studiosi consiste nell'indagare a quali geni ricorra la cellula uovo affinche' il miracolo possa compiersi e mettere in azione, in altre cellule, gli stessi geni. Cio' consentirebbe (e' questa la scommessa a lungo termine) di prelevare cellule dalla pelle di una persona, per trasformarle in tessuto pancreatico di cui essa ha bisogno per rimediare al diabete, oppure in tessuto nervoso, se fosse affetta da Parkinson. In realta', esiste gia' un metodo, la cui praticabilita' e' stata sperimentata nei mesi scorsi: e' la "partenogenesi", in cui l'ovocita, senza spermatozoo, si divide e da' luogo a cellule staminali per quella particolare donna. Naturalmente e' un metodo applicabile solo alle donne, e quindi si puo' immaginare un futuro dove le donne, per sempre giovani, vedano gli uomini proseguire verso la decadenza. Ma, al di la' di questo o di altri scenari futuribili, Cibelli si sofferma su quello che sicuramente e' il presente: non esiste ancora, e non e' nemmeno nelle primissime fasi di ricerca, nessun utilizzo terapeutico di cellule staminali. E' bene saperlo, giacche' -avverte- hanno gia' fatto la loro comparsa medici privi di scrupoli che offrono cure con "cellule staminali".
"In seguito al caso coreano, la clonazione terapeutica e' entrata in crisi", spiega; l'anno scorso presento' lui stesso una relazione sull'argomento durante le Giornate della Societa' Internazionale di Bioetica. Ricapitolando, il "caso coreano" e' lo studio di un gruppo diretto dal professor Hwang Woo Suk dell'Universita' di Seul che, nel 2004, fu accettato dalla prestigiosa rivista Science. L'articolo, dall'enorme impatto mediatico, annunciava che era stata ottenuta, per la prima volta nella storia, la "clonazione terapeutica". Cosi' veniva spiegata la tecnica usata: si introducono nuclei di cellule adulte umane negli ovociti provenienti da donne donatrici, ovociti cui e' stato tolto il nucleo. Pochi mesi dopo, gli editori della rivista ammisero e denunciarono che l'articolo era un falso. I referenti scientifici di Science erano stati ingannati, e lo stesso Cibelli rimase impigliato nella rete come consulente del gruppo coreano, in veste di esperto di partenogenesi. "Quando si entra in una collaborazione scientifica c'e' sempre la buona fede; uno non s'immagina che l'altro stia agendo con disonesta'", commenta, e spiega che l'incredibile truffa e' potuta accadere "perche' si sono combinate: l'ambizione personale del direttore del gruppo, l'enorme disponibilita' di fondi e, forse, un certo tratto della cultura coreana, in cui prevale un grande rispetto nei confronti dei superiori. Nel mio laboratorio ho un paio di ricercatori coreani che sono eccellenti, ma hanno troppo rispetto per me: ai miei studenti chiedo di sfidarmi in continuazione, di segnalarmi i miei errori". Ad aggravare la crisi c'e' la circostanza che gli esperimenti di "clonazione terapeutica" comportano un problema etico: richiedono la partecipazione di donatrici volontarie di ovuli, le quali devono sottoporsi ad iperstimolazione artificiale delle ovaie. "Oggi consideriamo che non sarebbe etico sottoporre donne ad iperstimolazione ovarica per esperimenti insicuri, da cui loro stesse non avrebbero un beneficio", sostiene il fisiologo, giunto in Argentina come invitato al XII Congresso della Societa' argentina di medicina riproduttiva (Samer).
Diversa e' la prospettiva della partenogenesi. "Consiste nell'ottenere cellule staminali partendo da un ovocita non fecondato. E' possibile stimolarlo in modo che, senza la presenza di spermatozoi, si divida e si sviluppi fino a produrre cellule staminali. Negli ultimi tre mesi e' stato dimostrato che queste cellule sono al cento per cento compatibili cone quelle di qualsiasi tessuto della stessa donna da cui l'ovocita proviene. Cio' apre, per le donne in eta' riproduttiva, la possibilita' di avere cellule per la cura delle proprie eventuali malattie, quando i trattamenti fossero messi a punto". D'altra parte, "la partenogenesi non potrebbe dare luogo a un embrione; le cellule si sviluppano solo nell'arco di qualche giorno e dopo muoiono, ma il tempo e' sufficiente perche' si possano separare le cellule staminali. Non c'e' nessun problema etico nel sottoporre ad iperstimolazione ovarica una donna se lo scopo e' di ottenere cellule per curare una malattia di cui potrebbe soffrire lei stessa".
Tuttavia, "il futuro non e' qui: il futuro e' ottenere che la stessa clonazione terapeutica diventi obsoleta", sorprende Cibelli. E' quello di cui si sta occupando attualmente. Il progetto e' di "prendere cellule somatiche, per esempio della pelle, riuscire a differenziarle fino a trasformarle in cellule staminali". Insomma, ottenere una specie di viaggio nel tempo, in modo che il nucleo di una cellula tanto specializzata da formare appunto la pelle e nessun altro organo, torni indietro fino a trasformarsi in una cellula ai primi stadi dell'embrione, una cellula staminale. Per raggiungere questo scopo, Cibelli e i suoi colleghi contano su un dato essenziale: l'ovulo, solo lui, capace d'intraprendere questo viaggio a ritroso. "Se si prende il nucleo di una cellula della pelle, e la si fonde con l'ovocita, questi ha il potere di farlo retrocedere alla condizione di cellula staminale". Cio' che cerca Cibelli e' lo stesso, ma senza ricorrere ad ovuli reali: per questo deve scoprire come faccia l'ovulo a retrocedere. Ossia, quali geni, in particolare, funzionano nell'ovulo in modo da permettergli di trasformare cellule adulte in cellule staminali indifferenziate? "Cinque mesi fa, sulla rivista dell'Accademia delle Scienze degli Usa, PNAS, abbiamo pubblicato la nostra scoperta: ci sono circa 5.000 geni che si manifestano in modo evidente e quasi esclusivamente nell'ovocita", racconta. Il problema e' che "5.000 geni sono troppi; allora, tramite modelli matematici, riduciamo il numero a un elenco di 66 geni candidati", vale a dire, che hanno piu' probabilita' di essere i responsabili della trasformazione da cellule adulte in staminali. Il problema sta nel sapere quali siano questi geni. Poiche', a questo livello, la scienza e' capace di "mettere e togliere geni di un nucleo cellulare, di porli in ON per farli funzionare o invece in OFF, per disattivarli". La questione e' con quali geni lavorare. Appena disporremo dei 66 candidati "andremo ad introdurli e ad attivarli in una cellula prelevata dalla pelle, per far si' che retroceda a cellula staminale". Allora la speranza futura e': ogni persona, a partire da un frammento della sua pelle, potra' avere la propria banca di cellule embrionali che, eventualmente, potranno trasformarsi in qualunque tessuto gli sia necessario, con la sicurezza di non subire rigetto, giacche' si tratta delle proprie cellule", riassume.
E le cellule staminali eccedenti dai progetti di fecondazione medicalmente assistita, i famosi "embrioni congelati"?. Secondo Cibelli, nemmeno loro risolverebbero il problema. "E' certo che solo negli Stati Uniti c'e' mezzo milione di embrioni congelati che nessuno piu' vuole e che potrebbero essere utilizzati per produrre cellule staminali. Ma il calcolo e' che, anche se si ottenessero 1.500 linee cellulari differenti, ed e' moltissimo, per ragioni di compatibilita' immunitaria non potrebbero servire che al 30% della popolazione". Viceversa, se si riuscisse ad imparare come fa l'ovocita a produrre le sue meraviglie, ogni persona potrebbe, una volta sviluppate le opportune terapie, riappropriarsi dei materiali che costituiscono il suo pancreas, i suoi reni e forse anche un dente o un braccio perso, partendo dalle proprie cellule.
 
 
 
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