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 ITALIA - ITALIA - Italia. Primo ricorso al Tar per chiedere la diagnosi preimpianto
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20 gennaio 2005 18:22
 
Ivana e' affetta da una malattia genetica del sangue, la talassodrepanocitosi, e suo marito Roberto e' portatore sano di talassemia. Se dovessero avere un figlio, la probabilita' di trasmettergli la malattia e' del 50%: per questo, ricorrendo alla fecondazione assistita, chiedono l'accesso alla diagnosi genetica pre-impianto, impedita pero' dalle linee guida della legge 40 emanate dal ministero della Salute. Ivana e Roberto hanno quindi deciso di impugnare le linee guida davanti al Tar del Lazio, richiedendone la sospensiva poiche' "illegittime".
A dare notizia del primo ricorso al Tar del Lazio contro le linee guida alla legge sulla procreazione assistita e' il Comitato 'No alla legge 40'.
Dopo la sentenza del Tribunale civile di Catania del 3 maggio scorso -che obbligava una donna talassemica a trasferire gli embrioni, anche qualora la diagnosi genetica di pre-impianto avesse confermato la diagnosi di talassemia, salvo poi ricorrere all'interruzione di gravidanza- un'altra coppia malata chiede quindi oggi "chiarezza e legalita"' nell'interpretazione, questa volta, delle linee guida emanate dal Governo. Infatti, secondo il testo delle stesse, sottolinea il Comitato, "l'unica diagnosi ammessa rispetto alla salute dell'embrione e' quella osservazionale, non piu' quella genetica ne' quella cromosomica, restringendo ulteriormente l'interpretazione della legge 40/2004". Le linee guida, afferma la coppia, "travalicano la stessa legge, con ulteriori interpretazioni restrittive e quindi illegittime".
La coppia e' sostenuta da numerosi interventi 'ad adiuvandum' delle organizzazioni di tutela dei malati e delle coppie infertili, che il 23 gennaio 2004 si sono riunite nel primo Comitato 'No alla legge 40'. Tra queste, la Lega italiana fibrosi cistica, il Tribunale per i diritti del malato, Madre provetta e varie altre organizzazioni onlus. Il ricorso, inoltre, e' stato proposto parallelamente anche da alcuni centri di medicina della riproduzione, sostenuti dalla Societa' italiana di fertilita', sterilita' e medicina della riproduzione.
L'accusa alle linee guida, in pratica, e' quella di "non essersi limitate al compito di fornire un orientamento clinico nel rispetto della legge, ma di averne modificato gli articoli, confondendo ulteriormente la loro interpretazione e violando la deontologia professionale degli operatori". Le organizzazioni che sostengono il ricorso sono anche componenti il Comitato referendario nazionale per i quesiti parziali.
 
 
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