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Umanizzare la morte
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Articolo di Redazione
4 dicembre 2013 14:00
 
Bernard e Georgette Cazes, entrambi di 86 anni, si sono suicidati, all'hotel Lutetia, venerdi' 22 novembre. Volevano lasciare la vita prima che la stessa li portasse al degrado o li separasse. Hanno organizzato tutto per compiere questo ultimo viaggio, pianificato da lunga data, come lo volevano: con dolcezza. Invano.
La societa' in cui viviamo non e' in grado di avere a che fare con la morte. Essa non e' in grado di distinguere tra coloro che occorre aiutare a vivere e coloro che occorre aiutare ad andarsene. Sarebbe bastato poco, una pillola letale, per queste due persone lucide e con un esemplare coraggio per addormentarsi senza soffrire, uno nelle braccia dell'altro. Invece, e' stato reso piu' difficile il sinistro percorso di chi vuole andarsene senza perdersi e senza violenza. Non c'e' alcun mezzo per garantire queste due condizioni -il rischio di fallire o di subire violenza- quando si ricorre a questa pillola. Le ricerche su Internet lo dimostrano. In questa giungla di informazioni, piu' o meno affidabili, tutto cio' che si trova prospetta maggiori inconvenienti, con l'aggiunta della paura. Quella dose o quell'altra non e' sufficiente. La minaccia di vomitare incombe su tutte le possibilita', quando si prende una pillola. Le “misure di garanzia” di un atto determinato sono traumatizzanti. Questo si chiama notoriamente “il kit della morte”: la bombola di elio e il sacco di plastica. I Cazes vi hanno fatto ricorso.
Hanno lasciato due lettere alle loro spalle.
Una per la famiglia e l'altra per il procuratore della Repubblica, nella quale e' scritto: “In base a quale diritto si vuole impedire ad una persona che non ha nessuna pendenza, in regola con il fisco, che ha lavorato tutti gli anni dovuti ed ha fatto anche attivita' di volontariato, in base a quale diritto sono in vigore pratiche crudeli quando vuole lasciare la vita?”
Si', quale diritto? E in nome di cosa una persona che ha deciso di lasciare la vita, prima di perdere le sue capacita' fisiche e mentali non ha accesso a metodi di abbandono -l'iniezione letale- che invece sono assicurati, almeno questo, ad una persona condannata alla pena capitale?
Il suicidio resta la piu' impopolare delle morti, la piu' minacciosa. Non ha nessun diritto, Come se l'altra ne avesse. Questo passa Dio. Come se Dio fosse un obbligo. Le rimozioni di questa decisione terribilmente solitaria, spesso funesta, talvolta liberatoria, sono innumerevoli. Sono confuse, e questo confonde le vite. Rinviando di volta in volta coloro che vogliono la morte per un qualche problema -d'amore, di sostegno, di lavoro- e coloro che nella fattispecie vogliono controllare tutto, in nome di un degrado fisico e mentale, e' un attentato a tutta la gamma dei diritti umani. Questo vizio di comprensione e' pertanto piu' grave se si considera che il suicidio in Francia ha proporzioni inquietanti, Seconda causa di mortalita' dopo gli incidenti automobilistici, presso i giovani 15/24enni, viene reso banale anche se coinvolge un numero incalcolabile di lavoratori o disoccupati umiliati, di cui i media ci forniscono piu' volentieri i numeri che non i nomi. Perche' si informa molto di piu' su un crimine che su un suicidio, su una persona assassinata che una che si e' impiccata da sola? Questa la dice lunga sulle discriminazioni del nostro rapporto con la morte, e quindi con la vita.
Per questo, piu' la morte e' mostrata, pubblicizzata, messa in mostra, piu' essa e' in ostaggio dell'altro. Piu' essa appare e resa con immagini, piu' perde in spirito e realta'. La curiosita' supera la lucidita' e la negazione supera la responsabilita'. Si vuole sapere chi ha ucciso chi e perche', non si vuole sapere chi si e' ucciso e perche', a meno che non si tratti di una star, di una vita legata allo spettacolo. Quando ci sono degli impiegati di France Telecom o della Peugeot, si aspetta che l'onda passi. Noi sopportiamo la morte tra la folla, sui nostri schermi, sulla scena, nei videogiochi, noi non vogliamo vedere come essa in realta' sia: nuda e solitaria.
Il rifiuto di vedere in faccia i suicidi evitabili, comporta che cio' che non si e' potuto fare e' molto simile al rifiuto di aiutarli, quando questi suicidi sono la scelta di una sofferenza intollerante e senza rimedio o di un cervello clinicamente minacciato dal naufragio. Il divieto della morte a discapito della dignita' umana, sara' forse percepito un giorno, occorre sperarlo e volerlo, come nel caso del divieto della vita. Perche' morire, e' ancora vivere. E ancora piu' che mai. Aiutare qualcuno a morire, e' aiutare qualcuno a vivere. Significa umanizzare la morte.
Bernard e Georgette Cazes non hanno avuto diritto a questa assistenza. Non sono i soli ad essere privati da questo diritto. Le loro lettere testamentarie fanno venire in mente le ultime parole di Kafka, tremante di dolore, al suo medico: “Uccidimi, altrimenti sarebbe un assassinio”.
Trent'anni fa, un amico, che viveva con la sua vecchia madre che adorava, era venuto a trovarmi per dirmi: “La mamma non e' piu' autosufficiente e soffre atrocemente. Ha 90 anni, vuole andarsene e non sa come fare. Puoi procurarmi una copia di 'Suicidio, modalita' d'uso'?”. Era il tempo in cui il libro non era stato ancora censurato sulle informazioni pratiche che dava. Io non lo avevo, ma avrei potuto procurarmelo. Non ne ho avuto il coraggio. Una settimana dopo, seppi che sua madre era salita su una sedia all'ultimo piano del palazzo per potersi gettare dalla finestra. Il dolore di questo uomo era innominabile.
Noi siamo costantemente informati su tutto e privati delle informazioni sui mezzi per andarsene quando riteniamo sia giunto il momento. Il caso individuale e' inghiottito dalla macchina delle cifre, dei gruppi, delle masse. La pluralita', un po' ovunque, si mangia il singolare. Le liberta' sono migliori rispetto alla liberta' di chi sta perdendo terreno nella mente e nei fatti. C'e' una urgente necessita' dopo l'abolizione della pena di morte: il libero accesso alla dolce morte. Il diritto di scegliere il proprio momento, quando la vita e' estenuante, finita. Il diritto di andarsene come ci si addormenta, senza doversi gettare sotto un vagone della metropolitana, senza infilarsi una pallottola nella testa o passarsi una corda intorno al collo. Non saremo mai abbastanza numerosi nel sostenere la battaglia dell'associazione “Mourir dans la dignité".
Il filosofo rumeno Emil Cioran diceva: “Senza l'idea di suicidio, io mi sarei ucciso da diverso tempo”. A questo aggiungo che assicurarsi un buon mezzo per uccidersi, ci aiuterebbe a pensare meno di averne bisogno, perche' avremmo tutto l tempo di pensarci. La disperazione non e' mai piu' disarmante rispetto all'essere ascoltato. Sapere di poter morire in pace fa venire voglia di vivere.

(articolo di Dominique Eddé, scrittore, pubblicato sul quotidiano Liberation del 04/12/2013)
 
 
 
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