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Testamento biologico: normativa da innovare o diritto da rispettare?
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Articolo di Claudia Moretti
17 febbraio 2006 0:00
 
Non se ne parla di questi tempi, e nemmeno chi lo scrive timidamente nel proprio programma elettorale si sente libero di parlarne: e' il testamento biologico. Terreno che la disinformazione ed il silenzio confinano a fianco dell'eutanasia, tabu' non solo italiano. Lo si ritiene evidentemente tema spinoso, impegnativo, ed elettoralmente poco appagante.
Ma contrariamente a quanto il panorama informativo consente di capire, il testamento biologico e' terreno molto piu' lontano dall'eutanasia di quanto non sia vicino alla vita, alla persona, alle proprie scelte terapeutiche. Scelte e consenso informato alle cure mediche, conquiste alle quali, noi esseri senzienti e capaci, mai ci sogneremmo di rinunciare.
Del resto, non a caso le varie commissioni di bioetica che si sono susseguite negli anni, l'Ordine dei medici, le file vaticane stesse, persino sentenze di giudici conservatori, ma soprattutto il nostro Governo in sede di adesione alla Convenzione di Oviedo, tutti unanimemente hanno dichiarato il loro accordo sulla necessarieta' di norme che delineino la valenza legale delle direttive anticipate di trattamento (o testamento biologico).
Insomma, nessuno puo' dirlo pubblicamente, vista l'assenza di dibattito pubblico, e nonostante cio' lo si ritiene in qualche modo atto dovuto.
Perche'?
Perche' il diritto che ne sta alla base e' gia' nell'ordinamento, ed una sua piena attuazione e' atto dovuto, ai fini di una effettiva sua difesa.
E' indubbio (e sfidiamo tutti i giuristi a negarlo) che se e' costituzionalmente garantito il diritto alla scelta terapeutica e all'obbligatorieta' del consenso alle cure per il soggetto capace di intendere e di volere (art. 32 Cost.), altrettanto - pena la patente incostituzionalita'- deve esserlo per il soggetto incapace che, se pur non in grado di riconfermarla, abbia gia' espresso la propria volonta'.
L'evidenza di cio' non trova ostacoli nei presunti "doveri" del medico di curare o -persino!- del paziente incapace a farsi curare secondo decisioni altrui, interpretazioni fondate su ricostruzioni che chiamano in ballo normative di rango inferiore e direi residuale, se non addirittura "salva medico" (es. le c.d scriminanti del codice penale, stato di necessita', diritto a curare, dovere di curare).
Oltre che a rigor di buon senso, e a prescindere dalle conquiste di civilta' che tale diritto positivo porta in se', la Costituzione rimane fonte primaria ed e' dai piu' ritenuta immodificabile nella sua prima relativa ai diritti, dunque non derogabile con altro espediente normativo.
Inoltre, esistono norme -cogenti e precettive nel nostro ordinamento- che sanciscono ed in parte attuano il diritto al consenso delle cure mediche: Art. 9 Convenzione di Oviedo sottoscritta il 4 aprile 1997 nonche' introdotta con strumento di ratifica con legge nel 2001, nonche' il Codice Deontologico dei Medici. Secondo entrambe le normative il medico non puo' non tener conto, della volonta' precedentemente espressa dal paziente attualmente incapace di esprimersi.
Il testamento biologico, dunque, altro non farebbe che dare altra forma alla gia' esistente tutela dell'ordinamento delle volonta' espresse del paziente incapace. Con la particolarita' di rafforzare la certezza del diritto stesso, attuare gli impegni internazionali presi in Europa dal nostro Governo, orientando in modo chiaro, laddove non sia possibile fare altrimenti, i precetti comportamentali dei medici.
Crediamo di non sbagliare dicendo che l'introduzione di normativa atta a introdurre la forma scritta, per le dichiarazioni anticipate di trattamento, o altra forma tipica propria, rigorosa, quali l'atto pubblico o scrittura autenticata o quant'altro di piu' solenne, non sia che una modifica volta a render certa, in qualche modo piu' sicura, nei contenuti e nel riferimento alla persona che li ha formulati, la volonta' di chi attualmente e' incapace di riproporla.
Tale volonta', merita ribadirlo, e' gia' costituzionalmente "sacra", e non lo sara' maggiormente, rispetto ad oggi, quando saranno modificate ed individuate tassativamente le forme della sua manifestazione. Sara' semmai volonta' più riconoscibile agli operatori pratici, siano essi familiari, sanitari o giudiziari. Ma non per questo sara' meno inviolabile di oggi!
Crediamo fermamente, infatti, che l'assenza di norme che regolano la forma giuridica di un atto, tanto piu' personalissimo e cioe' importantissimo per l'ordinamento, non equivalga affatto a una assenza del diritto di compiere quello stesso atto, ne' tantomeno all'assenza di tutela giuridica contro coloro che non lo rispettino sostituendo altra volonta' a quella gia' espressaa, siano essi familiari o medici.
Nell'attesa gli operatori si dovranno regolare alla meno peggio: rispettando le volonta' comunque e in qualsivoglia modo siano state espresse, secondo il ben noto -ai giuristi- principio generale dell'ordinamento della liberta' della forma degli atti giuridici. Per questo, chiunque oggi dica e ridica agli amici, ovvero scriva ai parenti, al proprio medico, le proprie decisioni sulle possibili cure future in caso di perdita di coscienza, sta gia' esercitando un proprio diritto a futura memoria.
Diritto che, pur nelle difficolta' attuative non puo' certo esser stravolto. In quanto diritto, pienamente coercibile nei confronti dei medici e dei familiari, eventualmente in sede giudiziaria.
 
 
 
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