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Spagna. L'ultima conversazione con Inmaculada Echevarria
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Articolo di Rosa a Marca (trad.)
16 marzo 2007 0:00
 
Da El Pais del 15 marzo 2007

Una settimana prima che le venisse staccato il ventilatore polmonare come aveva chiesto, Inmaculada Echevarria ha parlato a lungo con un amico; la conversazione e' stata registrata per il quotidiano El Pais enoi ne riportiamo ampi passaggi.
Nel colloquio con una delle persone che piu' le sono state vicine negli ultimi tempi la donna ha ripercorso la sua vita, ha riaffermato il suo desiderio di morire ed e' apparsa serena e decisa. Risale al 7 marzo, prima che la trasferissero in un altro ospedale, ed e' stata l'occasione per fare il riassunto della sua storia ("dagli 11 anni ho sempre penato"), per ricordare la morte dei genitori, il dolore di dover dare in adozione suo figlio ("quello mi e' mancato molto") e per ribadire che da quasi trent'anni la sua vita non valeva piu' la pena d'essere vissuta. Un desiderio? Essere ricordata come "Inmaculada la guerrera".
Gli ultimi giorni di Inmaculada sono stati piu' agitati di quanto potesse auspicare. Tuttavia, mentre alcuni vescovi insistevano nel negare la legalita' della disconnessione del respiratore, e la Giunta dell'Andalusia s'affannava a "garantire" l'adempimento "dei diritti" della paziente, essa trascorreva le sue ore allo stesso modo degli ultimi dieci anni: a leggere, guardare la televisione, ascoltare musica e ricevere la visita dei suoi tre migliori amici. I medici che l'hanno avuta in cura all'ospedale San Rafael le avevano chiesto un po' di pazienza, e lei ha accettato. "Fin quando non si placa (l'attenzione mediatica) non si puo' fare nulla. Piu' che altro, per rispetto dell'ospedale", dicevano.
Dieci anni attaccata a una macchina, quasi un'amica ormai. Ma Inmaculada risponde di no, che non ci si abitua alla macchina. E ricorda con una certa nostalgia il tempo in cui, dopo che gia' le era stato attaccato il respiratore, poteva ancora muoversi sulla sedia a rotelle. "Uscivo per strada qualche volta. C'era un giardino molto bello". La dipendenza dalla ventilazione meccanica e' stato un gradino in piu', quasi l'ultimo, quello che le ha tolto ogni dubbio sul fatto che la sua vita non valesse piu' la pena. "Tutta la vita a soffrire, da quando avevo 11 anni. Me ne accorgevo perche' mi stancavo a camminare, non potevo fere una vita normale". Cosi' l'inizio della sua malattia. E da quel momento, la vita le ha inferto molti piu' colpi di quanti statisticamente spetterebbero a una persona giovane cui sia stata diagnosticata una malattia degenerativa e incurabile. Nel colloquio ne cita qualcuno: "Quando mio padre e' morto avevo 17 anni. Quando e' morta mia madre ne avevo 25". Dodici anni fa ha perso anche sua sorella, alla quale era molto legata; un altro fratello e' morto prima che lei nascesse -oggi avrebbe 52 anni. Ma un evento, in particolare, l'ha segnata. Ventisette anni fa, suo figlio aveva otto mesi quando suo marito mori' in un incidente stradale. "Non ero in grado di tenerlo con me". Da allora madre e figlio si sono visti poco, a fasi alterne. Quattro anni dopo il periodo piu' difficile della sua vita fu trasferita a Granada in un istituto di suore dove rimase per tredici anni. Non provava nessun interesse e, malgrado possedesse ancora una certa mobilita', si sentiva sempre piu' depressa. Un giorno si ruppe la gamba destra e contemporaneamente iniziarono i problemi respiratori; la malattia si aggravo'. "Li' il vaso fu colmo. Anche se la gente non lo capisce perche' non vive in un letto come me". Ma gli altri nella sua condizione, che pero' la sopportano? "Io non m'intrometto nella vita degli altri". E se le cose cambiassero? "No, la fortuna non mi ha assistito. Solo ora, all'ultima ora, ho avuto piu' fortuna e mi considero fortunata". Adesso e' circondata da amici. E si sente amata.
Chi la conosce afferma che e' testarda. "Se si e' messa in testa di voler morire prima, riuscira' ad ottenerlo", commentava un amico il giorno dopo che Inmaculada aveva espresso pubblicamente il suo desiderio di morire. Lei, piu' che testarda, si considera "guerriera". E' cosi' che vorrebbe essere ricordata. Chiedere e ottenere che la disconnettano dal respiratore perche' non desidera piu' vivere, per lei non e' una sconfitta. E' la piu' grande vittoria della sua vita. "Essere una donna di carattere". Ammette che questo l'ha aiutata. "Per essere liberi bisogna lottare. Se no, addio. Non vado dove soffia il vento. Non mi faccio influenzare dagli altri. Dico bianco se e' bianco". E' stata talmente se stessa da cambiarsi il nome. Per tutta la vita era Juana, ma a lei non piaceva. E un giorno, a Granada, ha deciso di chiamarsi Inmaculada. A dispetto delle inevitabili complicazioni.
Negli ultimi tre anni Inmaculada o Inma ha avuto tre grandi amici. Essi hanno voluto sottrarsi al caso mediatico, ma non hanno mai smesso di farle visita e hanno contribuito a renderle molto piu' sopportabile la quotidianita' dell'ospedale. Negli ultimi mesi di vita, i momenti piu' allegri li ha avuti con la figlia del suo migliore amico, una bimba di due anni che con la sua presenza scompaginava la tediosa routine dell'ospedale. La bambina, tenuta per mano da suo padre, arrivava alla porta e diceva: "Andiamo da Mina". Cosi' l'aveva ribattezzata la bimba. "E ieri ha detto a suo padre di mettermi in macchina e di portarmi a casa loro a dormire nel suo letto". Pensando a loro , e solo per loro, le dispiace andarsene anzitempo. Si sente piu' nervosa ora che le hanno detto che la staccheranno dal respiratore? "No, sto bene. Ho pena per le persone che soffrono". Parla dei rapporti, non tutti limpidi intercorsi dal momento in cui ha chiesto pubblicamente di morire. Da quando la Giunta d'Andalusia ha accettato la sua richiesta ha cominciato a scrivere le ultime disposizioni, indirizzandole a medici ed amici. Se desidera essere accompagnata da qualcuno nel momento finale? "In questo momento no. Sara' come quando mi metto a dormire. Perche' non voglio affliggere nessuno. Piu' per loro che per me". "No, non ho paura". "Mi hanno spiegato come succedera'. Ma non ho paura". Verra' addormentata. "Si', e sara' finito. Grazie a Dio".
Negli ultimi mesi, Inmaculada Echevarria ha sentito il sostegno di quasi tutti coloro che la circondano, inclusi quelli che inizialmente si mostravano piu' reticenti. In ospedale e' stata circondata da rispetto. E a chi la critica, risponde: "Io non mi faccio influenzare da niente e da nessuno. Sono libera. Hanno provato a convincermi, ma con me non la spuntano". Nel fisico e' una malata non autosufficiente. Ma la sua mente e' libera. "Il meglio di tutto e' avere le cose in chiaro. Ho sempre fatto cio' che volevo. Entro i miei limiti. Pero' ora non ne posso piu'. Il vaso della mia pazienza e' colmo. Perche' ci sono cose che non si possono sapere se non le si vive". Ha accettato con rassegnazione che al suo corpo malato corrispondesse una mente lucida, ma una volta ammessa questa situazione, ha lottato per accorciarla, e non ha piu' smesso di perseguire quella via. E' "molto orgogliosa" del successo ottenuto. Che cosa direbbe a chi si trovasse in una situazione come la sua? "Di non farsi trascinare dalla corrente. Che le acque devono sempre essere chiare. Che pensino a cio' che desiderano". Liberta' e rispetto? "Soprattutto dignita'". La sua e' una vita degna? Inamculada risponde che per ora non lo e'; pero' si ritiene fortunata: e' riuscita ad andare avanti nonostante tutto, senza farsi influenzare da nessuno. "Se nella vita non si ha coraggio, non si ha niente". Non pretende che la sua vita abbia una morale. Ne' che sia un esempio. Pero' spera che il suo caso sia "utile" a chi ne ha bisogno. "Serve perche' la gente non abbia timore, non si rassegni, perche' lotti. E che se non desidera proseguire, riprenda il proprio cammino". Il cammino di Inmaculada Echevarria. "La guerrera".
 
 
 
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Una settimana prima che le venisse staccato il ventilatore polmonare come aveva chiesto, Inmaculada Echevarria ha parlato a lungo con un amico; la conversazione e' stata registrata per il quotidiano El Pais enoi ne riportiamo ampi passaggi.
Nel colloquio con una delle persone che piu' le sono state vicine negli ultimi tempi la donna ha ripercorso la sua vita, ha riaffermato il suo desiderio di morire ed e' apparsa serena e decisa. Risale al 7 marzo, prima che la trasferissero in un altro ospedale, ed e' stata l'occasione per fare il riassunto della sua storia ("dagli 11 anni ho sempre penato"), per ricordare la morte dei genitori, il dolore di dover dare in adozione suo figlio ("quello mi e' mancato molto") e per ribadire che da quasi trent'anni la sua vita non valeva piu' la pena d'essere vissuta. Un desiderio? Essere ricordata come "Inmaculada la guerrera".
Gli ultimi giorni di Inmaculada sono stati piu' agitati di quanto potesse auspicare. Tuttavia, mentre alcuni vescovi insistevano nel negare la legalita' della disconnessione del respiratore, e la Giunta dell'Andalusia s'affannava a "garantire" l'adempimento "dei diritti" della paziente, essa trascorreva le sue ore allo stesso modo degli ultimi dieci anni: a leggere, guardare la televisione, ascoltare musica e ricevere la visita dei suoi tre migliori amici. I medici che l'hanno avuta in cura all'ospedale San Rafael le avevano chiesto un po' di pazienza, e lei ha accettato. "Fin quando non si placa (l'attenzione mediatica) non si puo' fare nulla. Piu' che altro, per rispetto dell'ospedale", dicevano.
Dieci anni attaccata a una macchina, quasi un'amica ormai. Ma Inmaculada risponde di no, che non ci si abitua alla macchina. E ricorda con una certa nostalgia il tempo in cui, dopo che gia' le era stato attaccato il respiratore, poteva ancora muoversi sulla sedia a rotelle. "Uscivo per strada qualche volta. C'era un giardino molto bello". La dipendenza dalla ventilazione meccanica e' stato un gradino in piu', quasi l'ultimo, quello che le ha tolto ogni dubbio sul fatto che la sua vita non valesse piu' la pena. "Tutta la vita a soffrire, da quando avevo 11 anni. Me ne accorgevo perche' mi stancavo a camminare, non potevo fere una vita normale". Cosi' l'inizio della sua malattia. E da quel momento, la vita le ha inferto molti piu' colpi di quanti statisticamente spetterebbero a una persona giovane cui sia stata diagnosticata una malattia degenerativa e incurabile. Nel colloquio ne cita qualcuno: "Quando mio padre e' morto avevo 17 anni. Quando e' morta mia madre ne avevo 25". Dodici anni fa ha perso anche sua sorella, alla quale era molto legata; un altro fratello e' morto prima che lei nascesse -oggi avrebbe 52 anni. Ma un evento, in particolare, l'ha segnata. Ventisette anni fa, suo figlio aveva otto mesi quando suo marito mori' in un incidente stradale. "Non ero in grado di tenerlo con me". Da allora madre e figlio si sono visti poco, a fasi alterne. Quattro anni dopo il periodo piu' difficile della sua vita fu trasferita a Granada in un istituto di suore dove rimase per tredici anni. Non provava nessun interesse e, malgrado possedesse ancora una certa mobilita', si sentiva sempre piu' depressa. Un giorno si ruppe la gamba destra e contemporaneamente iniziarono i problemi respiratori; la malattia si aggravo'. "Li' il vaso fu colmo. Anche se la gente non lo capisce perche' non vive in un letto come me". Ma gli altri nella sua condizione, che pero' la sopportano? "Io non m'intrometto nella vita degli altri". E se le cose cambiassero? "No, la fortuna non mi ha assistito. Solo ora, all'ultima ora, ho avuto piu' fortuna e mi considero fortunata". Adesso e' circondata da amici. E si sente amata.
Chi la conosce afferma che e' testarda. "Se si e' messa in testa di voler morire prima, riuscira' ad ottenerlo", commentava un amico il giorno dopo che Inmaculada aveva espresso pubblicamente il suo desiderio di morire. Lei, piu' che testarda, si considera "guerriera". E' cosi' che vorrebbe essere ricordata. Chiedere e ottenere che la disconnettano dal respiratore perche' non desidera piu' vivere, per lei non e' una sconfitta. E' la piu' grande vittoria della sua vita. "Essere una donna di carattere". Ammette che questo l'ha aiutata. "Per essere liberi bisogna lottare. Se no, addio. Non vado dove soffia il vento. Non mi faccio influenzare dagli altri. Dico bianco se e' bianco". E' stata talmente se stessa da cambiarsi il nome. Per tutta la vita era Juana, ma a lei non piaceva. E un giorno, a Granada, ha deciso di chiamarsi Inmaculada. A dispetto delle inevitabili complicazioni.
Negli ultimi tre anni Inmaculada o Inma ha avuto tre grandi amici. Essi hanno voluto sottrarsi al caso mediatico, ma non hanno mai smesso di farle visita e hanno contribuito a renderle molto piu' sopportabile la quotidianita' dell'ospedale. Negli ultimi mesi di vita, i momenti piu' allegri li ha avuti con la figlia del suo migliore amico, una bimba di due anni che con la sua presenza scompaginava la tediosa routine dell'ospedale. La bambina, tenuta per mano da suo padre, arrivava alla porta e diceva: "Andiamo da Mina". Cosi' l'aveva ribattezzata la bimba. "E ieri ha detto a suo padre di mettermi in macchina e di portarmi a casa loro a dormire nel suo letto". Pensando a loro , e solo per loro, le dispiace andarsene anzitempo. Si sente piu' nervosa ora che le hanno detto che la staccheranno dal respiratore? "No, sto bene. Ho pena per le persone che soffrono". Parla dei rapporti, non tutti limpidi intercorsi dal momento in cui ha chiesto pubblicamente di morire. Da quando la Giunta d'Andalusia ha accettato la sua richiesta ha cominciato a scrivere le ultime disposizioni, indirizzandole a medici ed amici. Se desidera essere accompagnata da qualcuno nel momento finale? "In questo momento no. Sara' come quando mi metto a dormire. Perche' non voglio affliggere nessuno. Piu' per loro che per me". "No, non ho paura". "Mi hanno spiegato come succedera'. Ma non ho paura". Verra' addormentata. "Si', e sara' finito. Grazie a Dio".
Negli ultimi mesi, Inmaculada Echevarria ha sentito il sostegno di quasi tutti coloro che la circondano, inclusi quelli che inizialmente si mostravano piu' reticenti. In ospedale e' stata circondata da rispetto. E a chi la critica, risponde: "Io non mi faccio influenzare da niente e da nessuno. Sono libera. Hanno provato a convincermi, ma con me non la spuntano". Nel fisico e' una malata non autosufficiente. Ma la sua mente e' libera. "Il meglio di tutto e' avere le cose in chiaro. Ho sempre fatto cio' che volevo. Entro i miei limiti. Pero' ora non ne posso piu'. Il vaso della mia pazienza e' colmo. Perche' ci sono cose che non si possono sapere se non le si vive". Ha accettato con rassegnazione che al suo corpo malato corrispondesse una mente lucida, ma una volta ammessa questa situazione, ha lottato per accorciarla, e non ha piu' smesso di perseguire quella via. E' "molto orgogliosa" del successo ottenuto. Che cosa direbbe a chi si trovasse in una situazione come la sua? "Di non farsi trascinare dalla corrente. Che le acque devono sempre essere chiare. Che pensino a cio' che desiderano". Liberta' e rispetto? "Soprattutto dignita'". La sua e' una vita degna? Inamculada risponde che per ora non lo e'; pero' si ritiene fortunata: e' riuscita ad andare avanti nonostante tutto, senza farsi influenzare da nessuno. "Se nella vita non si ha coraggio, non si ha niente". Non pretende che la sua vita abbia una morale. Ne' che sia un esempio. Pero' spera che il suo caso sia "utile" a chi ne ha bisogno. "Serve perche' la gente non abbia timore, non si rassegni, perche' lotti. E che se non desidera proseguire, riprenda il proprio cammino". Il cammino di Inmaculada Echevarria. "La guerrera".
 
 
 
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