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Spagna. Aperta la via per la programmazione legale della propria morte
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Articolo di Rosa a Marca (trad.)
17 marzo 2007 0:00
 
Da El Pais del 16 marzo 2007

La decisione di Inmaculada Echevarria, di rinunciare alla ventilazione polmonare che la teneva in vita, ha creato un precedente: e' possibile, in alcune circostanze, programmare legalmente la propria morte. La chiave, secondo la maggioranza degli esperti consultati, sta nell'applicazione -estrema, forse- della Ley de Autonomia del Paciente del 2002. La norma dice che "ogni attuazione in ambito della salute di un paziente richiede il consenso libero e volontario dell'interessato", e che questi potra' revocare qualsiasi consenso precedente. Con questi argomenti, Inmaculada Echevarria ha dovuto superare solo barriere burocratiche affinche' le togliessero il respiratore. Sebbene il suo caso sia eccezionale -era cosciente e soffriva di una malattia irreversibile e senza cura, cui sopravviveva solo con l'aiuto di una macchina-, esso dimostra che la legge ben applicata puo' aiutare una persona a decidere quando e come morire. Ma, per la ministra della Sanita', Elena Salgado, i portavoce della Societa' spagnola di cure palliative, dell'Istituto Borja di Bioetica ed altri esperti indipendenti, cio' che e' avvenuto e' stato, semplicemente, chiedere che la legge venisse applicata; non e' stato in nessun caso un'eutanasia. "Una volta che Inmaculada ha cambiato la sua richiesta iniziale (che le iniettassero qualcosa per farla morire) in quella di ritiro del respiratore, il caso e' stato vinto", ha detto un membro dell'associazione "Derecho a Morir Dignamente" che l'ha consigliata.
La presidente di Fundacion Bioetica, Dolores Espejo, e' in disaccordo: "In questo caso non si tratta di un trattamento medico bensi' di un mezzo di supporto vitale. E' evidente che l'eliminazione di una vita e' un modo sproporzionato di trattare il dolore, qualunque altra sofferenza o una disabilita'. E men che mai la sofferenza di una persona puo' giustificare la sua eliminazione". E' lo stesso argomento di altri gruppi conservatori, come il Foro Espanol de la Familia. "Privare volontariamente una persona dell'alimentazione o della respirazione che la mantengono in vita e' aprire la porta all'eutanasia", affermava in un comunicato. Tuttavia, queste voci dissonanti sono una minoranza. La maggioranza ribadisce che la legge prevede gia' che un paziente possa decidere della propria vita. "Non e' eutanasia liberare la persona dall'apparecchio che la mantiene in vita artificialmente, se lei lo desidera, perche' la natura segue il suo corso e agisce da se' quando il processo di morte e' irreversibile. Scollegare Inmaculada non apre nessuna porta all'eutanasia giacche' tutto dipende dall'uso che se ne fa e della portata che le si attribuisce", dice la titolare della cattedra di bioetica dell'Unesco, Maria Dolores Vila-Coro.
Un'indagine del CIS (centro di studi sociologici), elaborata nel 2002, rivelava che il 57,6% dei medici aveva ricevuto richieste di sospensione dei trattamenti; il 19,5%, perche' fosse accelerata la morte e il 7,8% la domanda, da parte del paziente, di una dose letale che gli permettesse di abbreviare la vita. Infine, il 59,9% era favorevole alla regolamentazione dell'eutanasia.
 
 
 
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17 marzo 2007 0:00
 
Da El Pais del 16 marzo 2007

La decisione di Inmaculada Echevarria, di rinunciare alla ventilazione polmonare che la teneva in vita, ha creato un precedente: e' possibile, in alcune circostanze, programmare legalmente la propria morte. La chiave, secondo la maggioranza degli esperti consultati, sta nell'applicazione -estrema, forse- della Ley de Autonomia del Paciente del 2002. La norma dice che "ogni attuazione in ambito della salute di un paziente richiede il consenso libero e volontario dell'interessato", e che questi potra' revocare qualsiasi consenso precedente. Con questi argomenti, Inmaculada Echevarria ha dovuto superare solo barriere burocratiche affinche' le togliessero il respiratore. Sebbene il suo caso sia eccezionale -era cosciente e soffriva di una malattia irreversibile e senza cura, cui sopravviveva solo con l'aiuto di una macchina-, esso dimostra che la legge ben applicata puo' aiutare una persona a decidere quando e come morire. Ma, per la ministra della Sanita', Elena Salgado, i portavoce della Societa' spagnola di cure palliative, dell'Istituto Borja di Bioetica ed altri esperti indipendenti, cio' che e' avvenuto e' stato, semplicemente, chiedere che la legge venisse applicata; non e' stato in nessun caso un'eutanasia. "Una volta che Inmaculada ha cambiato la sua richiesta iniziale (che le iniettassero qualcosa per farla morire) in quella di ritiro del respiratore, il caso e' stato vinto", ha detto un membro dell'associazione "Derecho a Morir Dignamente" che l'ha consigliata.
La presidente di Fundacion Bioetica, Dolores Espejo, e' in disaccordo: "In questo caso non si tratta di un trattamento medico bensi' di un mezzo di supporto vitale. E' evidente che l'eliminazione di una vita e' un modo sproporzionato di trattare il dolore, qualunque altra sofferenza o una disabilita'. E men che mai la sofferenza di una persona puo' giustificare la sua eliminazione". E' lo stesso argomento di altri gruppi conservatori, come il Foro Espanol de la Familia. "Privare volontariamente una persona dell'alimentazione o della respirazione che la mantengono in vita e' aprire la porta all'eutanasia", affermava in un comunicato. Tuttavia, queste voci dissonanti sono una minoranza. La maggioranza ribadisce che la legge prevede gia' che un paziente possa decidere della propria vita. "Non e' eutanasia liberare la persona dall'apparecchio che la mantiene in vita artificialmente, se lei lo desidera, perche' la natura segue il suo corso e agisce da se' quando il processo di morte e' irreversibile. Scollegare Inmaculada non apre nessuna porta all'eutanasia giacche' tutto dipende dall'uso che se ne fa e della portata che le si attribuisce", dice la titolare della cattedra di bioetica dell'Unesco, Maria Dolores Vila-Coro.
Un'indagine del CIS (centro di studi sociologici), elaborata nel 2002, rivelava che il 57,6% dei medici aveva ricevuto richieste di sospensione dei trattamenti; il 19,5%, perche' fosse accelerata la morte e il 7,8% la domanda, da parte del paziente, di una dose letale che gli permettesse di abbreviare la vita. Infine, il 59,9% era favorevole alla regolamentazione dell'eutanasia.
 
 
 
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