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Francia. Un nuovo dramma rilancia il dibattito sull'eutanasia
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Articolo di Delphine de Mallevoue
29 febbraio 2008 0:00
 
Colpita da malattia incurabile, Chantal Sebire, 52 anni, chiede di "partire serenamente", sostenuta dal proprio medico e dai tre figli.

E' lontano il tempo in cui, maestra a Plombieres-les-Dijon (Cote-d'Or), conduceva una vita dolce e tranquilla. Madre di tre figli, Chantal Sebire vive come sospesa da quando soffre di un estensioneuroblastoma, un tumore evolutivo dei seni paranasali e della cavita' nasale. Questa malattia incurabile e rara (in vent'anni sono stati recensiti solo 200 casi nel mondo) la sfigura, e le causa dolori insopportabili. Dopo il gusto e l'odorato, sta per perdere anche la vista.

Giacche' si rifiuta di "diventare un legume" e desidera "partire serenamente", Chantal ha lanciato una richiesta d'aiuto ai media e al presidente della Repubblica perche' venga votata una legge sull'eutanasia. Un passo, che rilancia il dibattito sul "diritto di morire con dignita'", come rivendicano le associazioni militanti nel momento in cui anche il Lussemburgo ha appena legiferato in tal senso, alla stregua di Olanda e Belgio. "Dobbiamo far avanzare la legge", implora Emmanuel Debost, il medico curante di Chantal, il quale ammette d'aver "totalmente rivisto" il suo giudizio sulla depenalizzazione dell'eutanasia "di fronte a questo caso estremo". "La mia coscienza non aspira ad altro che ad aiutarla, ma medicalmente non saltero' il fossato a causa della legge", confida.

Libera nei movimenti, diversamente dal giovane Vincent Humbert che era completamente paralizzato, Chantal rifiuta in maniera categorica il suicidio. Per "questa lottatrice che vuole terminare a testa alta, sarebbe una capitolazione nei confronti della malattia", spiega il dottor Debost, il quale precisa che la paziente non vuole neanche essere "sedata". "S'oppone a che le si addormenti il dolore insieme alla coscienza. Vuole rimanere lucida fino alla fine e chiede, per farlo, che il corpo medico l'accompagni in questa sua volonta'". Disorientati, i suoi tre figli desiderano, da parte loro, che siano abbreviate le sofferenze della loro mamma.

Chantal si dice sconcertata dell'impatto mediatico suscitato dalla sua testimonianza. "Non sono sicura di volere questa ipermediatizzazione", ci confida imbarazzata. Soprattutto, vuole evitare le strumentalizzazioni, magari da parte dell'Association pour le droit à mourir dans la dignite' (ADMD), che l'ha subito contattata dopo il primo passaggio televisivo e ha inviato alle redazioni un comunicato per spiegare d'essere impegnata al suo fianco. "Sono loro che l'hanno mandata? Sono loro che le chiedono di fare un articolo?", interroga Chantal, che non vuole piu' parlarne. L'ADMD si difende. "Non sono un avvoltoio", risponde Jean-Luc Romero, presidente dell'associazione. "Il nostro ruolo, ancor prima di difendere la causa, e' anzitutto quello d'accompagnare individualmente le persone disperate". E assicura che tutto e' stato messo in campo per aiutare "concretamente".

"Abbiamo trovato una nuova strategia: il vuoto giuridico", si felicita Romero, che ci tiene a mantenere il segreto. Di fatto, l'associazione le suggerirebbe di "depositare un'istanza al presidente del TGI competente (Tribunal de grande instance, o tribunale di primo grado in materia civile) chiedendogli di emanare un'ordinanza che autorizzi il medico a prescrivere i medicinali necessari". Detto altrimenti, a rendere possibile il "suicidio assistito".

Articolo tratto da Le Figaro del 27-08-2008 (trad. di Rosa a Marca)

 
 
 
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