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Francia. Intervista al professor Didier Dreyfuss sul suicidio assistito in Francia
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Articolo di Sandrine Blanchard
26 settembre 2007 0:00
 
L'attrice Maia Simon, malata di cancro, ha scelto di darsi la morte il 19 settembre in Svizzera, dove il suicidio medicalmente assistito e' autorizzato. Con il sostegno dell'Associazione per il diritto a morire con dignita' (ADMD), ella ha lasciato una testimonianza dove denuncia "l'ipocrisia" francese sull'eutanasia.

Professor Dreyfuss, in quanto direttore del servizio di rianimazione all'ospedale Louis-Mourier de Colombes (Hauts-de-Seine), che cosa ne pensa?
Al di la' dello sconforto e della decisione individuale che io rispetto, se per delle persone ad alto livello sociale e culturale si tratta d'informarsi sulle modalita' migliori per porre fine alla propria vita, lo possono benissimo fare in Francia, dove il suicidio non e' represso. Non e' necessario andare in Svizzera per ingerire un cocktail letale. A titolo informativo, Mireille Jospin non ha avuto bisogno d'andare in Svizzera. C'e', in tutte queste storie, una mediatizzazione riduttiva. La mia equipe medica passa molto tempo ad accompagnare i malati e la loro cerchia familiare; ho un cumulo di testimonianze e di lettere toccanti di famiglie riconoscenti per i servizi d'assistenza offerti ai loro congiunti alla fine della vita. Dobbiamo pesare questa corrispondenza per vedere se pesa tanto quanto le testimonianze degli amici di Maia Simon? Probabilmente no.

Per ADMD, la storia di Maia Simon rilancia il dibattito favorevole a una legge sull'eutanasia...
In quanto cittadino, non ho nulla contro una legge sull'eutanasia a condizione che stipuli che tutte le persone ben intenzionate siano abilitate a praticarla in una cornice legale definita. Poniamoci il quesito se siamo pronti a infilare la siringa prima di dire che spetta ai medici. In quanto a paragonare, come fa ADMD, la lotta per l'eutanasia e quella per l'interruzione volontaria di gravidanza, e' indecente. C'e' gente che si e' assunta dei rischi per promuovere il diritto all'IVG. Che rischio s'e' preso l'entourage di Maia Simon?

La rivista Critical Care Medicine pubblica un articolo in cui e' descritto il caso di un uomo di 56 anni colpito da sindrome locked-in (paralisi totale delle membra e del viso, ma conservazione piena della coscienza e della comprensione) per il quale, dei medici olandesi hanno accettato la sua richiesta d'eutanasia. Come vede questo caso?
Nella mia pratica di rianimatore francese, il caso m'interpella. Ma dire che in Francia non non si potrebbe fare nulla in un caso simile e' un errore, un discorso demagogico e una disconoscenza medica totale. Grazie alla legge Leonetti sul fine vita, si puo' proporre al paziente di sedarlo profondamente con delle medicine, di togliere il respiratore artificiale e d'interrompere le cure attive, ivi comprese l'alimentazione e l'idratazione. Morirebbe senza sofferenze entro pochi minuti, se fosse dipendente dal respiratore. Se non lo fosse, una sedazione adeguata gli permetterebbe una morte dolce entro una settimana o dieci giorni. Dopo di che, sapere se la soluzione olandese sia migliore di quella francese solleva un dibattito nella societa' che e' bene aprire.

Cos'ha cambiato la legge Leonetti, adottata nel 2005, nella gestione del fine vita all'interno dei servizi di rianimazione?
Da quando c'e' questa legge, le equipe mediche sono piu' a loro agio nel decidere le limitazioni di terapie attive, e i rapporti con le famiglie sono piu' sereni. Essa adesso consente alle equipe curanti, che talvolta s'assumevano un reale rischio giudiziario, di essere nella legalita'. Il coraggio di molti dei sanitari non ha aspettato la legge. Il testo legislativo permette di regolare migliaia di casi. Resta una qualche decina di domande d'eutansia, ma non si puo' dire che non sia stato proposto nulla.

Tratto da Le monde del 25 settembre 2007 (trad. di Rosa a Marca)
 
 
 
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