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Francia. La fine della vita di un padre di famiglia ripropone il tema dei limiti della legge Leonetti
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Articolo di Cécile Prieur
15 marzo 2009 0:00
 
Quando la neve cade fitta come in questi giorni, Chantal si ricorda dell'uomo Patrick com'era. Dalla sua casa di Sallanches (Alta Savoia) contempla i fianchi innevati del Mont-Joly che lui discendeva sciando e dove ha disperso le sue ceneri, in compagnia dei suoi. Era il 29 novembre 2008, quattro giorni dopo il decesso di Patrick Koffel: un fine vita che sua moglie, Chantal, ha ottenuto dopo quattro anni di lotta. Cerebroleso, sprofondato in coma vegetativo dopo un grave incidente di moto, Patrick Koffel non avrebbe mai voluto quella non vita. C'e' voluta tutta la determinazioine di sua moglie per superare le resistenze dei medici ad accordargli il diritto di morire: dopo undici giorni di dolorosa agonia, Patrick Koffel e' morto in seguito alla sospensione dell'alimentazione artificiale, in conformita' alla legge Leonetti sul fine vita.
Chirurgo dentista, supersportivo con il gusto del rischio, Patrick Koffel non ha avuto "la chance" di partire in tre giorni come Eluana Englaro, la giovane italiana deceduta il 9 febbraio in piena polemica sull'eutanasia. Lo stesso come per Herve' Pierra prima di lui, il giovane uomo in coma vegetativo che ha impiegato sei giorni a morire dopo la sospensione dell'alimentazione artificiale, un fine vita traumatico per i suoi famigliari. Herve' Pierra non aveva beneficiato di sedazione (somministrazione di un antidolorifico come la morfina) e il suo corpo era stato preda di convulsioni violente.
Patrick Koffel, lui, e' stato sedato, ma in condizioni che la sua famiglia critica: "La sedazione di mio marito e' stata insufficiente, poiche' l'equipe medica aveva paura d'accelerare la morte", sostiene Chantal Koffel. "L'agonia e' stata terribile, lunga, estenuante. Tre giorni, sarebbe stato ancora sopportabile, undici giorni e' stato ignobile. E' come se ci avessero voluto far pagare la nostra decisione di far cessare la vita".
Quando Patrick Koffel si risveglia dal coma, diversi mesi dopo l'incidente in moto, il 12 ottobre 2004, e' tetraplegico, tracheotomizzato, come prigioniero del suo corpo. I famigliari, che comunicano con lui con lo sguardo, assistono alle sue crisi di disperazione pressoche' costanti. Acquisiscono la convinzione che Patrick desideri morire. "Numerose volte gli ho domandato: vuoi che tutto cio' finisca?", spiega lei. "Mi faceva capire di si'". I Koffel scoprono la legge sul fine vita del 22 aprile 2005 che autorizza la cessazione dei trattamenti quando non vi sia altro scopo se non quello di prolungare artificialmente la vita. Dopo aver riflettuto a lungo, Chantal e i suoi tre figli, Julien, oggi di 32 anni, Agathe, 27 anni, e Damien, 16 anni, chiedono ufficialmente, il 15 settembre 2007, che Patrick benefici della "cessazione di vita".
Sofferenza
Cosi' Patrick viene ricoverato in una casa di riposo rurale dell'Alta Savoia, in una struttura d'accoglienza di pazienti in stato vegetativo come lui. All'inizio la richiesta di Koffel viene respinta dall'equipe medica, che si mostra ostile allo spirito della legge. "Lasciar morire" un paziente appare inconcepibile ai sanitari che tutto l'anno non fanno altro che tenere in vita i loro pazienti. Ma i Koffel non si scoraggiano e si appellano a Regis Aubry. Incaricato del programma nazionale di sviluppo delle cure palliative, e ispiratore della legge sul fine vita, il professore appoggia la loro richiesta. Interviene anche Jean Leonetti, deputato (UMP) e principale artefice della legge che porta il suo nome. Dopo mesi di riflessione e numerosi tentativi dilatori, l'equipe medica si decide a interrompere l'alimentazione di Patrick Koffel. La data e' fissata per il 14 novembre 2008.
Chantal Koffel e i suoi figli pensano d'intravedere la fine del tunnel. Ma non hanno fatto i conti con le ultime resistenze dell'equipe medica: sebbene si siano decisi a "lasciar morire", non vogliono facilitare affatto il procedimento. Patrick e' sedato, ma il piu' leggermente possibile. Il "doppio effetto" dei sedativi, che calmando i sintomi possono pero' accelerare il decesso, non viene applicato nella fattispecie. Agli occhi dei suoi cari Patrick mostra segni di sofferenza, si decompone lentamente. Per due volte, Chantal si rivolge a Regis Aubry affinche' interceda presso il suo collega, il caporeparto. La sera del 25 novembre, Patrick spira finalmente. "E' stato necessario battersi, senza sosta fino alla fine", sospira Chantal. "Tutto quel tempo d'agonia... Non fa che aggiungere sofferenza alla sofferenza".
Per Daniel e Paul Pierra, che hanno sostenuto Chantal in quei lunghi mesi, il caso di Patrick Koffel illustra "l'ipocrisia" della legge sul fine vita. "Si e' in una situazione d'eutanasia alla francese, che non pronuncia il nome", analizza Paul Pierra. "Anziche' far partire la persona in qualche giorno, la si lascia morire a fuoco lento". "Per mantenere l'illusione di una non eutanasia, s'arriva a queste situazioni stravaganti", sostiene Gilles Antonowicz, avvocato della signora Koffel. "Chiediamo dei metodi piu' umani, per raggiungere la morte in qualche ora". Un'analisi rifiutata dagli autori della legge sul fine vita. Jean Leonetti ritiene che "si e' in un equilibrio fragile". "Le famiglie non possono chiedere ai medici di far cessare la cosa in modo rapido e brutale", spiega il parlamentare. "Aderire alla richiesta d'abbreviare il processo d'agonia sarebbe francamente eutanasico". "L'agonia e' forzatamente difficile", aggiunge Regis Aubry. "Essa lascia spesso dei ricordi amari. Ma il tempo che puo' apparire lungo non e' per forza inutile. E' necessario alla maturazione psichica e all'accettazione della perdita".
 
La sedazione entra nel codice di deontologia medica
D'ora in poi al personale medico s'imporra' l'obbligo di somministrare la sedazione a un paziente incosciente in stato di sospensione dell'alimentazione artificiale o della rianimazione. Il codice di deontologia medica e' stato rivisitato in questo senso dal Consiglio nazionale dell'ordine dei medici (CNOM), il 6 febbraio. Si tratta di garantire alle famiglie che i loro cari in fin di vita (persone in stato vegetativo o cerebrolesi, oppure i neonati grandi prematuri) non soffrano in nessun caso. "Anche se alcuni medici ritengono che i loro pazienti non soffrano considerato il loro stato cerebrale, noi non ne abbiamo la certezza ", spiega il dottor Francois Stefani, vicepresidente della sezione etica e deontologica del CNOM. "Occorre dunque far sparire i segni dell'agonia con la sedazione antalgica. E' importante che questo tempo trascorra nella maggior calma possibile".

Traduzione di Rosa a Marca

 
 
 
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Articolo di Cécile Prieur
15 marzo 2009 0:00
 
Quando la neve cade fitta come in questi giorni, Chantal si ricorda dell'uomo Patrick com'era. Dalla sua casa di Sallanches (Alta Savoia) contempla i fianchi innevati del Mont-Joly che lui discendeva sciando e dove ha disperso le sue ceneri, in compagnia dei suoi. Era il 29 novembre 2008, quattro giorni dopo il decesso di Patrick Koffel: un fine vita che sua moglie, Chantal, ha ottenuto dopo quattro anni di lotta. Cerebroleso, sprofondato in coma vegetativo dopo un grave incidente di moto, Patrick Koffel non avrebbe mai voluto quella non vita. C'e' voluta tutta la determinazioine di sua moglie per superare le resistenze dei medici ad accordargli il diritto di morire: dopo undici giorni di dolorosa agonia, Patrick Koffel e' morto in seguito alla sospensione dell'alimentazione artificiale, in conformita' alla legge Leonetti sul fine vita.
Chirurgo dentista, supersportivo con il gusto del rischio, Patrick Koffel non ha avuto "la chance" di partire in tre giorni come Eluana Englaro, la giovane italiana deceduta il 9 febbraio in piena polemica sull'eutanasia. Lo stesso come per Herve' Pierra prima di lui, il giovane uomo in coma vegetativo che ha impiegato sei giorni a morire dopo la sospensione dell'alimentazione artificiale, un fine vita traumatico per i suoi famigliari. Herve' Pierra non aveva beneficiato di sedazione (somministrazione di un antidolorifico come la morfina) e il suo corpo era stato preda di convulsioni violente.
Patrick Koffel, lui, e' stato sedato, ma in condizioni che la sua famiglia critica: "La sedazione di mio marito e' stata insufficiente, poiche' l'equipe medica aveva paura d'accelerare la morte", sostiene Chantal Koffel. "L'agonia e' stata terribile, lunga, estenuante. Tre giorni, sarebbe stato ancora sopportabile, undici giorni e' stato ignobile. E' come se ci avessero voluto far pagare la nostra decisione di far cessare la vita".
Quando Patrick Koffel si risveglia dal coma, diversi mesi dopo l'incidente in moto, il 12 ottobre 2004, e' tetraplegico, tracheotomizzato, come prigioniero del suo corpo. I famigliari, che comunicano con lui con lo sguardo, assistono alle sue crisi di disperazione pressoche' costanti. Acquisiscono la convinzione che Patrick desideri morire. "Numerose volte gli ho domandato: vuoi che tutto cio' finisca?", spiega lei. "Mi faceva capire di si'". I Koffel scoprono la legge sul fine vita del 22 aprile 2005 che autorizza la cessazione dei trattamenti quando non vi sia altro scopo se non quello di prolungare artificialmente la vita. Dopo aver riflettuto a lungo, Chantal e i suoi tre figli, Julien, oggi di 32 anni, Agathe, 27 anni, e Damien, 16 anni, chiedono ufficialmente, il 15 settembre 2007, che Patrick benefici della "cessazione di vita".
Sofferenza
Cosi' Patrick viene ricoverato in una casa di riposo rurale dell'Alta Savoia, in una struttura d'accoglienza di pazienti in stato vegetativo come lui. All'inizio la richiesta di Koffel viene respinta dall'equipe medica, che si mostra ostile allo spirito della legge. "Lasciar morire" un paziente appare inconcepibile ai sanitari che tutto l'anno non fanno altro che tenere in vita i loro pazienti. Ma i Koffel non si scoraggiano e si appellano a Regis Aubry. Incaricato del programma nazionale di sviluppo delle cure palliative, e ispiratore della legge sul fine vita, il professore appoggia la loro richiesta. Interviene anche Jean Leonetti, deputato (UMP) e principale artefice della legge che porta il suo nome. Dopo mesi di riflessione e numerosi tentativi dilatori, l'equipe medica si decide a interrompere l'alimentazione di Patrick Koffel. La data e' fissata per il 14 novembre 2008.
Chantal Koffel e i suoi figli pensano d'intravedere la fine del tunnel. Ma non hanno fatto i conti con le ultime resistenze dell'equipe medica: sebbene si siano decisi a "lasciar morire", non vogliono facilitare affatto il procedimento. Patrick e' sedato, ma il piu' leggermente possibile. Il "doppio effetto" dei sedativi, che calmando i sintomi possono pero' accelerare il decesso, non viene applicato nella fattispecie. Agli occhi dei suoi cari Patrick mostra segni di sofferenza, si decompone lentamente. Per due volte, Chantal si rivolge a Regis Aubry affinche' interceda presso il suo collega, il caporeparto. La sera del 25 novembre, Patrick spira finalmente. "E' stato necessario battersi, senza sosta fino alla fine", sospira Chantal. "Tutto quel tempo d'agonia... Non fa che aggiungere sofferenza alla sofferenza".
Per Daniel e Paul Pierra, che hanno sostenuto Chantal in quei lunghi mesi, il caso di Patrick Koffel illustra "l'ipocrisia" della legge sul fine vita. "Si e' in una situazione d'eutanasia alla francese, che non pronuncia il nome", analizza Paul Pierra. "Anziche' far partire la persona in qualche giorno, la si lascia morire a fuoco lento". "Per mantenere l'illusione di una non eutanasia, s'arriva a queste situazioni stravaganti", sostiene Gilles Antonowicz, avvocato della signora Koffel. "Chiediamo dei metodi piu' umani, per raggiungere la morte in qualche ora". Un'analisi rifiutata dagli autori della legge sul fine vita. Jean Leonetti ritiene che "si e' in un equilibrio fragile". "Le famiglie non possono chiedere ai medici di far cessare la cosa in modo rapido e brutale", spiega il parlamentare. "Aderire alla richiesta d'abbreviare il processo d'agonia sarebbe francamente eutanasico". "L'agonia e' forzatamente difficile", aggiunge Regis Aubry. "Essa lascia spesso dei ricordi amari. Ma il tempo che puo' apparire lungo non e' per forza inutile. E' necessario alla maturazione psichica e all'accettazione della perdita".
 
La sedazione entra nel codice di deontologia medica
D'ora in poi al personale medico s'imporra' l'obbligo di somministrare la sedazione a un paziente incosciente in stato di sospensione dell'alimentazione artificiale o della rianimazione. Il codice di deontologia medica e' stato rivisitato in questo senso dal Consiglio nazionale dell'ordine dei medici (CNOM), il 6 febbraio. Si tratta di garantire alle famiglie che i loro cari in fin di vita (persone in stato vegetativo o cerebrolesi, oppure i neonati grandi prematuri) non soffrano in nessun caso. "Anche se alcuni medici ritengono che i loro pazienti non soffrano considerato il loro stato cerebrale, noi non ne abbiamo la certezza ", spiega il dottor Francois Stefani, vicepresidente della sezione etica e deontologica del CNOM. "Occorre dunque far sparire i segni dell'agonia con la sedazione antalgica. E' importante che questo tempo trascorra nella maggior calma possibile".

Traduzione di Rosa a Marca

 
 
 
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