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Fine vita. Quando la Svizzera è l'unica via d'uscita
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Articolo di Pym
2 gennaio 2011 20:07
 
  Andrew Colgan, biologo marino, è morto a Zurigo dopo una battaglia decennale contro la sua malattia. A quanto riporta il quotidiano britannico Telegraph, ha deciso di andare in Svizzera dopo che le sue condizioni di salute erano peggiorate.
Il suicidio assistito è legale in Svizzera, mentre in Gran Bretagna una legge del 1961 lo punisce con la reclusione fino a 14 anni. Più di 110 cittadini britannici affetti da malattie terminali o incurabili sono andati presso la clinica di assistenza al suicidio Dignitas per togliersi la vita. Nessuno dei parenti o amici è mai stato perseguito penalmente, anche se sono state spesso aperte indagini di polizia per determinare chi avesse aiutato queste persone a raggiungere Zurigo.
La madre di Colgan ha spiegato alla stampa che le circostanze riguardanti la morte del figlio sono una questione privata. "Negli ultimi 12 mesi le condizioni di salute di Andrew sono peggiorate rapidamente. Passava più tempo per terra che in piedi. Andrew era affetto da sclerosi multipla progressiva, la peggiore forma. Era un uomo molti intelligente e avrebbe fatto qualsiasi cosa per chiunque, ma la sua vita era una tragedia totale. In due anni è passato dal bastone per camminare alla sedia a rotelle. La sclerosi multipla è una malattia terribile".
Colgan aveva parlato agli amici della possibilità di andare a morire in Svizzera. Linda Walker, un'amica, ha spiegato al Telegraph: "La sua situazione è peggiorata molto rapidamente. Prima ha dovuto usare le stampelle, poi la sedia a rotelle, anche se poteva ancora guidare. L'ho visto l'ultima volta tre mesi fa quando mi ha detto che stava pensando ad andare in Svizzera a morire e gli ho detto: 'Andrew, no". Non credo che avesse più alcuna speranza. E' terribile per coloro che rimangono, ma almeno non sta soffrendo più":
E' improbabile che vi saranno procedimenti penali nei confronti di chi ha aiutato Colgan ad andare in Svizzera. Il Direttore dei procuratori britannici, Keir Starmer, ha emanato nuove linee guida nel febbraio scorso che limitano il ricorso all'azione penale nei casi in cui il malato esprime una decisione chiara e informata e quando chi aiuta è mosso da compassione.


  Nicole Gladu non sa esattamente per quanto tempo ancora potrà assistere al deterioramento delle sue capacità di camminare, parlare e usare le mani. Ma trova sollievo nel sapere che quando ne avrà avuto abbastanza, ha la possibilità di farla finita. Lo scrive il quotidiano canadese Montreal Gazette.
Se il Quebec o le leggi federali non le permetteranno di togliersi la vita attraverso il suicidio assistito, andrà in Svizzera presso Dignitas, accompagnata da un amico.
"La grande sfida che mi si pone davanti è vivere senza speranza, senza diventare disperata", ha spiegato Gladu, che soffre della sindrome post-polio e le cui condizioni di salute stanno peggiorando.
La donna, 65enne di Montreal, ha accettato la realtà: il suo corpo la sta abbandonando, un muscolo alla volta. "Non c'è possibilità di tornare indietro e non esistono cure. Non è come il cancro: nessuno fa ricerca sul post-polio, perché moriamo molto velocemente", ha spiegato Gladu in una intervista.
In autunno è stata ascoltata in audizione presso una commissione sul fine vita e l'eutanasia in Quebec. Ha voluto partecipare nella speranza di convincere i commissari a promuovere una legge provinciale per darle il diritto di scelta.
"Voglio essere in grado di togliermi la vita quando decido che è la miglior cosa da fare", ha detto.
L'eutanasia e l'assistenza al suicidio sono illegali in Canada. La commissione legislativa del Quebec difficilmente potrà cambiare le cose, ma il dibattito ha ormai investito l'intera nazione.
La malattia di Gladu sembra essere dovuta al danno collaterale della battaglia contro il polio combattuta quando aveva quattro anni. I primi sintomi si sono manifestati quando aveva 40 anni. "Era come un tradimento", spiega Gladu, che ha vissuto e continua a respirare con metà polmone da quando era stata aggredita dal polio. Ha spesso difficoltà a respirare, ma questo non l'ha mai fermata. "Ho passato la mia vita a esplorare i limiti e a fare cose che tutti mi dicevano che non potevo fare. Ora devo accettare i miei limiti", spiega la donna che, a causa del polio, ha imparato a camminare nuovamente all'età di 10 anni.
Sono in tanti coloro che hanno chiesto di parlare dinnanzi alla commissione provinciale sulla morte dignitosa, che continuerà a viaggiare su e giù per la provincia fino a febbraio. Infatti, si tratta di un record, in quanto nessuna altra proposta di legge in passato ha prodotto tanto interesse. Circa 340 associazioni o gruppi saranno ascoltati in tutto, e circa 6500 cittadini hanno compilato il questionario online. La gran parte delle testimonianze provengono da cittadini malati che chiedono la legalizzazione dell'eutanasia e del suicidio assistito per poter scegliere di porre fine alla sofferenza. Non sono mancate opinioni contrarie alla legalizzazione, che di fronte alla sofferenza concreta dei malati hanno opposto argomentazioni sulla sacralità della vita.
Secondo i sondaggi più recenti, il 70% degli abitanti del Quebec e la maggioranza dei medici vogliono la depenalizzazione dell'eutanasia. All'interno della commissione, dove sono invece rappresentati tutti i partiti politici, gli equilibri sono invece diversi.
"Direi che ad oggi siamo intorno al 50-50", spiega Veronique Hivon, co-presidente della commissione, membro del Parti Quebecois MNA. Hivon spiega che in molti hanno espresso il timore dell'effetto valanga, dicendo di aver ritrovato speranza negli ultimi momenti di vita. "Alcune persone sono molto attaccate al concetto di sacralità della vita", spiega Hivon.
La commissione ha ascoltato anche medici e operatori sanitari che chiedono più medicina palliativa e insistono sul fatto che la medicina debba servire a preservare la vita piuttosto che terminarla.
In ogni caso, Nicole Gladu non lascerà che la sua vita e la sua morte siano determinati dalle credenze religiose o filosofiche di una minoranza. "Preferirei morire qui vicino ai miei amici più casi, ma se la legge non cambia, mi organizzerò per andarmene in Svizzera a morire".
 
 
 
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