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Eutanasia. Il caso Susan Caldwell e il diritto a morire con dignità
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Articolo di Redazione
24 dicembre 2010 9:41
 
Affetta da una grave malattia degenerativa, Susan Caldwell ha fatto spesso affidamento su un’associazione per il diritto a morire con dignità della Georgia. Ha provato a togliersi la vita nel 2008 coprendosi il capo con un sacchetto pieno di elio, e sapere che vicino a lei c’erano i membri di Final Exit Network le dava forza e tranquillità.
Poi l’organizzazione ha dovuto fermare tutte le attività dopo che quattro suoi membri sono stati incriminati per suicidio assistito. Ora la quarantatreenne ha promosso una causa giudiziaria, chiedendo ad un giudice federale di nominare una “exit guide”, un tutore che la segua e la guidi nei suoi ultimi momenti di sofferenza se vivere dovesse diventare insopportabile.
“Non è la malattia che temo, ma la sofferenza che causa”, ha spiegato. “Final Exit Network offriva sollievo e compassione a persone come me”. Nell’atto di citazione, la donna sostiene che la legge della Georgia sul suicidio assistito è incostituzionale e troppo vaga. Sostiene che violi il diritto alla libertà di espressione in quanto le impedisce di ricevere consigli dalle associazioni per il diritto a morire.
Caldwell è affetta dal morbo di Huntington, una malattia genetica che porta solitamente alla demenza, difficoltà a parlare e movimenti involontari. La malattia, di cui sono affetti circa 30mila cittadini statunitensi, viene trasmessa dal genitore al figlio, e non esistono cure. La maggioranza delle persone muore circa 15-20 anni dopo il manifestarsi dei primi sintomi.
Il nonno e lo zio di Caldwell ne erano affetti, e la madre era talmente terrorizzata dalla possibilità che i figli ne fossero affetti, che nel 1985 ha sparato e ucciso il fratello diciannovenne di Caldwell e poi ha tentato di sparare a Susan, all’epoca diciottenne.
La madre di Caldwell fu condannata all’ergastolo e mentre era in prigione ha sviluppato la malattia. Fu liberata anticipatamente nel 1994 dopo un nuovo processo per incapacità di intendere e di volere, in parte grazie anche alla testimonianza della figlia. La donna è poi morta nel 2001, e l’anno successivo a Susan Caldwell è stata diagnosticata la malattia. Nell’agosto 2008, preoccupata per il peso che la famiglia avrebbe dovuto sopportare per molti anni a seguire, ha tentato di togliersi la vita seguendo le istruzioni contenute nel manuale e best-seller Final Exit dell’autore britannico Derek Humphry.
E’ lo stesso metodo impiegato da Final Exit Network, anche se questi ultimi raccomandano l’aiuto di una “exit guide”. I membri dell’associazione sotto accusa hanno spesso rigettato il termine “suicidio assistito” utilizzato dall’accusa, in quanto non aiutano attivamente le persone a suicidarsi ma semplicemente offrono sostegno e guida a coloro che decidono di farla finita.
Ma i critici sostengono che l’associazione manda un messaggio pericoloso alla società. “Dice che ci volteremo dall’altra parte quando persone non più così produttive si suicidano, che sono un peso e che la società non ha alcun problema nel vederli morire”, spiega Stephen Drake dell’associazione anti-eutanasia Not Dead Yet.
La legge della Georgia incrimina chiunque “pubblicizza, offre o si rende disponibile ad assistere intenzionalmente e attivamente un’altra persona a commettere suicidio e compie qualsiasi atto indirizzato a perseguire questo scopo”.
Con i suoi legali, Caldwell sostiene che questa legge viola il suo diritto alla libertà di espressione in quanto invece di criminalizzare il suicidio o il suicidio assistito, vieta di parlare pubblicamente di suicidio assistito e partecipare passivamente alla morte. Questo significa che le persone che tengono per mano una persona malata terminale mentre pone fine alla propria esistenza potrebbero essere incriminate, ha spiegato il legale Cynthia Counts.
Il ministro della Giustizia Thurbert Baker e il Governatore della Georgia Sonny Perdue non hanno voluto commentare l’iniziativa di Caldwell. Ma i magistrati d’accusa hanno già ribattuto che il legislatore ha chiaramente inteso vietare il suicidio assistito, e non solo il parlarne pubblicamente.
Le “exit guide” di Caldwell in passato erano l’allora presidente di Final Exit Network Ted Goodwin e un aderente al Network, Crair Blehr, entrambi i quali hanno seguito il suo caso e l’hanno incoraggiata a non togliersi la vita.
“Mi hanno sfidato ad apprezzare la qualità della vita che mi rimane, e mi hanno fatto riflettere su quanto sarà difficile per la mia famiglia accettare la mia morte e quanto sia importante lottare per tutto il tempo possibile insieme a famiglia e amici”, ha spiegato Caldwell.
Ma la sua ritrovata forza si è infranta nel febbraio del 2009, quando Goodwin, Blehr e altri due membri dell’associazione sono stati incriminati per la morte di John Celmer dopo un’indagine di otto mesi da parte delle autorità di polizia della Georgia.
Gli investigatori sostengono che Celmer stava guarendo dal cancro quando l’associazione ha inviato suoi membri a casa sua per mostrargli come togliersi la vita con un sacchetto di plastica e una bombola di elio. Le autorità si dicono preoccupate anche per le modalità con cui l’associazione individua i suoi potenziali assistiti.
I quattro membri di Final Exit Network si dichiarano innocenti e i loro legali sostengono che le accuse sono infondate.
Caldwell, che ora ha difficoltà anche a deglutire, vuole l’abrogazione della legge della Georgia in quanto vuole esercitare il suo diritto a morire. E per questo, sostiene di avere il diritto di richiedere l’aiuto dell’associazione per togliersi la vita. “Le persone commettono suicidio in ogni caso, e Final Exit Network offre un modo non violento e indolore per morire con dignità”, ha detto la donna. “Una morte dignitosa e non violenta, e avere una persona compassionevole che ti sostenga emotivamente e tenga la tua mano è una cosa fondamentale”. (AP)
 
 
 
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