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Canada. Quebec. La missione dei centri di cure palliative
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Articolo di Renée Larochelle
24 aprile 2007 0:00
 
Se un malato in fase terminale riceve un trattamento appropriato contro il dolore fisico, e se e' circondato d'amore e di calore umano fino all'ultimo momento, ben difficilmente chiedera' l'eutanasia. Nei trentacinque anni d'attivita' con i pazienti terminali, uno dei maggiori specialisti di cancro del Quebec, Joseph Ayoub, puo' contare sulle dita di una sola mano coloro che gli hanno chiesto d'aiutarli a passare a miglior vita. "Sono piuttosto quelli che stanno bene in salute ad essere pro eutanasia e a far si' che i sondaggi diano i due terzi delle persone favorevoli alla legalizzazione di quest'atto", dice Ayoub. Ma se si effettuasse lo stesso sondaggio con i malati, la maggior parte di loro sarebbe contrario e direbbe: "No, aiutateci a vivere".
E' un appello vibrante verso la vita e la dignita' umana quello che il rinomato oncologo e direttore del programma d'insegnamento medico al CHUM (Centre hospitalier de l'Universite' de Montreal) ha lanciato alle numerose persone venute ad ascoltarlo nella conferenza organizzata, il 18 aprile, dal raggruppamento degli studenti di medicina al padiglione Ferdinand-Vandry. "L'insistenza della nostra societa' a favore della decriminalizzazione dell'eutanasia deriva segnatamente dal fatto che numerosi malati continuano a non beneficiare di un controllo adeguato del dolore", ha sostenuto Ayoub. "Nessun paziente malato di cancro dovrebbe vivere con un dolore non controllato, cosi' come nessun paziente dovrebbe sentirsi lasciato a se stesso, ne' dall'équipe sanitaria ne' dalla famiglia. Ecco quale dovrebbe essere la missione delle unita' di cure palliative".
Com'e' possibile che, nonostante la farmacologia moderna, i pazienti continuino a lamentarsi del dolore fisico? Secondo il conferenziere, la situazione si spiega con una formazione insufficiente dei professionisti della salute in materia di medicinali antidolorifici, abbinata alla mancanza d'informazione sulle medicine delle persone vicine al malato. In effetti, talvolta succede che quest'ultimi smettano di somministrare i farmaci perche' il malato si lamenta degli effetti secondari, con il risultato che il dolore fisico rispunta con forza e non si possa piu' dominarlo per davvero. Inoltre, se il paziente sente dolore fisico, si sente anche profondamente colpito nella sua dignita' umana, arreso ed umiliato nel corso della vita che, improvvisamente, non ha piu' nessun senso.
Una volta ottenuto il miglioramento fisico, i componenti l'équipe di cure palliative devono sforzarsi di trasformare la sofferenza psichica del paziente in riconciliazione con la vita. "Il meglio consiste allora nel privilegiare un ascolto attivo del paziente", sostiene Ayoub. "Quando un malato mi dice che si sente un fardello per la sua famiglia e per la societa' in generale, gli rispondo che lui ha dato il meglio di se stesso alla societa' e che ora spetta alla societa' prendersi cura di lui".
Per trovare un senso alla loro vita, numerosi pazienti s'impegnano nei gruppi di sostegno reciproco o, con altri malati in fase terminale, condividono le percezioni della vita e le loro speranze. Molti di questi scambi toccano la dimensione spirituale dell'essere, che apre una finestra sulle vere questioni dell'esistenza. Chi siamo noi? Da dove veniamo e dove andiamo? "In coloro che accettano di prendere questa svolta della vita spirituale, gradualmente s'insedia la serenita'", dice Ayoub. "Hanno il gusto di combattere e di vivere intensamente il quotidiano, diffondendo l'amore attorno a se'. E se la morte li sorprende in questo stato, non hanno paura".
 
 
 
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Articolo di Renée Larochelle
24 aprile 2007 0:00
 
Se un malato in fase terminale riceve un trattamento appropriato contro il dolore fisico, e se e' circondato d'amore e di calore umano fino all'ultimo momento, ben difficilmente chiedera' l'eutanasia. Nei trentacinque anni d'attivita' con i pazienti terminali, uno dei maggiori specialisti di cancro del Quebec, Joseph Ayoub, puo' contare sulle dita di una sola mano coloro che gli hanno chiesto d'aiutarli a passare a miglior vita. "Sono piuttosto quelli che stanno bene in salute ad essere pro eutanasia e a far si' che i sondaggi diano i due terzi delle persone favorevoli alla legalizzazione di quest'atto", dice Ayoub. Ma se si effettuasse lo stesso sondaggio con i malati, la maggior parte di loro sarebbe contrario e direbbe: "No, aiutateci a vivere".
E' un appello vibrante verso la vita e la dignita' umana quello che il rinomato oncologo e direttore del programma d'insegnamento medico al CHUM (Centre hospitalier de l'Universite' de Montreal) ha lanciato alle numerose persone venute ad ascoltarlo nella conferenza organizzata, il 18 aprile, dal raggruppamento degli studenti di medicina al padiglione Ferdinand-Vandry. "L'insistenza della nostra societa' a favore della decriminalizzazione dell'eutanasia deriva segnatamente dal fatto che numerosi malati continuano a non beneficiare di un controllo adeguato del dolore", ha sostenuto Ayoub. "Nessun paziente malato di cancro dovrebbe vivere con un dolore non controllato, cosi' come nessun paziente dovrebbe sentirsi lasciato a se stesso, ne' dall'équipe sanitaria ne' dalla famiglia. Ecco quale dovrebbe essere la missione delle unita' di cure palliative".
Com'e' possibile che, nonostante la farmacologia moderna, i pazienti continuino a lamentarsi del dolore fisico? Secondo il conferenziere, la situazione si spiega con una formazione insufficiente dei professionisti della salute in materia di medicinali antidolorifici, abbinata alla mancanza d'informazione sulle medicine delle persone vicine al malato. In effetti, talvolta succede che quest'ultimi smettano di somministrare i farmaci perche' il malato si lamenta degli effetti secondari, con il risultato che il dolore fisico rispunta con forza e non si possa piu' dominarlo per davvero. Inoltre, se il paziente sente dolore fisico, si sente anche profondamente colpito nella sua dignita' umana, arreso ed umiliato nel corso della vita che, improvvisamente, non ha piu' nessun senso.
Una volta ottenuto il miglioramento fisico, i componenti l'équipe di cure palliative devono sforzarsi di trasformare la sofferenza psichica del paziente in riconciliazione con la vita. "Il meglio consiste allora nel privilegiare un ascolto attivo del paziente", sostiene Ayoub. "Quando un malato mi dice che si sente un fardello per la sua famiglia e per la societa' in generale, gli rispondo che lui ha dato il meglio di se stesso alla societa' e che ora spetta alla societa' prendersi cura di lui".
Per trovare un senso alla loro vita, numerosi pazienti s'impegnano nei gruppi di sostegno reciproco o, con altri malati in fase terminale, condividono le percezioni della vita e le loro speranze. Molti di questi scambi toccano la dimensione spirituale dell'essere, che apre una finestra sulle vere questioni dell'esistenza. Chi siamo noi? Da dove veniamo e dove andiamo? "In coloro che accettano di prendere questa svolta della vita spirituale, gradualmente s'insedia la serenita'", dice Ayoub. "Hanno il gusto di combattere e di vivere intensamente il quotidiano, diffondendo l'amore attorno a se'. E se la morte li sorprende in questo stato, non hanno paura".
 
 
 
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