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Aids, omosessualità e eutanasia. Ecco come si moriva a Londra negli anni '90
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Articolo di Ivan Massow
21 marzo 2010 11:01
 
Pubblichiamo questo articolo-confessione di Ivan Massow, candidato alle elezioni nel Partito Conservatore, apparso sul quotidiano The Independent.
Non sono il tipo che tace quando assiste ad un'ingiustizia. Infatti alcuni dicono che ho costruito la mia carriera nel denunciare cose che molti considerano un suicidio professionale. Che sia perdere il lavoro dopo aver denunciato l'omofobia di istituti di assicurazione come Zurich Life per il loro trattamento draconiano dei gay, o chiedere un passo indietro al concettualismo, che mi è costata la presidenza dell'Institute of Contemporary Art, oppure sacrificare la mia posizione nel partito dei Tory dopo averlo definito "partito cattivo" nel tentativo disperato di riportarlo su posizioni moderate che ora ha assunto sotto la direzione di David Cameron. Ma ho sempre avuto timore di scrivere questo articolo, come un bambino impaurito. Perché questa volta corro il rischio di essere arrestato.
Alcune settimane fa ho letto del patto che Ray Gosling aveva stretto col partner in fin di vita per Aids 20 anni fa. Soffriva terribilmente. Gosling aveva accettato di aiutarlo a morire, soffocandolo con un cuscino. Ero triste per Gosling, ma soprattutto mi sentivo in colpa per il mio silenzio. Come molti uomini gay di una certa età, anch'io ho visto casi di suicidio assistito. Infatti, ne ho visti molti.
L'Aids ha dominato i miei vent'anni. Potrebbe essere difficile per coloro che non c'erano capire cosa era la vita allora. Anche se avevamo un reparto Aids fantastico (il migliore era quello del St. Mary's Hospital a Londra), si sapeva poco del virus e il panico regnava ovunque. Non sapevamo come si trasmetteva e, nonostante parlassimo continuamente dell'uso di condom, questo era solo una supposizione. Tutti pregavano che non si trasmettesse attraverso la saliva o l'aria.
Il mio coinvolgimento con il mondo dell'Hiv iniziò per caso. Mi trasferii a Londra per cominciare il mio primo lavoro a 19 anni, con pochi soldi e nessun posto dove vivere. Mi fu consigliato di andare a vivere in un dormitorio diretto da un certo George, che mi disse di essere sieropositivo appena lo conobbi. Nel presentarmi gli altri ospiti capii che in diversi erano affetti da Hiv. Il Comune aveva permesso loro di vivere li', tutti insieme, perché nessun'altra struttura li voleva ospitare. Era come se fossero in quarantena.
Ricordo la paura che avevo quando mi chiedevo se potevo essere infettato semplicemente standomene lì con loro. Me ne vergogno profondamente, ma ricordo che mi fu offerta una fetta di torta al mio arrivo, una sorta di regalo di benvenuto. La presi, la portai nella mia stanza e la gettai nel cestino, terrorizzato all'idea di mangiarla. Mi ci vollero due settimane per capire quanto ero stato ingenuo, e anni per confessare a George cosa avevo fatto. Da quel giorno ho cominciato quello che considero un percorso di perdono. Ho fondato un business che offriva assicurazione sanitaria e mutui alle persone ad alto rischio di Hiv, e di consulenza gratuita per tutti i sieropositivi. Con i miei colleghi abbiamo preso in carico migliaia di casi del genere, spesso inviatici dal Terrence Higgins Trust. Fummo inondati di storie orribili, con persone che appena scoperta la loro sieropositività si erano visti crollare il mondo addosso e con nessuna opzione disponibile.
Nonostante non abbia mai contratto l'Hiv, negli anni '90 mi sono trovato immerso nella realtà londinese dell'Aids e a lottare contro la discriminazione contro i gay a causa dell'epidemia. Frequentavo assiduamente i reparti ospedalieri e le case dove vivevano i malati di Aids, e spesso ho pagato per le loro cure. Ho spesso accompagnato nella loro ultima vacanza numerosi pazienti di Aids in fin di vita, nella speranza di distoglierli dalla miseria della loro condizione e di dare loro un'ultima chance di vivere pienamente.
L'Aids era così stigmatizzato quindici anni fa che le persone nascondevano la verità l'una con l'altra, anche agli amici. Banche e assicurazioni avrebbero chiuso ogni rapporto se avessero saputo che un cliente era malato di Aids. I datori di lavoro lo avrebbero licenziato. I genitori lo avrebbero diseredato. Anche i certificati di morte venivano alterati con false cause come il cancro o broncopolmonite, nonostante fossero solo sintomi. I fondamentalisti religiosi ci dicevano che "l'Aids è la punizione di Dio contro l'omosessualità". La parola Aids era raramente menzionata ai funerali.
E' ancora più difficile descrivere come era terrificante la malattia e perché il patti di "suicidio assistito" erano necessari. Ma concedetemi di provarci. Primo, non sapevamo niente: la malattia era terrificante perché poteva accadere qualunque cosa e spesso accadeva. Infezioni opportuniste che spaziavano dall'orribile cancro alla pelle fino a bolle rosse gigantesche sulla faccia e sul naso. Grossi gonfiori e il rischio che anche un semplice raffreddore o influenza potessero trasformarsi in qualcosa che ti uccideva in poche settimane. Come un venticello che si trasforma in un tornado.
Si pensava che i farmaci che pompavamo nei loro corpi, in particolare Azt, erano più nocivi del virus. Ricordo amici che non riuscivano a trovare neanche una vena lungo le ossa delle loro braccia perché venivano distrutte dalle sostanze tossiche iniettate. Cecità e condizioni simili all'Alzheimer erano spesso normali nell'ultimo mese o due di vita, lasciando sul letto quelle povere anime immobili, coperte di piaghe orribili, imprigionate in una cella di dolore e terrore.
Come potevamo aiutarli a morire? Solitamente si ricorreva ad una dose di morfina. Non ho mai sentito dire di qualcuno che ha utilizzato un cuscino per soffocare il malato (cosa che ha fatto Gosling), ma certamente c'è voluto grande coraggio. Quello che ho visto invece sono medici che prescrivevano dosi eccessive di morfina in numerose occasioni. Lo facevano lasciando all'amico o familiare che assisteva il malato un piccolo surplus di morfina ogni settimana, fino a quando eventualmente non veniva accumulato farmaco a sufficienza per un'overdose. Il tutto senza destare sospetti. ...
Gli uomini gay non potevano sposarsi all'epoca. Ma nessuno poteva privarci della scelta su come morire. Se il medico non poteva somministrare la dose, solitamente si trattava di un momento profondamente privato e silenzioso condiviso da due amanti che avevano patito le pene dell'inferno insieme. Ricordo di essere uscito in giardino dopo aver sentito il partner che chiedeva "Sei pronto?" e aver visto il paziente che lentamente e dolorosamente muoveva la testa per dire "Sì". Ho vissuto il sollievo reciproco quando l'ho visto alzare la siringa. Li ho lasciati condividere questi ultimi momenti intensamente privati. Anche se sapevo di tanti episodi simili e avevo partecipato in alcuni di essi, non avevo alcuna voglia di assistere a quel momento. Quando l'ho fatto, mi sono sempre ritrovato a piangere. In questo caso, il partner sapeva che avrebbe dovuto vivere quello strazio.
In un'altra occasione, il partner e il paziente hanno ospitato una festa (ricordo che era all'ospedale St. Mary). I due amanti e i loro amici avevano portato dei palloncini e una torta e sedevano intorno al letto come in una celebrazione. Alla fine il paziente ha salutato tutti e quando avevamo lasciato la stanza, si è autosomministrato la dose letale. Questa sorta di veglia funebre vivente divenne presto una cosa comune, anche se questa era stata l'unica occasione in cui ci era stato detto in anticipo cosa sarebbe successo.
Questa era Londra dell'Aids. Stoica e senza voce; i lebbrosi dell'età moderna. Era una sorta di mentalità d'assalto. Questa opzione era l'unica di cui erano in controllo.
Ho spesso sentito dire "Se prendo l'Aids mi uccido", oppure prevedere a quale punto di sofferenza e immobilità si sarebbe assunta la dose finale. Tutto sommato, siamo molto più forti di quanto possiamo immaginare. La maggior parte delle persone che pensavano di volersi togliere la vita appena divenuti incontinenti o costretti ad un letto finiscono per lottare fino alla fine.
Un mio amico, negli ultimi istanti della sua estrema agonia, si girò verso il partner facendogli capire che era giunto il momento, anche se sarebbe morto comunque entro la mattina dopo. Ci eravamo riuniti tutti insieme per vederlo dopo che ci era stato detto che "non sarebbe vissuto a lungo". Da quello che so, questo tipo di atto compassionevole raramente viene compiuto oltre un giorno o qualche ora prima di morire comunque per cause "naturali".
Ma avere quell'opzione disponibile offre enorme consolazione in quanto permette al paziente un certo livello di controllo sulla tortura. Permette loro di sopportare l'agonia sapendo che la decisione di andarsene appartiene solo a loro, non alla malattia. E in un modo strano, la politica del far finta di non vedere ha permesso a medici e pazienti di prendere questa decisione al momento giusto. Ma per la vasta maggioranza dei pazienti che non ha medici disposti a prendersi rischi del genere, o ha parenti che si oppongono, questa politica non funziona. E coloro che decidono di andare in Svizzera devono acquistare un biglietto aereo e prendere un appuntamento per morire prima di quando vorrebbero. L'opzione del "chiudere un occhio" funziona solo per le persone che possono sfruttarla.
Ray Gosling, il mio nuovo eroe, è insieme ai molti eroi sconosciuti che hanno accettato di fare la cosa più difficile, con il rischio di finire in carcere ed essere radiati. Ho scritto questo articolo per sostenerli.
 
 
 
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Pubblichiamo questo articolo-confessione di Ivan Massow, candidato alle elezioni nel Partito Conservatore, apparso sul quotidiano The Independent.
Non sono il tipo che tace quando assiste ad un'ingiustizia. Infatti alcuni dicono che ho costruito la mia carriera nel denunciare cose che molti considerano un suicidio professionale. Che sia perdere il lavoro dopo aver denunciato l'omofobia di istituti di assicurazione come Zurich Life per il loro trattamento draconiano dei gay, o chiedere un passo indietro al concettualismo, che mi è costata la presidenza dell'Institute of Contemporary Art, oppure sacrificare la mia posizione nel partito dei Tory dopo averlo definito "partito cattivo" nel tentativo disperato di riportarlo su posizioni moderate che ora ha assunto sotto la direzione di David Cameron. Ma ho sempre avuto timore di scrivere questo articolo, come un bambino impaurito. Perché questa volta corro il rischio di essere arrestato.
Alcune settimane fa ho letto del patto che Ray Gosling aveva stretto col partner in fin di vita per Aids 20 anni fa. Soffriva terribilmente. Gosling aveva accettato di aiutarlo a morire, soffocandolo con un cuscino. Ero triste per Gosling, ma soprattutto mi sentivo in colpa per il mio silenzio. Come molti uomini gay di una certa età, anch'io ho visto casi di suicidio assistito. Infatti, ne ho visti molti.
L'Aids ha dominato i miei vent'anni. Potrebbe essere difficile per coloro che non c'erano capire cosa era la vita allora. Anche se avevamo un reparto Aids fantastico (il migliore era quello del St. Mary's Hospital a Londra), si sapeva poco del virus e il panico regnava ovunque. Non sapevamo come si trasmetteva e, nonostante parlassimo continuamente dell'uso di condom, questo era solo una supposizione. Tutti pregavano che non si trasmettesse attraverso la saliva o l'aria.
Il mio coinvolgimento con il mondo dell'Hiv iniziò per caso. Mi trasferii a Londra per cominciare il mio primo lavoro a 19 anni, con pochi soldi e nessun posto dove vivere. Mi fu consigliato di andare a vivere in un dormitorio diretto da un certo George, che mi disse di essere sieropositivo appena lo conobbi. Nel presentarmi gli altri ospiti capii che in diversi erano affetti da Hiv. Il Comune aveva permesso loro di vivere li', tutti insieme, perché nessun'altra struttura li voleva ospitare. Era come se fossero in quarantena.
Ricordo la paura che avevo quando mi chiedevo se potevo essere infettato semplicemente standomene lì con loro. Me ne vergogno profondamente, ma ricordo che mi fu offerta una fetta di torta al mio arrivo, una sorta di regalo di benvenuto. La presi, la portai nella mia stanza e la gettai nel cestino, terrorizzato all'idea di mangiarla. Mi ci vollero due settimane per capire quanto ero stato ingenuo, e anni per confessare a George cosa avevo fatto. Da quel giorno ho cominciato quello che considero un percorso di perdono. Ho fondato un business che offriva assicurazione sanitaria e mutui alle persone ad alto rischio di Hiv, e di consulenza gratuita per tutti i sieropositivi. Con i miei colleghi abbiamo preso in carico migliaia di casi del genere, spesso inviatici dal Terrence Higgins Trust. Fummo inondati di storie orribili, con persone che appena scoperta la loro sieropositività si erano visti crollare il mondo addosso e con nessuna opzione disponibile.
Nonostante non abbia mai contratto l'Hiv, negli anni '90 mi sono trovato immerso nella realtà londinese dell'Aids e a lottare contro la discriminazione contro i gay a causa dell'epidemia. Frequentavo assiduamente i reparti ospedalieri e le case dove vivevano i malati di Aids, e spesso ho pagato per le loro cure. Ho spesso accompagnato nella loro ultima vacanza numerosi pazienti di Aids in fin di vita, nella speranza di distoglierli dalla miseria della loro condizione e di dare loro un'ultima chance di vivere pienamente.
L'Aids era così stigmatizzato quindici anni fa che le persone nascondevano la verità l'una con l'altra, anche agli amici. Banche e assicurazioni avrebbero chiuso ogni rapporto se avessero saputo che un cliente era malato di Aids. I datori di lavoro lo avrebbero licenziato. I genitori lo avrebbero diseredato. Anche i certificati di morte venivano alterati con false cause come il cancro o broncopolmonite, nonostante fossero solo sintomi. I fondamentalisti religiosi ci dicevano che "l'Aids è la punizione di Dio contro l'omosessualità". La parola Aids era raramente menzionata ai funerali.
E' ancora più difficile descrivere come era terrificante la malattia e perché il patti di "suicidio assistito" erano necessari. Ma concedetemi di provarci. Primo, non sapevamo niente: la malattia era terrificante perché poteva accadere qualunque cosa e spesso accadeva. Infezioni opportuniste che spaziavano dall'orribile cancro alla pelle fino a bolle rosse gigantesche sulla faccia e sul naso. Grossi gonfiori e il rischio che anche un semplice raffreddore o influenza potessero trasformarsi in qualcosa che ti uccideva in poche settimane. Come un venticello che si trasforma in un tornado.
Si pensava che i farmaci che pompavamo nei loro corpi, in particolare Azt, erano più nocivi del virus. Ricordo amici che non riuscivano a trovare neanche una vena lungo le ossa delle loro braccia perché venivano distrutte dalle sostanze tossiche iniettate. Cecità e condizioni simili all'Alzheimer erano spesso normali nell'ultimo mese o due di vita, lasciando sul letto quelle povere anime immobili, coperte di piaghe orribili, imprigionate in una cella di dolore e terrore.
Come potevamo aiutarli a morire? Solitamente si ricorreva ad una dose di morfina. Non ho mai sentito dire di qualcuno che ha utilizzato un cuscino per soffocare il malato (cosa che ha fatto Gosling), ma certamente c'è voluto grande coraggio. Quello che ho visto invece sono medici che prescrivevano dosi eccessive di morfina in numerose occasioni. Lo facevano lasciando all'amico o familiare che assisteva il malato un piccolo surplus di morfina ogni settimana, fino a quando eventualmente non veniva accumulato farmaco a sufficienza per un'overdose. Il tutto senza destare sospetti. ...
Gli uomini gay non potevano sposarsi all'epoca. Ma nessuno poteva privarci della scelta su come morire. Se il medico non poteva somministrare la dose, solitamente si trattava di un momento profondamente privato e silenzioso condiviso da due amanti che avevano patito le pene dell'inferno insieme. Ricordo di essere uscito in giardino dopo aver sentito il partner che chiedeva "Sei pronto?" e aver visto il paziente che lentamente e dolorosamente muoveva la testa per dire "Sì". Ho vissuto il sollievo reciproco quando l'ho visto alzare la siringa. Li ho lasciati condividere questi ultimi momenti intensamente privati. Anche se sapevo di tanti episodi simili e avevo partecipato in alcuni di essi, non avevo alcuna voglia di assistere a quel momento. Quando l'ho fatto, mi sono sempre ritrovato a piangere. In questo caso, il partner sapeva che avrebbe dovuto vivere quello strazio.
In un'altra occasione, il partner e il paziente hanno ospitato una festa (ricordo che era all'ospedale St. Mary). I due amanti e i loro amici avevano portato dei palloncini e una torta e sedevano intorno al letto come in una celebrazione. Alla fine il paziente ha salutato tutti e quando avevamo lasciato la stanza, si è autosomministrato la dose letale. Questa sorta di veglia funebre vivente divenne presto una cosa comune, anche se questa era stata l'unica occasione in cui ci era stato detto in anticipo cosa sarebbe successo.
Questa era Londra dell'Aids. Stoica e senza voce; i lebbrosi dell'età moderna. Era una sorta di mentalità d'assalto. Questa opzione era l'unica di cui erano in controllo.
Ho spesso sentito dire "Se prendo l'Aids mi uccido", oppure prevedere a quale punto di sofferenza e immobilità si sarebbe assunta la dose finale. Tutto sommato, siamo molto più forti di quanto possiamo immaginare. La maggior parte delle persone che pensavano di volersi togliere la vita appena divenuti incontinenti o costretti ad un letto finiscono per lottare fino alla fine.
Un mio amico, negli ultimi istanti della sua estrema agonia, si girò verso il partner facendogli capire che era giunto il momento, anche se sarebbe morto comunque entro la mattina dopo. Ci eravamo riuniti tutti insieme per vederlo dopo che ci era stato detto che "non sarebbe vissuto a lungo". Da quello che so, questo tipo di atto compassionevole raramente viene compiuto oltre un giorno o qualche ora prima di morire comunque per cause "naturali".
Ma avere quell'opzione disponibile offre enorme consolazione in quanto permette al paziente un certo livello di controllo sulla tortura. Permette loro di sopportare l'agonia sapendo che la decisione di andarsene appartiene solo a loro, non alla malattia. E in un modo strano, la politica del far finta di non vedere ha permesso a medici e pazienti di prendere questa decisione al momento giusto. Ma per la vasta maggioranza dei pazienti che non ha medici disposti a prendersi rischi del genere, o ha parenti che si oppongono, questa politica non funziona. E coloro che decidono di andare in Svizzera devono acquistare un biglietto aereo e prendere un appuntamento per morire prima di quando vorrebbero. L'opzione del "chiudere un occhio" funziona solo per le persone che possono sfruttarla.
Ray Gosling, il mio nuovo eroe, è insieme ai molti eroi sconosciuti che hanno accettato di fare la cosa più difficile, con il rischio di finire in carcere ed essere radiati. Ho scritto questo articolo per sostenerli.
 
 
 
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