Per la religione ebraica non si puo' impedire il nutrimento, e quindi e' corretto l'utilizzo del sondino per un paziente in stato vegetativo, ma se vi sono speranze di sopravvivenza. Il paziente, solo lui, puo' rifiutare le cure e in tal senso ha valenza la dichiarazione di volonta'.
Sono queste, secondo la sintesi di Cesare Efrati, rabbino e medico chirurgo dell'Ospedale Israelitico di Roma, le posizioni dell''halacha' (la legge ebraica) sui percorsi di fine vita, al centro di un convegno organizzato ieri a Trieste dal Gruppo sionistico della comunita' ebraica locale, a sette mesi dalla morte, a Udine, di Eluana Englaro.
Nella visione ebraica per il medico vi e' l'obbligo di curare e per il malato quello di farsi curare, seguendo i consigli dei sanitari, in quanto l'uomo e' responsabile ma non proprietario del corpo, e va preservata la santita' della vita. C'e' pero' il dovere di alleviare il dolore e rimuovere cio' che prolunga la sofferenza e di non accelerare la morte.
Nel caso di un paziente la cui attivita' cerebrale e' irreversibilmente danneggiata, ha spiegato Efrati, non si possono fare infusioni che creino una realta' artificiosa, e una delle ipotesi e' quella di un respiratore 'a timer'. Infine, pregare per la morte di un paziente e' proibito ai parenti, mentre e' permesso al malato.