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Testamento biologico e caso Englaro: falso problema?
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Articolo di Piergiorgio Welby
31 maggio 2006 0:00
 
"Se il paziente A è perfettamente consapevole, mentre il paziente B non lo è più, ma ha lasciato disposizioni scritte circa i trattamenti ai quali desidera o non desidera essere sottoposto. Il paziente A rifiuta consapevolmente una proposta di intervento medico, che compare tra quelle che anche il paziente B ha scritto di voler rifiutare: per quale ragione dovremmo ritenere non solo legittimo, ma anche doveroso onorare la volontà del paziente A, mentre sarebbe illegittimo onorare la volontà del paziente B?"
(Prof. Demetrio Neri, membro del CNB)

La vicenda umana e giudiziaria di Beppino Englaro -padre di Eluana Englaro, una ragazza in coma irreversibile- che vorrebbe restituire la figlia a quella morte dalla quale fu strappata, 17 anni fa, dai protocolli di rianimazione, costringe periodicamente i media ad occuparsi di SVP, persone in stato vegetativo persistente. In Italia, i pazienti in stato vegetativo persistente sono, secondo alcune ricerche, oltre 3000. Vincenzo Carpino, presidente dell'Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani, ha spiegato che «dallo stato vegetativo persistente, in cui un danno gravissimo della corteccia cerebrale determina la totale perdita della coscienza di sé e dell'ambiente circostante non c'è speranza di miglioramento». Ora è la Corte d'Appello di Milano che dovrà decidere se accogliere o meno l'ultimo, in ordine di tempo, ricorso presentato dagli avvocati di Beppino Englaro. La domanda a cui la "Giustizia" è chiamata a rispondere è di una semplicità inquietante: "Una persona in stato di coma irreversibile ha gli stessi diritti di una persona in grado di intendere e volere?" Se sì, allora dovrebbe valere anche per Eluana il diritto, previsto dall'art. 32 della Costituzione Italiana secondo il quale "Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana", ed il Codice Deontologico Medico all'art. 51 (1998) fa divieto ai medici di "assumere iniziative costrittive e collaborare a manovre coattive di nutrizione artificiale", e all'art. 32 si specifica che il medico "deve" desistere da qualunque atto diagnostico e/o terapeutico consapevolmente rifiutato dal paziente. Giovanni Franzoni, monaco benedettino, e animatore delle comunità cristiane di base, nel suo libro "La morte condivisa", EDUP (Edizioni dell'Università Popolare), scrive che il rifiuto espresso da una persona cosciente ad essere alimentata è ritenuto un diritto inalienabile. È noto il caso di una donna in pericolo di vita per un piede in cancrena che, nel gennaio 2004, rifiutò l'amputazione e lasciò l'ospedale San Paolo di Milano. Ma chi può "parlare" per Eluana, chi può dire cosa lei veramente voglia? Il padre sostiene che in occasione di un grave incidente occorso ad un amico, Eluana aveva espresso la volontà di non essere mantenuta in vita artificialmente. Sembra quindi logico pensare che se ci trovassimo in presenza di un testamento biologico, redatto da Eluana, nel quale esprimesse un netto rifiuto di ogni sostentamento vitale, sia per mezzo di macchinari elettromedicali che di alimentazione e idratazione artificiale, non ci sarebbero impedimenti a rispettare la sua volontà precedentemente espressa. Anche il prof. U. Veronesi, in un recente articolo ha sostenuto che il testamento di vita vuole colmare la frattura della sopravvenuta incapacità dell'individuo di fare scelte coscienti ed è dunque uno strumento dell'autonomia dei malati. Ebbene, non è così. Il Cnb (Comitato Nazionale di Bioetica) si è così espresso "Non è richiesto il consenso al trattamento sanitario quando la vita della persona incapace sia in pericolo e il suo consenso o dissenso non possa essere ottenuto e la sua integrità fisica sia minacciata."; inoltre ".quando nell'ambito della medicina, si abbia a che fare con "dichiarazioni anticipate di trattamento" che possono implicare una limitazione dell'autonomia professionale del medico e della sua libertà di scelta terapeutica, tali indicazioni vanno considerate in contrasto insanabile con l'etica della professione medica e quindi non possono essere ammesse", ed ancora, il Cnb "esclude dalla serie di trattamenti ricusabili l'alimentazione forzata". Queste indicazioni sono state recepite dal ddl d'iniziativa del senatore Tomassini, norme in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento (n. 2943), che all'art. 51 recita "Non è richiesto il consenso al trattamento sanitario quando la vita della persona incapace sia in pericolo ovvero quando il suo consenso o dissenso non possa essere ottenuto e la sua integrità fisica sia minacciata". È evidente che, anche nel caso di una approvazione del testamento biologico, il problema rimarrebbe irrisolto. Altra cosa sarebbe un testamento biologico sul modello USA. Gli ospedali americani -scrive Arturo Colombo su La Repubblica, 16 Giugno 2000- hanno tentato il percorso abbreviato detto DNR, "Do Not Resuscitate". Mentre i medici e gli specialisti di un pronto soccorso cercano di riportare in vita il paziente gravissimo, qualcuno esplora i suoi documenti o cerca di mettersi in contatto con i suoi familiari. Se c'è il cosiddetto "Living Will Testament", i medici tengono il corpo nelle sale di rianimazione, ma con la scritta bene in vista DNR. Nessuno dovrà fare più nulla per quella persona, persino se tecnicamente c'è ancora un filo di vita. Per la legge italiana (del 29 dicembre 1993, n. 578) «la morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo». Questa è una scelta, tuttavia essa, come tutte le scelte, non è fondata unicamente sulla descrizione fisiologica di uno stato biologico, ma è basata su valori. Dobbiamo far riferimento a valori, -scrive Giovanni Boniolo, docente di Logica e Filosofia della scienza- che lo si voglia o meno, che piaccia o meno. Questo è il punto cruciale: la descrizione di uno stato fisiologico è libera da valore, ma la scelta e i criteri per la morte clinica sono carichi di valore. E qui dobbiamo ricorrere di nuovo alla nozione di esistenza, poiché è la fine dell'esistenza a essere in discussione, e allora è una discussione necessariamente anche extrabiologica, in quanto coinvolge valori sociali, giuridici, religiosi, metafisici, etici ecc. Si noti che quest'aspetto è particolarmente rilevante in quei casi in cui vi è un essere umano in una situazione tale, a causa di una malattia o di un incidente, da dover scegliere fra la sacralità dell'esistenza, e quindi il mantenimento in vita a oltranza di alcune sue popolazioni cellulari, anche se gli costa grande sofferenza, e la qualità dell'esistenza, che può portare alla scelta estrema dell'atto eutanasico. E' chiaro, a questo punto, che chiunque si fosse illuso di scongiurare i futuri casi Eluana Englaro per mezzo di un DAT (dichiarazioni anticipate di trattamento) deve prendere atto che le indicazioni del Cnb e gli eventuali testamenti biologici che quelle indicazioni recepiscono non incideranno sul problema. Una strada possibile sarebbe quella offerta dall'articolo 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo il quale stabilisce che nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti. Comunque vada a finire il ricorso degli avvocati di Beppino Englaro, si è facili profeti prevedendo che sentiremo parlare ancora a lungo di testamento biologico, stati vegetativi persistenti e diritto della persona a veder rispettate le proprie autorappresentazioni della vita.
 
 
 
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