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L'intervista alla donna che non c'e'
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Articolo di Chiara Lalli
6 ottobre 2006 0:00
 
La lettera aperta di Piergiorgio Welby ha superato gli angusti argini del dibattito tra fautori della libera scelta e avversari irriducibili dell'eutanasia sollevando una questione apparentemente non pertinente: esiste una deontologia per i giornalisti? Esistono delle regole elementari da rispettare?
Una risposta semplice e verosimilmente condivisa e' raccontare la verita' dopo averne accertato le fonti.
Due giorni fa su "La Stampa" e' stato pubblicato un pezzo a firma di Flavia Amabile. Indignata per la dichiarazione di Marco Pannella "Gli stacco io la spina", che e' anche il titolo del suo articolo, Amabile costruisce la sua disapprovazione sulle menzogne.
Arriva addirittura a descrivere una stanza che non ha mai visto, suggerendo una familiarita' inesistente ("l'appartamento è sempre lo stesso"), si spinge fino a riportare il parere di una figlia che non e' mai nata e che affermerebbe di non conoscere Pannella e implorerebbe: "non ne possiamo piu', lasciateci in pace".
Sforzo di fantasia a parte, in un Paese civile la spudoratezza di questa invenzione avrebbe suscitato indignazione e forse la sospensione dall'Ordine dei Giornalisti.
In Italia quasi l'unica risposta e' il silenzio e forse uno scappellotto per averla fatta davvero grossa! Con l'unica eccezione delle parole, fin troppo composte, di Mina Welby che non lasciano alcuno spazio al dubbio: "La famiglia Welby non ha concesso interviste a La Stampa, né alla suddetta giornalista, né ad altri. E' totalmente infondata la notizia secondo la quale vi sia una figlia, e quindi che la stessa possa parlare a nome mio e di Piergiorgio". E verrebbe da aggiungere: "Lasciateci in pace".
 
 
 
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