testata ADUC
Francia. Democrazia sanitaria e fine della vita
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Sandrine Blanchard
17 aprile 2007 0:00
 
Tratto da Le Monde del 14 aprile 2007

Il tema della gestione del fine vita ha fatto solo una fugace apparizione nella campagna presidenziale. Peccato. Un sondaggio realizzato il 7e l'8 marzo, qualche giorno prima del processo in Assise dell'infermiera Chantal Chanel e della dottoressa Laurence Tramois, processate per aver praticato un'iniezione letale a una malata in fase terminale di cancro, mostra che l'87% dei francesi e' favorevole alla legalizzazione dell'eutanasia. Ogni volta che sono interpellati circa la possibilita', per un paziente affetto da malattia incurabile, di richiedere che gli sia accorciata la sofferenza, una larga maggioranza di francesi risponde di si'.
E' come se la legge Leonetti del 22 aprile 2005 -varata dopo la dolorosa vicenda di Vincent Humbert, il giovane tetraplegico che reclamava il "diritto a morire"- non avesse cambiato nulla. Basta un nuovo caso e l'emozione che suscitano inevitabilmente le storie del fine vita perche' il dibattito ricada nell'approccio binario tra cure palliative, da un lato, e legalizzazione dell'eutanasia, dall'altro. Sullo sfondo della campagna presidenziale e della lobbying mediatica dell'Associazione per il diritto di morire con dignita' (ADMD), il processo di Chantal Chanel e Laurence Tramois ha riaperto, furtivamente, il dibattito sull'eutanasia. Ciascun campo ha lanciato la propria petizione. Da un lato, 2.000 firme di professionisti della sanita' che riconoscevano ed ammettevano francamente d'aver aiutato qualche paziente a morire. Dall'altro, 5.000 firmatari affermavano, in una sorta d'arringa, che un'altra medicina, "dal volto umano", e' possibile. Ora il dibattito e' di nuovo sopito e restano le angosce che ciascuno puo' provare di fronte alla sofferenza, l'accanimento terapeutico e la morte. Il contenuto della legge Leonetti e' stato dimenticato. Ma l'opinione pubblica conosce veramente il nuovo testo legislativo che bandisce l'accanimento terapeutico? La linea telefonica Azur, aperta l'indomani dell'emanazione della legge affinche' ciascuno potesse "informarsi" sui nuovi diritti dei malati in fin di vita e "parlarne", e' stata un fallimento. Uno smacco prevedibile, quasi organizzato, visto che i poteri pubblici non hanno voluto fare niente per comunicare sulla nuova linea, con il pretesto che e' troppo difficile parlare di morte... In quanto all'applicazione della legge, non si fa nulla per valutarla, per sapere se le équipe mediche se ne siano fatte carico e se essa consenta di risolvere tutte le problematiche. E poi, basta con l'ipocrisia: l'affare di Périgueux (il processo all'infermiera e alla dottoressa) non e' che l'albero che nasconde la foresta. Se e' arrivata all'onore delle cronache non e' perche' la famiglia della donna morta avesse denunciato il comportamento del medico, ma per una divergenza tra il personale medico e paramedico. Altri malati, nel segreto dei corridoi e delle camere d'ospedale, vengono aiutati a morire. Perche' sebbene la medicina moderna disponga dei mezzi necessari ad alleviare le sofferenze, ci saranno sempre situazioni di fine vita in cui il dolore non puo' essere attenuato, o dove la richiesta del malato di farla finita diventa onnipresente.
E' necessario dare un quadro legale all'eutanasia? "Il nemico del malato morente e' la pratica medica solitaria e il non accesso a medici formati a gestire il fine vita", ha insistito il professor François Goldwasser dell'ospedale Cochin, in un dibattito organizzato il 13 marzo a Parigi da Espace éthique de l'Assistance publique-Hopitaux de Paris (AP-HP). Per l'oncologo, "non bisogna confondere i limiti della competenza con i limiti della medicina". Tutti noi abbiamo paura di morire male, e questa paura e' "largamente giustificata poiche' c'e' una grande carenza nell'accompagnamento", riconosce il professor Jean-Claude Ameisen, presidente del comitato etico d'Inserm. La medicina si e' tecnicizzata, guarisce sempre di piu', ma s'interessa sempre meno di coloro per i quali le cure diventano un ostacolo. "Abbiamo la medicina che ci meritiamo. Non siamo piu' giudicati sulla base della soddisfazione del malato, ma sull'attivita' e gli atti", si duole il professor Goldwasser. Ora, la fine della vita in ospedale non ha bisogno di materiale sofisticato, ma di tempo e personale. Un "saper essere", come riassume un infermiere. "E' una questione d'umanita'. La medicina deve riappropriarsi di quest'umanita', del dovere d'assistenza e di accompagnamento che e' all'origine della sue fondamenta", ritiene il professor Ameisen. Tanto piu' che e' in ospedale che avviene l'80% dei decessi. Depenalizzare l'eutanasia produrrebbe delle derive, fanno pero' valere gli oppositori. Ma non e' gia' una deriva quando la medicina s'ostina in modo irragionevole o quando lascia solo chi muore?
La democrazia sanitaria ha fatto emergere diritti dei malati che mal si coniugano con il paternalismo medico. Non deve destare meraviglia se la recente nozione di "diritti dei malati" oggi tocca la questione del diritto a scegliere la propria morte. Pero' non si deve confondere tutto, il suicidio assistito -che non deriva necessariamente da un problema medico- con il rifiuto dell'accanimento terapeutico. La storia di Mireille Jospin, che aveva programmato la sua morte, non e' quella di Vincent Humbert. E la storia di questo giovane tetraplegico e' molto distante da quella di Paulette Druais, la donna di 65 anni che Laurence Tramois e Chantal Chanel hanno aiutato a morire. Al momento del voto della legge Leonetti, un buon numero di deputati riconobbe che quel testo costituiva "una nuova tappa", ma non necessariamente l'ultima. Bisognera' aspettare una nuova vicenda d'eutanasia per riproporre di nuovo la questione dell'applicazione della legge e dei mezzi dati agli ospedali per accompagnare i moribondi? Nei fascicoli sul fine vita che ha dovuto esaminare, la giustizia ha sempre dato prova di clemenza, navigando tra il non luogo a procedere e pene minime. Queste vicende -nelle quali parole come "umanita'" e "gesto d'amore" sono state pronunciate incessantemente- hanno avuto il merito di togliere il tabu' della morte in ospedale e d'aver segnalato i limiti della medicina moderna. Non e' che domani la morte diventera' "bella", ne' con le cure palliative ne' con l'eutanasia. Occorre semplicemente che le condizioni della morte in ospedale diventino accettabili per i malati. Che non ci sia mai solitudine ne' abbandono. Pero' la legge Leonetti non puo' risolvere tutto. Come dice il professor Vincent Meininger, che e' confrontato ogni giorno con pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica a Pitie'-Salpetriere: "Rimarra' sempre una frangia di malati che vogliono morire: se non li si ascolta, si fa un errore".

Traduzione di Rosa a Marca
 
 
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS
 
ADUC - Eutanasia - Articolo - Francia. Democrazia sanitaria e fine della vita

testata ADUC
Francia. Democrazia sanitaria e fine della vita
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Sandrine Blanchard
17 aprile 2007 0:00
 
Tratto da Le Monde del 14 aprile 2007

Il tema della gestione del fine vita ha fatto solo una fugace apparizione nella campagna presidenziale. Peccato. Un sondaggio realizzato il 7e l'8 marzo, qualche giorno prima del processo in Assise dell'infermiera Chantal Chanel e della dottoressa Laurence Tramois, processate per aver praticato un'iniezione letale a una malata in fase terminale di cancro, mostra che l'87% dei francesi e' favorevole alla legalizzazione dell'eutanasia. Ogni volta che sono interpellati circa la possibilita', per un paziente affetto da malattia incurabile, di richiedere che gli sia accorciata la sofferenza, una larga maggioranza di francesi risponde di si'.
E' come se la legge Leonetti del 22 aprile 2005 -varata dopo la dolorosa vicenda di Vincent Humbert, il giovane tetraplegico che reclamava il "diritto a morire"- non avesse cambiato nulla. Basta un nuovo caso e l'emozione che suscitano inevitabilmente le storie del fine vita perche' il dibattito ricada nell'approccio binario tra cure palliative, da un lato, e legalizzazione dell'eutanasia, dall'altro. Sullo sfondo della campagna presidenziale e della lobbying mediatica dell'Associazione per il diritto di morire con dignita' (ADMD), il processo di Chantal Chanel e Laurence Tramois ha riaperto, furtivamente, il dibattito sull'eutanasia. Ciascun campo ha lanciato la propria petizione. Da un lato, 2.000 firme di professionisti della sanita' che riconoscevano ed ammettevano francamente d'aver aiutato qualche paziente a morire. Dall'altro, 5.000 firmatari affermavano, in una sorta d'arringa, che un'altra medicina, "dal volto umano", e' possibile. Ora il dibattito e' di nuovo sopito e restano le angosce che ciascuno puo' provare di fronte alla sofferenza, l'accanimento terapeutico e la morte. Il contenuto della legge Leonetti e' stato dimenticato. Ma l'opinione pubblica conosce veramente il nuovo testo legislativo che bandisce l'accanimento terapeutico? La linea telefonica Azur, aperta l'indomani dell'emanazione della legge affinche' ciascuno potesse "informarsi" sui nuovi diritti dei malati in fin di vita e "parlarne", e' stata un fallimento. Uno smacco prevedibile, quasi organizzato, visto che i poteri pubblici non hanno voluto fare niente per comunicare sulla nuova linea, con il pretesto che e' troppo difficile parlare di morte... In quanto all'applicazione della legge, non si fa nulla per valutarla, per sapere se le équipe mediche se ne siano fatte carico e se essa consenta di risolvere tutte le problematiche. E poi, basta con l'ipocrisia: l'affare di Périgueux (il processo all'infermiera e alla dottoressa) non e' che l'albero che nasconde la foresta. Se e' arrivata all'onore delle cronache non e' perche' la famiglia della donna morta avesse denunciato il comportamento del medico, ma per una divergenza tra il personale medico e paramedico. Altri malati, nel segreto dei corridoi e delle camere d'ospedale, vengono aiutati a morire. Perche' sebbene la medicina moderna disponga dei mezzi necessari ad alleviare le sofferenze, ci saranno sempre situazioni di fine vita in cui il dolore non puo' essere attenuato, o dove la richiesta del malato di farla finita diventa onnipresente.
E' necessario dare un quadro legale all'eutanasia? "Il nemico del malato morente e' la pratica medica solitaria e il non accesso a medici formati a gestire il fine vita", ha insistito il professor François Goldwasser dell'ospedale Cochin, in un dibattito organizzato il 13 marzo a Parigi da Espace éthique de l'Assistance publique-Hopitaux de Paris (AP-HP). Per l'oncologo, "non bisogna confondere i limiti della competenza con i limiti della medicina". Tutti noi abbiamo paura di morire male, e questa paura e' "largamente giustificata poiche' c'e' una grande carenza nell'accompagnamento", riconosce il professor Jean-Claude Ameisen, presidente del comitato etico d'Inserm. La medicina si e' tecnicizzata, guarisce sempre di piu', ma s'interessa sempre meno di coloro per i quali le cure diventano un ostacolo. "Abbiamo la medicina che ci meritiamo. Non siamo piu' giudicati sulla base della soddisfazione del malato, ma sull'attivita' e gli atti", si duole il professor Goldwasser. Ora, la fine della vita in ospedale non ha bisogno di materiale sofisticato, ma di tempo e personale. Un "saper essere", come riassume un infermiere. "E' una questione d'umanita'. La medicina deve riappropriarsi di quest'umanita', del dovere d'assistenza e di accompagnamento che e' all'origine della sue fondamenta", ritiene il professor Ameisen. Tanto piu' che e' in ospedale che avviene l'80% dei decessi. Depenalizzare l'eutanasia produrrebbe delle derive, fanno pero' valere gli oppositori. Ma non e' gia' una deriva quando la medicina s'ostina in modo irragionevole o quando lascia solo chi muore?
La democrazia sanitaria ha fatto emergere diritti dei malati che mal si coniugano con il paternalismo medico. Non deve destare meraviglia se la recente nozione di "diritti dei malati" oggi tocca la questione del diritto a scegliere la propria morte. Pero' non si deve confondere tutto, il suicidio assistito -che non deriva necessariamente da un problema medico- con il rifiuto dell'accanimento terapeutico. La storia di Mireille Jospin, che aveva programmato la sua morte, non e' quella di Vincent Humbert. E la storia di questo giovane tetraplegico e' molto distante da quella di Paulette Druais, la donna di 65 anni che Laurence Tramois e Chantal Chanel hanno aiutato a morire. Al momento del voto della legge Leonetti, un buon numero di deputati riconobbe che quel testo costituiva "una nuova tappa", ma non necessariamente l'ultima. Bisognera' aspettare una nuova vicenda d'eutanasia per riproporre di nuovo la questione dell'applicazione della legge e dei mezzi dati agli ospedali per accompagnare i moribondi? Nei fascicoli sul fine vita che ha dovuto esaminare, la giustizia ha sempre dato prova di clemenza, navigando tra il non luogo a procedere e pene minime. Queste vicende -nelle quali parole come "umanita'" e "gesto d'amore" sono state pronunciate incessantemente- hanno avuto il merito di togliere il tabu' della morte in ospedale e d'aver segnalato i limiti della medicina moderna. Non e' che domani la morte diventera' "bella", ne' con le cure palliative ne' con l'eutanasia. Occorre semplicemente che le condizioni della morte in ospedale diventino accettabili per i malati. Che non ci sia mai solitudine ne' abbandono. Pero' la legge Leonetti non puo' risolvere tutto. Come dice il professor Vincent Meininger, che e' confrontato ogni giorno con pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica a Pitie'-Salpetriere: "Rimarra' sempre una frangia di malati che vogliono morire: se non li si ascolta, si fa un errore".

Traduzione di Rosa a Marca
 
 
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS