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Rette Residenze sanitarie Assistenziali. Dietrofront del TAR Toscana, nuova azione in difesa degli utenti
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Articolo di Emmanuela Bertucci, Claudia Moretti
28 ottobre 2009 11:44
 
Il 5 novembre prossimo al Tar Toscana si svolgera' l'udienza di merito per tre cause sulle rette Rsa (Residenze Sanitarie Assistenziali) in cui i parenti dei ricoverati (ultrasessantacinquenni non autosufficienti e portatori di handicap grave) chiedono il rimborso delle quote pagate ingiustamente. In passato il Tribunale aveva dato loro ragione ma questa volta i ricorrenti si trovano di fronte ad una sentenza diversa: secondo il nuovo orientamento i Comuni e le Rsa hanno il diritto di chiedere somme che esorbitano dai redditi del ricoverato, computandole rispetto ai redditi di svariati parenti e affini. Con sentenza dello scorso agosto, dopo numerosi provvedimenti positivi per gli utenti, e' arrivato questo ribaltamento di giurisprudenza a 360 gradi.
La legge che disciplina l'Isee (indicatore della situazione economica equivalente), prevede che per il calcolo delle rette di degenza nelle Rsa per questi pazienti si consideri il solo reddito dell'assistito. Secondo il nuovo orientamento del Tar Toscana, tali norme, che prima erano precettive e immediatamente applicabili, diventano di mero indirizzo e inattuabili. Insomma -dice il Tar- la norma c'e' ma non la si puo' attuare perche' non e' stato emanato il Dpcm (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) previsto dalla normativa come atto secondario di specificazione. Evidentemente, per il Tar non conta che ci sia una specifica volonta' politica di non emanarlo e che da 10 anni i Comuni ne ostacolino l'approvazione! Ma la nostra battaglia continua, sia al Tar Toscana il prossimo 5 novembre, sia al Consiglio di Stato se sara' necessario, organo che si e' gia' pronunciato (seppur per adesso in materia di sospensiva e non ancora in via definitiva) in modo favorevole agli utenti.
Di seguito pubblichiamo le memorie depositate in contrasto alla pronuncia dello scorso agosto.

Per un approfondimento della vicenda e tutte le sentenze e memorie, clicca qui


TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE TOSCANA
Memoria per l'udienza del 5 novembre 2009 R.G. 1796/08
Per i signori:
- ........, nata il ...... a ...... e residente in ......., .......rappresentata legalmente dal figlio, Sig .......... nella qualita' di amministratore di sostegno;
- ........, nato a ....... e residente........, Via ...........
- ........., nato a ...... residente in ....., Via ........ tutti rappresentati e difesi nel presente giudizio dagli Avvocati Claudia Moretti ed Emmanuela Bertucci del foro di Firenze come da mandato in calce al presente atto ed elettivamente domiciliate presso lo studio delle stesse, in Firenze, Borgo Pinti 75 R, ove dichiarano di voler ricevere eventuali comunicazioni a mezzo fax 055 2345709;
- ricorrenti -
contro
Comune di Firenze, in persona del Sindaco pro tempore, con sede in Firenze, Piazza della Signoria 1,
  1. convenuto -
e contro
la Residenza Sanitaria Assistenziale.........., in persona del rappresentante legale pro tempore, con sede in ..., Via ......
  1. convenuto -
***
Scopo della memoria che segue e' rappresentare il punto di vista della difesa dei ricorrenti alla luce del nuovo - e mutato - orientamento giurisprudenziale del TAR Toscana nella materia oggetto del presente giudizio. Questa difesa ha preso atto della recente sentenza n. 1409/2009 del 25 agosto 2009 con la quale il Tribunale rigettava un ricorso identico non solo a quello odierno, ma anche a quello di un precedente ed ulteriore caso, la cui sentenza giunge a conclusioni diametralmente opposte (TAR Toscana, sent. n. 2535/2008 del 17 novembre 2008).
Si legge infatti nei due provvedimenti, in ordine alla interpretazione dell'art. 3 comma 2 ter d. lgs. 109/98:
  • trattasi di prescrizione immediatamente precettiva, che non necessita di disposizioni di dettaglio” (sentenza del 17 novembre 2008);
  • Già sotto il profilo letterale, il menzionato comma 2-ter presenta tutti i caratteri della norma di mero indirizzo” [...] “obiettivo che lo stesso legislatore mostra dunque di non aver voluto realizzare direttamente“ (sentenza del 25 agosto 2009).
 
In ordine alla rilevanza della mancata adozione del DPCM:
  • Né osta all’applicazione della norma in questione, la mancata adozione del DPCM previsto dal citato dlgs” (sentenza del 17 novembre 2008);
  • Ed è proprio tale previsione a rivelare, al di là di ogni dubbio residuo, l’efficacia non immediatamente precettiva della disposizione, che, ove fosse interpretata come auto-esecutiva pur in mancanza del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e, soprattutto, dell’intesa ad esso accessiva, violerebbe le prerogative costituzionalmente riconosciute a Regioni ed autonomie locali in una materia che certamente ne vede coinvolti gli interessi” (sentenza del 25 agosto 2009);
 
Sul rapporto fra fonte normativa di primo grado e regolamento comunale:
  • detto Regolamento, come in prosieguo si vedrà risulta erroneamente considerato dal Comune come il corpus normativo legittimante l’adottata determinazione” (sentenza del 17 novembre 2008);
  • ammissione dell’anziano presso una delle strutture pubbliche o convenzionate, ed alla cui concessione presiedono i criteri discrezionalmente stabiliti dal regolamento stesso, nei limiti delle disponibilità di bilancio” (sentenza del 25 agosto 2009);
 
Sulla natura dell'intervento economico comunale, sovvenzione/concessione o primo obbligato?
  • Tali prestazioni sono a carico del Comune con eventuale compartecipazione dell’utente da prevedersi nei regolamenti comunali, con la possibilità, quindi, per il Comune di chiedere all’assistito un contributo percentuale sulla base della situazione economica dello stesso” (sentenza del 17 novembre 2008);
  • non può allora dubitarsi che l’intervento del Comune volto alla copertura, totale o parziale, della “quota sociale” della retta giornaliera di ricovero presso le RSA si atteggi come nei tradizionali termini del contributo o sovvenzione, [...] atti di concessione del contributo comunale relativo alla parte non coperta: essi, cioè, stabiliscono – per differenza – la misura del contributo parziale concesso dal Comune” (sentenza del 25 agosto 2009);
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana ha dunque avuto un ripensamento senza pero' illustrarne i percorsi logico giuridici, un superamento delle precedenti ragioni di diritto, ne' dare conto di elementi di novita' che abbiano portato l'esigenza di rivalutare la normativa in vigore da oltre otto anni.
Il cittadino e l'operatore del diritto sono disorientati.
 
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1. Sull'interpretazione dell'art. 3 comma 2 ter d. lgs. 109/98
La lettura dell'art. in questione come norma immediatamente precettiva e' principio ampiamente accolto dalla giurisprudenza amministrativa. Non v'e' dubbio che il legislatore ha inteso intervenire fattivamente su un corpus normativo (la 109/98, anche nel suo testo modificato dalla 130 del 2000) di per se' immediatamente applicabile e a disposizione diretta dell'operatore amministrativo e dell'utente finale del servizio. Non a caso in allegato alla legge si trovano tabelle contenenti criteri unificati di valutazione della situazione economica e indici di equivalenza ad uso dell'amministrazione.
Posta la eccezione all'ISEE familiare contenuta nell'art. 3 comma 2 ter, il DPCM mai emanato avrebbe il ruolo di limitare la portata dell'eccezione e “riespandere” l'applicazione marginale dell'ISEE familiare in alcune delle situazioni ricomprese nella deroga. Ex plurimis, si consideri la completezza delle argomentazioni cui e' giunto, dopo svariate pronunce analoghe, il TAR Lombardia nello scorso luglio (sentenza n. 1470 del 13 luglio 2009):
Il Tribunale ha già statuito (sentenza 2/4/2008 n. 350) che la norma in esame introduce un principio giuridico sufficientemente preciso, tale da vincolare le competenti autorità amministrative anche in assenza del decreto di attuazione del Presidente del Consiglio. Nelle situazioni di maggiore difficoltà come quelle che investono i soggetti diversamente abili le regole ordinarie dell’ISEE incontrano una deroga necessaria, dovendo obbedire alla prioritaria esigenza di facilitare il protrarsi della loro permanenza nel nucleo familiare ospitante: tale obiettivo è perseguito attraverso l’evidenziazione della situazione economica del solo assistito, anche in relazione al concorso alle spese dovute per i servizi fruiti.
Dette conclusioni non vengono depotenziate nell’ipotesi di soggetti usciti dalla famiglia d’origine in quanto ospitati in strutture residenziali: la norma citata infatti contempla espressamente le prestazioni erogate in ambiente residenziale a ciclo continuativo, e d’altra parte la finalità di favorire la convivenza con i prossimi congiunti ben può costituire un traguardo da conseguire nel futuro ovvero può essere riletta nel senso del mantenimento e dello sviluppo di legami e contatti, in modo da evitare fenomeni di istituzionalizzazione con chiusura definitiva dei rapporti con i parenti più vicini.
In definitiva gli Enti locali coinvolti non debbono quindi attendere l’emanazione della normativa statale di dettaglio, ma sono tenuti ad applicare una disposizione immediatamente precettiva introdotta a tutela di una fascia di popolazione particolarmente debole.
Altra questione già affrontata dalla pronuncia è quella se la disposizione che impone di evidenziare la situazione economica del solo assistito vada intesa in senso assoluto ed incondizionato ovvero racchiuda un indirizzo – ancorché chiaro e vincolante – rivolto alle amministrazioni locali chiamate a ricercare soluzioni concrete in sede di individuazione dei criteri di compartecipazione ai costi dei Centri frequentati. Il Tribunale ha aderito a questa seconda impostazione, rilevando che “il dato letterale di riferimento sembra fornire indicazioni in tal senso quando afferma che l’applicazione dei principi sull’ISEE è limitata ad ipotesi circoscritte, individuate con il decreto che deve (o avrebbe dovuto) riconoscere un rilievo predominante alla situazione economica del solo assistito nell’ottica di facilitare la sua convivenza con il nucleo familiare. Al riguardo non sembra condivisibile una lettura della seconda parte del comma 2-ter tesa a riconoscere un principio assoluto ed incondizionato, mentre al D.P.C.M. sarebbe demandata la funzione, esclusiva ed eventuale, di limitarne la portata. Da una lettura complessiva emerge viceversa che la disposizione affida all’autorità statale, in via contestuale, sia il compito di raggiungere il delineato obiettivo a favore dei soggetti tutelati sia la determinazione dei limiti residuali entro i quali l’ISEE familiare può comunque trovare applicazione: spetta in altre parole al Presidente del Consiglio dare attuazione al principio e delimitarne la portata, individuando le ipotesi marginali nelle quali può riespandersi la disciplina generale dell’ISEE familiare”. In assenza del suddetto decreto, pare evidente che la proposizione normativa – come già detto immediatamente precettiva – debba essere nella sua globalità tradotta in scelte concrete dalle amministrazioni titolari delle funzioni amministrative in materia di interventi sociali sul territorio” (conformi Tar Milano, Sez. III, ord. 10/2009; Tar Milano, Sez. IV, 4033/08; TAR Lombardia, Sez. III, ord. 926/08).
Merita evidenziare l'interpretazione che il Tar Lombardia effettua dell'inciso “al fine di favorire la permanenza dell'assistito presso il nucleo familiare di appartenenza”: il richiamo alla famiglia non muta il quadro in merito ai doveri istituzionali e alla necessita' di tutela dei soggetti piu' deboli (ratio dell'eccezione contenuta nell'art. 3 comma 2 ter). Diversamente il TAR Toscana, nella citata sentenza del 2009 accoglie un orientamento che di fatto impone alle famiglie l'onere della assistenza socio sanitaria dell'anziano non piu' autosufficiente:
Detta prospettiva non può che trovare il suo assetto nella disciplina secondaria dei limiti applicativi del D.Lgs. n. 109/98, in mancanza della quale annettere immediata efficacia precettività alla previsione che valorizza la situazione economica del solo assistito ai fini del concorso ai costi delle prestazioni significherebbe dare vita ad una disciplina incompleta ed incoerente: basti pensare che, in via di eccezione rispetto alla regola generale ricavabile dall’art. 3, l’apporto reddituale e patrimoniale proveniente dai congiunti dell’assistito verrebbe escluso ai fini della valutazione dei requisiti patrimoniali occorrenti per fruire di determinate prestazioni, senza che al contempo il nucleo familiare recuperi quella centralità, sotto il profilo dell’accoglienza dell’anziano presso di sé, che costituisce l’altro fulcro della logica di redistribuzione degli oneri assistenziali introdotta dalla legge n. 130/00”.
Per il TAR Toscana la centralita' della famiglia consiste nel sostenimento dei costi per la degenza del proprio parente non autosufficiente: se puo' accogliere l'anziano presso di se' tanto meglio, altrimenti paga.
E a ben vedere, la giurisprudenza maggioritaria sopra sintetizzata consente di inquadrare questa norma piu' coerentemente rispetto al quadro sistematico all'interno del quale la stessa e' inserita.
E se anche si volesse convenire con l'orientamento dell'adito Tribunale sulla funzione di “mero” indirizzo della norma in questione, non si potra' non concordare su quanto segue. Mero indirizzo non comporta che l'unico “indirizzato” sia il Presidente del Consiglio dei Ministri nell'emanazione di un DPCM, che per volonta' politica non verra' mai emanato, ne' che il suo scopo a cio' si limiti e che in cio' si esaurisca. Benche' la norma demandi ad un provvedimento secondario, cio ' non di meno pone un principio di indirizzo che deve guidare le scelte e l'operato dell'ente locale il quale, pur in assenza del DPCM non puo' sol per questo ignorarlo, negare la norma, e agire all'opposto dell'indirizzo indicato dal Parlamento. Piuttosto l'ente locale dovra' tradurre detto principio in scelte concrete nell'ambito di esercizio della propria discrezionalita' amministrativa. Cosi' non e' accaduto nel Comune di Firenze.
 
2.1 Gerarchia della fonti: rapporto fra un regolamento comunale e la normativa nazionale
Nel precedente orientamento il TAR Toscana individuava quale unica norma di riferimento quella nazionale escludendo, in quanto ad essa contrario, l'applicabilita' del regolamento fiorentino. L'orientamento successivo al contrario fonda il proprio dispositivo sulla ravvisata conformita' del regolamento stesso all'art. 3 comma 2 ter, ma elude ogni valutazione di conformita' di questo all'intera disciplina dettata dalla 109/98.
Orbene, secondo il regolamento comunale, che il TAR Toscana salva in toto, il calcolo della capacita' economica dell'utente tiene “altresì conto dei redditi e del patrimonio di costoro (nucleo familiare ristretto), con estensione della valutazione a tutti i nuclei familiari di tutti i figli anche non a carico, integrati da generi, nuore e persone a carico”.
Tale disciplina e' palesemente in contrasto con il dettato normativo dell'art. 2 comma 2 del d.lgs 109/98 che pone la disciplina generale ISEE, valevole su tutto il territorio nazionale: “Ai fini del presente decreto, ciascun soggetto può appartenere ad un solo nucleo familiare. Fanno parte del nucleo familiare i soggetti componenti la famiglia anagrafica”. Per nucleo familiare si intende dunque l'insieme di soggetti fra loro parenti che hanno residenza anagrafica nella stessa abitazione (art. 1-bis DPCM 221/99; art.4 DPR 223/89; si veda TAR Brescia, sent. n. 1457/09; TAR Brescia, ord. 836/08).
Delle due l'una: o il Tribunale ha dimenticato l'esistenza di questa norma, o ha ritenuto che il regolamento comunale potesse, per opportunita' di bilancio, derogare alla legge. La gerarchie delle fonti normative non consente una simile operazione.
Del resto, la disciplina generale dettata dal. d.lgs.109/98 ha una sua intrinseca logicita' e coerenza. Essa opera, tramite una fictio iuris che consente all'amministrazione di considerare patrimonio del richiedente anche quello dei familiari con questi conviventi, un sostanziale riequilibrio dovuto all'influenza delle circostanze di fatto in cui vive il soggetto. Se siamo della stessa famiglia e viviamo insieme e' ben plausibile che parte dei singoli patrimoni venga usata in comune per la gestione della quotidianita'. Mentre se, pur essendo parenti ,viviamo in luoghi o contesti diversi (si prenda l'esempio estremo del fratello che vive in America), la legge (e dunque l'amministrazione) non pretendono certo che il patrimonio del fratello concorra con quello della famiglia d'origine al computo dell'Isee. Il legislatore dunque in base a queste considerazioni pragmatiche ha enucleato l'ambito della fictio iuris in questione limitandolo al solo nucleo familiare anagrafico.
Venendo dunque ad applicare la normativa in materia di ISEE al caso di specie, anche ammettendo l'applicazione della disciplina ISEE generale anziche' la deroga di cui al art. 3 comma 2 ter, il Comune di Firenze ha erronemaente computato la retta per la degenza della signora ... poiche' avrebbe dovuto tener conto del nucleo familiare anagrafico della stessa, composto da lei e da suo marito ... e non gia' anche dei redditi del figlio ... ..., soggetto che sin da prima della richiesta di inserimento in RSA viveva in luogo diverso dai genitori (si veda documentazioni in atti):
  • i signori ... e ... ... vivevano in Firenze, Via ........
  • il signor ... ... viveva in .......
Il Tribunale dunque, anche ove accedesse ad una interpretazione in conferma dell'ultimo orientamento in merito all'art. 3 comma 2 ter, dovra' comunque applicare l'art. 2 comma 2 della legge e per l'effetto dichiarare la determina impugnata illegittima nella parte in cui imputa euro 40,82 a carico – o in relazione ai redditi – di ... ....
Tantomeno e' possibile eludere l'applicazione dell'art. 2 comma 2 del dlgs 109/98 invocando la riforma del Titolo V della Costituzione. Il Consiglio di Stato meno di un mese e mezzo fa – in un procedimento analogo in cui un Comune ha impugnato un ordinanza cautelare emessa a favore dell'utente, ha chiarito che in materia di livelli essenziali di questo genere di prestazioni il d.lgs. 109/98 non e' derogabile nemmeno da legge regionale: “Ritenuto che l'appello cautelare non e' assistito dal prescritto fumus boni iuris anche sul rilievo che i precetti recati nel d. lgs. 31 marzo del 1998 n. 109 sono preordinati al mantenimento di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che debbono esser garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi e per gli effetti dell'art. 117, comma 2 lett. m) della Costituzione Italiana” (Consiglio di Stato, ordinanza n. 4582 del 14 settembre 2009).
Il nuovo Titolo II della Costituzione, che stabilisce una esclusiva competenza delle Regioni in materia di assistenza, mantiene in capo allo Stato una funzione strategica per la governance del sistema di welfare nazionale: la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. I livelli essenziali rappresentano, quindi, il principale strumento per il governo delle politiche sociali nazionali, in un sistema integrato dei servizi che si articola, da un lato, su piani istituzionali differenti, dall'altro, in una rete di soggetti pubblici e privati che concorrono alla erogazione dei servizi e degli interventi. I livelli essenziali delle prestazioni rivestono una importante funzione di coesione del sistema poiché consentono, a fronte di un sistema di protezione sociale fortemente differenziato sul territorio, e che presenta marcati elementi di sperequazione territoriale (specie in termini di quantità e qualità delle prestazioni erogate), uno strumento di garanzia per il diritto al soddisfacimento dei bisogni di natura assistenziale e sociale che, per alcuni versi, recupera il modello di convergenza dei sistemi tipico degli interventi comunitari (Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali: http://www.lavoro.gov.it/Lavoro/md/AreaSociale/Livelli/)
Ne consegue infine che nel computo ISEE dei redditi non puo' esser conteggiata, come gia' detto nel ricorso introduttivo, l'indennita' di accompagnamento. Sul punto, il recente orientamento del TAR Toscana parzialmente conviene nella misura in cui esclude il calcolo delle indennita' ma solo per i periodi pregressi rispetto all'entrata in vigore della legge Regionale Toscana n. 66 del 2008, e cio' perche' tale legge prevede all'art. 14 comma 2 lett b): “sono computate le indennità di natura previdenziale e assistenziale percepite per il soddisfacimento delle sue esigenze di accompagnamento e di assistenza”. Invero, valgono le considerazioni appena svolte sulla inderogabilita' dei principi di cui alla legge 109/98 per cui in subiecta materia non puo' una legge regionale derogare alle statuizioni parlamentari.
 
***
 
Ne' infine si puo' pretendere che un regolamento comunale legittimamente stravolga il dettato normativo autodefinendosi “sovvenzionatore” piuttosto che, come legge prevede, primo obbligato al pagamento della retta nei confronti della RSA. E il TAR Toscana, nel suo recente orientamento, sposa la tesi comunale non gia' dopo averla “misurata” sul metro normativo ma solo perche' il Comune stesso nel suo regolamento si definisce concessore: “Alla luce delle disposizioni dettate dal regolamento fiorentino, non può allora dubitarsi che l’intervento del Comune volto alla copertura, totale o parziale, della “quota sociale” della retta giornaliera di ricovero presso le RSA si atteggi come nei tradizionali termini del contributo o sovvenzione, dipendente dall’ammissione dell’anziano presso una delle strutture pubbliche o convenzionate, ed alla cui concessione presiedono i criteri discrezionalmente stabiliti dal regolamento stesso, nei limiti delle disponibilità di bilancio (si veda l’art. 5 cit.)” (Tar Toscana, sentenza n. 1409/2009 del 25 agosto 2009).
E' evidente che il Comune non puo' “re-inventare” il proprio ruolo ignorando il quadro normativo di riferimento e pretendendo di legittimare il tutto con un regolamento. E il TAR accoglie questa tesi autoreferenziale con un ragionamento “circolare”: siccome il Comune si attribuisce il nomen iuris di “concessore”, sol per questo lo diventa.
Ne' si puo' sostenere che banche' la norma ponga la quota sociale a carico del Comune, quest'ultimo possa, di propria iniziativa, sottrarsi al ruolo di obbligato principale “scaricandolo” sul cittadino. Anche qui purtroppo, il TAR Toscana accoglie la tesi: “nessun contrasto si registra poi fra il regolamento adottato dal Comune di Firenze ed il D.P.C.M. 14 febbraio 2001, che, nel porre a carico dei Comuni il pagamento del 50% dei costi complessivi dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, fa incondizionatamente salva la compartecipazione dell’utente stabilita dalla disciplina regionale e comunale”.
Incondizionatamente?
Dove e' scritto nel D.P.C.M. 14 febbraio 2001 “incondizionatamente”? Non c'e'. Ma come? Siamo in ambito di livelli essenziali, di leggi quadro sui servizi sociali, di tutela sociosanitaria di anziani e handicappati gravi dove il ruolo delle istituzioni nazionali e' definito da leggi dello Stato ineludibili. Figuriamoci se un Comune puo' “incondizionatamente” stravolgere la disciplina, rovesciare i criteri di chi deve compartecipare a cosa, ignorare la disciplina dell'Isee. E il tutto per regolamento comunale!
 
3. Sulle impegnative firmate dai parenti dei degenti
Sul punto il TAR Toscana esclude, sebbene incidenter tantum, la sua giurisdizione in merito ai presunti aspetti civilistici annessi al ricovero, sostenendo che sia sufficiente la firma di una impegnativa da parte dei parenti perche' questi assumano sul piano civilistico obblighi che la legge espressamente esclude sul piano pubblicistico.
Gli atti di impegnativa, unilaterali ovvero pseudo-contrattuali sottoscritti in favore delle Strutture convenzionate, contrastano radicalmente con la ratio, gli scopi, l'oggetto e le modalita' attuative della normativa posta a tutela degli handicappati e disabili gravi e ultrasessantacinquenni non autosufficienti. L'intera vicenda si inquadra in una situazione di illegalita' sistematica, generalizzata e preordinata – da parte di Comuni italiani e RSA - a scaricare sulle famiglie i costi delle prestazioni sociosanitarie cui le istituzioni sono tenute. E' infatti di tutta evidenza come i congiunti dei pazienti non firmano certo un'impegnativa se non costretti da una condizione di coartazione psicologica della volonta': gli stessi si sentono ovviamente “obbligati a sottoscriverla” temendo che la parente gravemente disabile sia lasciata per la strada. In una posizione debole, quale e' quella dell'utente di fronte all'Amministrazione, a richiesta, si impegna. Non solo, ma il tutto generalmente avviene sotto precedenti minacce di dimissioni o di mancato inserimento da parte delle strutture stesse, laddove non si provveda ad impegnarsi economicamente come richiesto.
Appare ora chiaro che pur non essendovi tenuti per legge ma essendovi un regolamento comunale in tal senso, l'utenza e i parenti sono di fatto costretti e comunque indotti necessariamente, se vogliono procedere all'inserimento a sottoscrivere impegnative direttamente con le strutture ospitanti. Sottoscrizione per questo viziata nel consenso.
Gli atti di impegno in questione devono piuttosto esser letti e inquadrati quali atti infraprocedimentali o provvedimentali radicalmente viziati e nulli in un procedimento amministrativo che affonda le proprie radici nella illegalita' preordinata e protratta ormai da anni da parte dei Comuni e degli enti convenzionati.
Si leggano in proposito le riflessione che sul punto ha svolto il Tar Brescia:
si può ritenere che la retta individuata dall’Istituto [...] sia interamente di competenza dell’ospite e del Comune tenuto agli obblighi assistenziali. Per quanto riguarda i rapporti tra questi ultimi soggetti si osserva che i comuni non possono esimersi dall’obbligo di pagamento della retta richiamando gli impegni assunti dai parenti o dal tutore dell’ospite verso le strutture ospitanti. In effetti i comuni non possono essere considerati beneficiari di tali contratti di garanzia, che le strutture ospitanti predispongono nel proprio esclusivo interesse. Oltretutto si tratta di contratti di cui sarebbe necessario verificare in concreto la validità, da un lato perché sono motivati dalla necessità di assicurare il ricovero (e quindi sottoscritti in una situazione di debolezza o soggezione contrattuale) e dall’altro perché potrebbero comportare l’assunzione di obblighi che superano la quota di compartecipazione dei cittadini a questo tipo di spese. A sua volta la compartecipazione dei cittadini deve essere regolata dai comuni sulla base delle (eventuali) direttive regionali, come previsto dal DPCM 14 febbraio 2001. Il criterio normale è dato dalla capacità economica dei soggetti ospitati definita secondo parametri reddituali e patrimoniali (v. art. 3 del Dlgs. 31 marzo 1998 n. 109). Il potere regolamentare dei comuni non comprende tuttavia la facoltà di stabilire la preventiva escussione dei soggetti ospitati e di quanti abbiano sottoscritto contratti di garanzia. Le strutture ospitanti non sono soggette a questa forma di potere regolamentare, che riguarda esclusivamente il riparto interno dei costi tra comuni e soggetti ospitati, e dunque possono sempre rivolgersi direttamente ai comuni per ottenere l’intero importo della retta.” (Tar Brescia, sentenza n. 1102 del 2008; si veda anche Tar Brescia sent del 8 luglio 2009, n. 1457).
 
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Da ultimo, per sgombrare il campo da possibili equivoci in ordine alla legittimazione attiva dei ricorrenti ... ... e ... ..., merita ribadire come la loro piena legittimazione sia formale che sostanziale derivi direttamente dagli atti comunali di determinazione delle porzioni di quota a loro carico (docc. 10 e 12 ricorso introduttivo).
In fede,
Firenze, 26 ottobre 2009
 
Avv. Claudia Moretti
Avv. Emmanuela Bertucci
 
 
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