testata ADUC
Covid, il DPCM illegittimo apre la strada ai risarcimenti. Caso ristorante fiorentino
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Smeralda Cappetti
20 settembre 2023 10:49
 
Al vaglio della Corte fiorentina la sanzione irrogata ad un ristoratore per non aver rispettato i limiti orari imposti dal DPCM del 3.11.2020, che consentiva la ristorazione con asporto sino alle ore 22.00 - A parere dei Giudici il decreto risulta illegittimo, in quanto del tutto carente di una motivazione che contenga i presupposti di fatto e le ragioni tecnico-scientifiche poste a fondamento delle misure prescelte

Il caso fiorentino
A novembre del 2020, in pieno periodo pandemico, il titolare di un ristorante fiorentino, che all'epoca si trovava in "zona arancione", apriva il locale al pubblico violando quindi il d.p.c.m. del 3.11.2020, che consentiva la ristorazione con asporto sino alle ore 22.00, in quanto alle 22.25 effettuava l'asporto di una pizza. Veniva quindi sanzionato per circa 800 euro e gli veniva imposta con ordinanza ingiunzione del Prefetto la chiusura dell'esercizio per 30 giorni.
Il ristoratore proponeva quindi opposizione avverso tale provvedimento, rilevando in primo luogo che lo scontrino indicava le 21.55 e, pertanto, l'orario previsto nel DPCM (ossia le ore 22.00) era stato rispettato. Inoltre, eccepiva l'illegittimità del provvedimento normativo sotto molteplici profili, tra cui:

• la carenza del parere del Consiglio di Stato (previsto dalla legge 400/1988 art. 17 c. 4); 
• il difetto di motivazione (in violazione dell'art. 3 legge 241/1990); 
• l'inefficacia per omessa notifica alla Commissione europea (art. 13 d.lgs. 59/2010); 
• l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 c. 1 d.l. 19/2020 per violazione dell'art. 76 Cost.

Controparte contestava invece la violazione di quanto stabilito dal DPCM del 03.11.2020 o dalle linee guida operative per la prevenzione, gestione, contrasto e controllo dell'emergenza Covid-19 nell'attività di "Pubblico Esercizio somministrazione alimenti e bevande", avendo egli tenuto aperta l'attività di ristorazione con modalità non consentite.
 
La natura del DPCM
Con sentenza dell'8 giugno 2023, n. 1737 il Tribunale di Firenze , sposando uno dei tre orientamenti prevalenti, ha ritenuto che il DPCM sia un atto amministrativo, espressione di potestà amministrativa e di portata generale (sul precedente della C. Cost. 198/2021 ), assoggettato quindi al sindacato del giudice e che deve contenere una motivazione accurata.
L'importanza della motivazione sta nel fatto che essa consente agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento che viene adottato e di potersi quindi difendere, mentre al giudice consente di sindacare la legittimità del provvedimento e di verificare la congruità del percorso logico seguito dalla P.A.
Il Tribunale rileva poi che la discrezionalità amministrativa del Presidente del Consiglio nell'adozione di tali atti veniva ristretta in quanto le misure limitative dovevano rientrare tra quelle astrattamente indicate dai decreti-legge e la scelta delle misure da adottare doveva essere ancorata ai principi di proporzionalità e adeguatezza. Questi ultimi devono emergere dalla motivazione dell'atto stesso, che garantisce la trasparenza dell'azione amministrativa, anche nei confronti dell'opinione pubblica, nell'ottica di responsabilizzazione degli organi della P.A.
Il tribunale fiorentino rileva quindi che la motivazione avrebbe dovuto essere accurata e dare conto della scelta effettuata sulla base di una valutazione ragionevole delle risultanze istruttorie: l'atto avrebbe dovuto indicare nella motivazione i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che avevano portato alla sua adozione; in difetto, è da considerarsi illegittimo e il giudice civile deve disapplicarlo.
Invero, esaminata attentamente la parte introduttiva del DPCM in commento ed il Verbale del CTS non emergono specifiche indicazioni sulla gravità ed incidenza della diffusione del virus tali da rendere congrue, proporzionate ed adeguate le misure adottate, a maggior ragione alla luce del fatto che le decisioni adottate dal DPCM del 3 dicembre 2020 determinavano una modifica delle disposizioni precedentemente adottate, che consentivano senza limitazioni di orario e di luogo lo svolgimento dell'attività di ristorazione.
 
I presupposti per l'adozione del DPCM
Orbene, il suddetto DPCM indica tra i presupposti di fatto il generico riferimento all'evolversi e al diffondersi dell'epidemia, l'aumento dei casi sul territorio nazionale e la dimensione sovranazionale del fenomeno. Il DPCM fa, altresì, riferimento al verbale della seduta del Comitato tecnico scientifico (CTS) di cui all'ordinanza del dipartimento della protezione civile (630/2020). Dal verbale emerge che il CTS si è limitato a recepire la bozza del DPCM trasmesso il giorno stesso della seduta e pare assente qualsiasi forma di dibattito scientifico, in quanto il Comitato ha recepito le decisioni della Presidenza del Consiglio, senza svolgere la necessaria istruttoria che, invece, avrebbe dovuto giustificare «l'impiego di un potere così eccezionale e atipico, al fine di una ponderazione della proporzionalità delle misure restrittive introdotte con il DPCM».
Peraltro, i verbali del Comitato Tecnico Scientifico, oggetto di tale rinvio, non solo sono stati resi noti dopo lungo tempo, o addirittura in prossimità della scadenza di efficacia dei D.P.C.M., ma addirittura classificati come "riservati", o meglio "secretati", vanificando di fatto la stessa procedura di accesso agli atti e rendendo impossibile la stessa tutela giurisdizionale.
• Secondo il Tribunale di Firenze:
«la precisa differenziazione, all'interno delle disposizioni richiamate, tra le attività consentite e non consentite, nonché l'identificazione della fascia oraria consentita per lo svolgimento dell'attività di ristorazione, si traduce in una precisa scelta da parte dell'Amministrazione che avrebbe dovuto essere supportata da dati scientifici precisi, nonché da spiegazioni tecniche in relazione al maggior rischio di diffusione del contagio nelle attività e negli orari non consentiti. Nessuna indicazione è stata fornita sul punto, se non tramite generici riferimenti "all'evolversi della situazione epidemiologica" ed "alla congruità delle misure adottate».
Secondo quindi il Tribunale i presupposti per l'adozione del DPCM sono generici, non contengono le indicazioni di rischio e si pongono in contrasto con la specificità delle misure adottate.
A tal riguardo si rileva poi come già il Tribunale di Pisa, con sentenza 1842 del 17 febbraio 2022 , avesse ravvisato la carenza dei presupposti del d.p.c.m. in un precedente giurisprudenziale.
Infatti, il Tribunale di Pisa aveva rilevato la mancanza di ogni riferimento allo "stato di emergenza" da parte della Costituzione la quale, l'unica volta che prevede l'assegnazione di poteri particolari al Governo, lo fa attribuendo alle Camere la funzione di determinarne il contenuto, e soltanto in caso di "stato di guerra" dichiarato dal Parlamento stesso (art. 78).
Né una simile situazione è contemplata dal decreto legislativo n. 1/2018 (c.d. " Codice della protezione civile "), che ha rappresentato il presupposto normativo della suddetta delibera e che, nel novero degli eventi eccezionali, non presenta il rischio biologico o sanitario com'è il virus Sars-Cov-2, ma soltanto le calamità naturali o «derivanti dall'attività dell'uomo», eventi ben distinti dall'emergenza provocata da agenti virali o batterici.
Non è neppure plausibile, a giudizio dell'organo giudicante pisano, far rientrare il Covid-19 nella categoria del "rischio igienico-sanitario" delineata dall'art. 16 del Codice, e non solo per l'assenza dei presupposti fattuali necessari per la riconduzione in tale ambito, ma anche per l'evidente attribuzione della relativa competenza alle USL e al potere legislativo regionale, inabile a contenere invece un evento di dimensione nazionale e internazionale quale appunto l'epidemia o la pandemia.
Rileva peraltro che, in ogni caso, il riconoscimento di "poteri straordinari" al Consiglio dei Ministri, ivi incluso quello di deroga rispetto ad ogni disposizione vigente, è circondato da importanti cautele, tra cui, in particolare, un carattere temporaneo predeterminato e il duplice obbligo di specifica motivazione e puntuale indicazione delle principali norme derogate, requisiti non riscontrati in nessuno dei due provvedimenti censurati dall'autorità giudiziaria.
Tali limitazioni peraltro solo formalmente sono state assunte in via legislativa, mentre di fatto sono state imposte con la tecnica amministrativa dei D.P.C.M.
In tale ambito, pertanto, si innesta l'esame, da parte dell'autorità giudiziaria, del decreto-legge n. 6/2020 e della corrispondente "delega in bianco", illegittima ex art. 76 Cost. per il suo carattere generico e generale, a favore del Governo e in particolare del Presidente del Consiglio, tradotta, nei fatti, nel potere di innovare l'ordinamento giuridico tramite la promulgazione del D.P.C.M., ovvero un atto monocratico, di titolarità e responsabilità politica del presidente del consiglio dei ministri, come tale sottratto al vaglio del Presidente della Repubblica, del Parlamento, della Corte Costituzionale e della Corte dei Conti, eludendo così la riserva di legge.
 
Il rispetto dell'ordinamento costituzionale
La libertà personale, pertanto, sintetizzata dall'art. 13 Cost. e difesa tramite l'obbligo di motivazione abbinato alla duplice riserva di legge e di giurisdizione, e il diritto di circolazione e movimento garantito dall'art. 16 della Carta costituzionale, riacquistano dunque la propria pienezza, ritrovando nella giurisprudenza, strumento di difesa e di riaffermazione.
Se quindi si possono certamente ritenere comprensibili e giustificate, vista l'urgenza e la gravità della crisi pandemica, le misure restrittive adottate in via straordinaria dal Governo, è al contempo doveroso constatare come simili imposizioni debbano rispettare i principi della Carta Costituzionale, che innanzitutto assegna al Parlamento, la facoltà di limitare le libertà fondamentali.
Il che non equivale a dire che sia proibito sempre restringere il contenuto di determinate libertà fondamentali qualora ciò sia reso necessario dalla tutela della salute pubblica, come avvenuto durante la lotta alla diffusione del contagio da Covid; piuttosto ciò significa affermare che una simile compressione possa avvenire soltanto nel rispetto del diritto e, in particolare, del diritto di caratura costituzionale.
Alla luce di quanto detto, il tribunale di Firenze conclude che il DPCM in questione sia illegittimo, a prescindere dal fatto che venga inquadrato come un'ordinanza contingibile e urgente, o che rientri nella categoria dell'atto amministrativo, in quanto del tutto carente di una motivazione che contenga i presupposti di fatto e le ragioni tecnico-scientifiche poste a fondamento delle misure prescelte. Il mero richiamo al verbale del CTS non è sufficiente, poiché mancano dati specifici e non si dà conto del livello di contagiosità al momento dell'adozione dell'atto «[…] non vi è nemmeno una specifica delle motivazioni tecnico scientifiche per le quali veniva prevista una regolamentazione differenziata per la medesima attività di ristorazione (ad esempio ristoranti per i quali veniva introdotto il limite orario di esercizio dalla ore 5.00 alle ore 18.00, ed aree di servizio in cui veniva svolto il servizio di somministrazione di alimenti e bevande senza limitazioni di orario, e ancora, le strutture alberghiere nelle quali era ammesso per la propria clientela il medesimo servizio di ristorazione senza previsione di alcun limite di orario)».
Accogliendo il ricorso del ristoratore, la decisione ha ritenuto il DPCM non rispettoso dei parametri di proporzionalità e adeguatezza imposti dal decreto-legge autorizzativo (art. 2 c. 1 d.l. 19/2020) e ciò ne comporta la disapplicazione da parte del giudice civile (ex art. 5 legge 2248/1865 Allegato E).
Sulla scorta dei precedenti giurisprudenziali richiamati, si aprono quindi nuovi possibili scenari per richieste di risarcimento danni per le chiusure ingiustificate e non è da escludere che tali richieste risarcitorie potranno riguardare altri ambiti e settori su cui i d.p.c.m. hanno inciso.

(pubbicato anche su IlSole24Ore del 19/09/2023)
 
CHI PAGA ADUC
l’associazione non percepisce ed è contraria ai finanziamenti pubblici (anche il 5 per mille)
La sua forza economica sono iscrizioni e contributi donati da chi la ritiene utile

DONA ORA
 
 
ARTICOLI IN EVIDENZA
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS