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 ITALIA - ITALIA - Immuni. Le motivazioni di chi non scarica l'app
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10 luglio 2020 8:37
 
Un sondaggio SWG pone agli intervistati (un campione rappresentativo di 800 soggetti maggiorenni) un quesito particolarmente interessante in queste settimane:
Per quale ragione ha scelto di non scaricare l’app Immuni?
La risposta è limitata a chi non ha scaricato Immuni ed erano possibili fino a tre risposte per ogni soggetto intervistato. Questi i risultati che abbiamo a disposizione grazie a Datamediahub:


Un’app di installazione volontaria, una novità assoluta nel panorama sanitario internazionale (non solo italiano), calata in un contesto unico nel suo genere: nessuna opinione, paura o incomprensione può pertanto essere stigmatizzabile (ogni polarizzazione, anzi, non può che essere deleteria nel contesto di quello che deve essere un progetto condito di senso di comunità, collaborativo e solidale), ma è sicuramente utile capire in questa fase quali possano essere le dinamiche a monte delle resistenze che non consentono all’app di decollare nei download.

Immuni: i motivi di chi non scarica l’app
Proviamo dunque ad analizzare ognuna di queste motivazioni, cercando di capirne l’origine, la bontà argomentativa e possibili soluzioni per aprire nuove opportunità ad un’app che dovrà affrontare un esame definitivo sulla propria efficacia soltanto nei prossimi mesi. Chi non scarica Immuni, perché non lo fa? Come si può agire per ampliare la platea dei cittadini collaborativi (giunta ad oggi a quota 4 milioni di download)?

44%: non la reputo efficace
Questa è probabilmente una percentuale da leggere in due modi. Da una parte rappresenta un grosso “minus”, perché significa che l’app non ha saputo spiegarsi a sufficienza. Certamente aver avuto Immuni ai tempi del picco pandemico avrebbe sicuramente consentito di mettere alla prova questo strumento ottenendone risultanze che avrebbero avuto forte valore argomentativo a favore del contact tracing. Oggi invece il valore di Immuni è fatto di tante potenzialità e zero risultati, il che avvalora facilmente le diffide di chi non reputa questo strumento valido. La sfiducia nelle istituzioni (e nelle soluzioni che mettono in campo) aiuta ancor meno. Le dichiarazioni al vetriolo di Salvini e Meloni (opinioni che certificano più che altro una opposizione politica, prima ancora che afferente ad Immuni in sé) potrebbero essere pesate anche politicamente in una quota attorno al 40%: in parte è un caso, in parte no.
Per contro, proprio questo 44% rappresenta una grande potenzialità sulla quale ancora è possibile scommettere. Nel malaugurato caso in cui i contagi dovessero tornare a fare paura (le dichiarazioni di Fauci dagli USA, la chiusura di Catalonia e Galizia in questi giorni e altri casi similari dovrebbero ricordare a tutti che siamo tutto fuorché – appunto – immuni), chi non reputa efficace Immuni molto probabilmente non farà troppe resistenze e la scaricherà comunque, perché pur se inefficace non è maturata tuttavia la sensazione per cui possa essere dannosa. Insomma: in caso di emergenza, premere il pulsante costa nulla.
Chi ha a cuore i destini di Immuni potrà lavorare non poco su questo fronte, sapendo che in caso di emergenza il miglior alleato sarà l’emergenza stessa. Se emergenza non sarà, invece, ben venga poter rimettere nel cassetto Immuni e sapere l’Italia fuori dalla crisi. Nulla dice però ad oggi che andrà così, anzi.

29%: temo per la mia privacy
Chi teme per la propria privacy o si è abbandonato ai complottismi di quelli che “ci vogliono controllare tutti”, o non ha letto la disamina del Garante Privacy sull’app, o non sa che il codice è disponibile, o semplicemente vive in modo atavico questa problematica. Le rassicurazioni in termini di tutela della privacy sono state molte e complete, dunque non è cosa che si possa imputare agli sviluppatori. Tuttavia è ancora una volta la sfiducia nelle istituzioni a minare il campo, così che semplici preconcetti diventano facilmente ostacoli insormontabili.
Il 29% è molto. Questa percentuale può essere limata in parte con una maggior informazione sul tema, ma quando si teme per la propria privacy (e con ogni probabilità si ignora che nel 99% dei casi proprio Immuni è l’app meno invasiva che si ha sul proprio smartphone) c’è probabilmente poco da fare.

21%: per funzionare bisogna tenere accesso il bluetooth / la posizione
In larga parte sono questi timori legati – lato Android – al fatto che tenere acceso il bluetooth costringa a tener acceso il tracciamento della posizione, benché esplicitamente inutilizzato da Immuni. Il dubbio è lecito ed attanaglia molti utenti che continuano a chiedere conto di questa apparente incongruenza. Google ha fornito le proprie spiegazioni, ha garantito che non v’è alcun tracking in atto, ma alle promesse di una multinazionale che vive di dati è lecito che molti possano non credere.
Anche su questo fronte si può far poco, ma proprio su questo fronte l’emergenza potrà nuovamente incidere parecchio: questione di priorità. Nel frattempo resta la promessa di Immuni, dimostrata nel codice e nelle verifiche appurate: nessun dato legato alla geolocalizzazione viene raccolto, archiviato o in alcun modo utilizzato.

19%: temo di finire in quarantena per sbaglio
Tema molto interessante, che è già stato verificato in più di un caso. Ma non è questo un problema relativo ad Immuni in sé. Il problema del “falso positivo”, infatti, è una sorta di principio di cautela che è in essere quotidianamente, ma del quale nessun ha reale percezione. Migliaia di persone, ogni giorno, vengono infatti messe in isolamento preventivo a seguito delle semplici analisi delle ASL che tentano di ricostruire le possibili catene di contagio. Migliaia di falsi positivi ogni giorno rappresentano la cifra dell’impegno delle autorità sanitarie nel tentare di contenere i focolai e benché siano singole sventure che nessuno vorrebbe affrontare, a livello di collettività rappresentano un valore inestimabile poiché sono il rischio calcolato per aumentare l’isolamento in modo capillare laddove è questa la medicina giusta per bloccare focolai destinati a divampare.
Offrire garanzie, cautele e rassicurazioni per chi dovesse finire in quarantena (meglio: in isolamento preventivo, perché di quarantena si può parlare soltanto a tampone effettuato) sarebbe importante per tranquillizzare i cittadini di fronte al pericolo ed aumentare la spontanea cooperazione in questo progetto collettivo di tutela reciproca. La possibilità di ricevere una notifica e veder la propria vita caricata di responsabilità è inevitabilmente qualcosa che può incutere timori ed ai timori si può soltanto rispondere con chiarezza e rassicurazioni.
Chiunque abbia questo timore deve comunque partire da questo presupposto: migliaia di persone ogni singolo giorno affrontano un temporaneo isolamento cautelativo. Chiunque intenda lavorare per il bene di Immuni deve invece partire da un presupposto contrario: molte persone ogni giorno temono di dover perdere un posto di lavoro (o rapporti con i clienti, o altri giorni di lavoro per la propria impresa) nel caso in cui un isolamento dovesse bloccarne le attività. Per cercare collaborazione bisogna offrire collaborazione: interventi ad hoc in merito, trasformando i rischi in opportunità sanitarie, potrebbe rappresentare una svolta.

9%: temo mi faccia scaricare la batteria
Isolate testimonianze non verificabili in termini sperimentali hanno raccontato di autonomia ridotta. I dati ufficiali dicono che il consumo è del tutto minimo in virtù dello sfruttamento di una tecnologia come Bluetooth Low Energy, per definizione poco energivora. La nostra esperienza privata sembra avvalorare i dati ufficiali, con consumi pressoché insignificanti. Fornire questo dato direttamente sull’app, o istruendo a cercare questa informazione sul proprio sistema operativo, potrebbe probabilmente ridurre questo timore.

8%: non ho capito a cosa serve
Ahi. Difficile arrivare laddove finora non si sia ancora arrivati con migliaia di articoli, decine di comparsate nei telegiornali nazionali e altro ancora. Forse su questo fronte si può far poco, anche se tener alto e continuo il flusso informativo resta fondamentale per ricordare come Immuni, pur nel silenzio, sta lavorando per il bene del Paese.

8%: il mio smartphone non è adatto / non ho lo smartphone
Solo in apparenza questo dato è sottostimato. In realtà la dinamica stessa delle risposte (fino a tre per ogni intervistato) tende ad appaiare altre opzioni e ad isolare questa, quindi abbassandone l’impatto complessivo. In realtà in Italia gli smartphone non compatibili sono molti di più. Huawei ad esempio occupa una quota pari al 25% e ancora sta aspettando la release per Appgallery, mentre una quota residuale di utenti Android e iOS hanno smartphone non compatibili poiché datati e non aggiornabili alle versioni compatibili del sistema operativo.
Si può stimare che un buon 30% degli utenti sia dunque tagliato fuori del tutto, un costo da pagare per poter avere un’app che possa sfruttare a dovere il Bluetooth per il suo lavoro di tracciamento. Questa percentuale è una scelta non tanto di Immuni, quanto del Framework A/G su cui si basano Immuni e molte altre app di contact tracing a livello nazionale.
Su questo fronte non si può far nulla: sarà il normale aggiornamento dei device a portare questi utenti verso dispositivi compatibili poco alla volta, nel giro di qualche anno (dunque con tempi non compatibili con le necessità emergenziali di Immuni).

8%: molti ne parlano male
Ah.

7%: non la scarica nessuno / se ne parla poco
Ah beh.

3%: non saprei scaricarla / usarla
Un numero verde è a disposizione: 800912491. Potrebbe non bastare, servirebbe l’aiuto di amici e parenti più “smart”. Non è questo un fronte sul quale la soluzione possa essere di origine istituzionale.

Immuni: ora occorre metterci la faccia
Immuni è stata sviluppata in tempo di emergenza, è stata sviluppata in tempi brevi ed è nata sulle ceneri di uno tsunami appena caduto sull’Italia. Inevitabile che l’allentata tensione potesse essere un buon humus per vedere il dilagare dell’app. Ma bocciare o promuovere l’app in questo momento è ben poco utile visto che la seconda ondata degli tsunami spesso può fare più danni che non la prima.
Gli esami saranno in autunno. 4 milioni di download sono pochi, ma senza un traino persuasivo i numeri non andranno troppo oltre per i motivi sopra enunciati. Ipotizzando la peggiore delle ipotesi, Immuni potrà improvvisamente diventare una opzione per molti nel momento in cui l’emergenza dovesse consigliare immediati accorgimenti. Sarà tardi per avere risultanze immediate, ma saremo forse in tempo per rendere Immuni uno strumento ulteriore a disposizione delle autorità sanitarie.
La speranza è che Immuni non serva, ma la previsione è che possa ancora essere utile. La speranza è che la paura non torni, ma le condizioni sono tali per cui sia prevedibile (così come accaduto in Spagna, in Francia, in Germania, eccetera) che nuovi importanti focolai possano improvvisamente accendersi. In quel momento ogni scala di priorità sarebbe improvvisamente sovvertita e le emozioni saranno le migliori alleate dell’app. Ma occorre che qualcuno ci metta la faccia oggi facendosi non soltanto consulente, ma vero e proprio testimonial. Chi se ne farà carico ora, in mezzo agli sfottò del clima estivo e rilassato di un Paese che non sta più acquistando mascherine, avrà la forza del coraggio quando in autunno dovesse arrivare il momento di piangere sulle occasioni mancate per evitare il ritorno dei contagi. In mezzo ad ogni dinamica che vuol essere collaborativa, servono motivazioni condivise e leadership riconosciute: Immuni ha bisogno di entrambe.
Meglio sperare per il meglio, ma è meglio prepararsi per il peggio. Nel primo caso Immuni sarà stato un flop di cui saremo tutti contenti. Nel secondo caso Immuni sarà un flop di cui troppi saranno responsabili. Ma c’è ancora tutto il tempo per rendere Immuni qualcosa di ben diverso da un flop, quindi per le pagelle se ne riparla al 31 dicembre (questo lo sapevi?), quando il progetto per sua natura finirà e sarà possibile tirare le fila del discorso a bocce ferme.
(articolo di Giacomo Dotta su Punto Informatico)


 
 
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