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 MONDO - MONDO - Il coraggio dei militanti LGBT nel mondo arabo
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Notizia di Redazione
24 gennaio 2021 11:53
 
L'ultimo decennio di rivolte popolari nel mondo arabo ha visto, come mai prima, l'attivismo LGBT affermarsi in pubblico e organizzarsi in modo metodico. Anche se questa mobilitazione rimane limitata e in minoranza, segna una rottura con l'aggressiva negazione dell'identità omosessuale che aveva prevalso fino ad allora, nei circoli religiosi ovviamente, ma anche nei circoli cosiddetti "progressisti". La Tunisia è ancora una volta un pioniere di questa ondata militante che ha preso piede anche in Marocco e Libano. Ma l'omosessualità rimane criminalizzata nella maggior parte dei paesi arabi. E una delle figure emblematiche di questo movimento, Sarah Hegazy (nella foto), è stata costretta a lasciare il suo nativo Egitto per rifugiarsi in Canada, dove si è suicidata lo scorso giugno.

REPRESSIONE MULTIFORME
Solo la Giordania e il Bahrain hanno abolito le leggi, ereditate dall'era coloniale, che già criminalizzavano l'omosessualità. Al contrario, l'Egitto ha irrigidito il proprio quadro legislativo con disposizioni contro "l'incitamento alla dissolutezza", dove, ad esempio, Algeria e Yemen hanno scelto di reprimere "l'assalto indecente". Gli esami anali forzati, nonostante la loro condanna internazionale come forma di tortura, continuano ad essere praticati da diverse forze di polizia arabe contro i "sospetti" di omosessualità. Oltre alla repressione ufficiale, le milizie hanno spesso preso di mira civili LGBT in Iraq, Siria o Libia (il DJ Arshad Haybat, rapito nel novembre 2020 a Baghdad, è stato accusato di ospitare una festa gay). Quanto a Daesh, ha effettuato decine di esecuzioni per omosessualità in nome del suo "Stato islamico".

Nel maggio 2017 a Beirut è stato annunciato il primo Gay Pride nel mondo arabo, ma si è limitato a uno spettacolo di drag queen e un pranzo privato, a causa delle minacce contro una possibile parata. Nonostante la continua criminalizzazione del "sesso innaturale", il Libano appare comunque in prima linea per i diritti LGBT in Medio Oriente, con Hamed Sinno come icona. Questo cantante del gruppo rock alternativo Machrou Leila aveva guadagnato la prima pagina della rivista Têtu nell'ottobre 2013, criticando la pesantezza della società libanese contro l'omosessualità. Un concerto di Machrou Leila al Cairo nel settembre 2017 è stata occasione per gli attivisti egiziani di sventolare la bandiera arcobaleno.
Ma la repressione è caduta su decine di loro, tra cui Sarah Hegazy, torturata dalla polizia, poi consegnata alla violenza degli altri detenuti. Nel marzo 2018 ha trovato asilo a Toronto, da dove ha denunciato la dittatura dell'ex maresciallo Sisi: "Chiunque non sia un maschio eterosessuale musulmano sunnita che sostiene l'attuale regime è perseguitato, intoccabile o morto". Obiettivo di una campagna d'odio online di violenza inaudita, Hegazy finisce la sua vita dopo due anni di esilio. Sinno osserva con amarezza che “coloro che hanno pianto pubblicamente Hegazy hanno ricevuto subito minacce di morte”.

UNA RETE SEMPRE PIÙ AMPIA
Nonostante questa repressione multiforme, l'attività dei gruppi per i diritti LGBT, Gruppi sempre più numerosi, continua ad intensificarsi. In Tunisia e in Marocco si stanno mobilitando, tra l'altro, contro le disposizioni liberticide del codice penale contro l'omosessualità. In Libano hanno ottenuto di fatto l'abbandono degli esami anali forzati dal 2015. Ovunque si oppongono alle campagne ufficiali di diffamazione che associano la presunta "perversione" omosessuale a una cospirazione dall'estero (poco prima delle elezioni presidenziali algerine del dicembre 2019, il ministro dell'Interno ha accusato i manifestanti di essere "traditori, omosessuali e mercenari"). Sono emerse anche piattaforme a vocazione regionale, come la Arab Foundation for Freedoms and Equality (AFE), con sede a Beirut, su iniziativa della campagna “Never Again Alone”, con Human Rights Watch, ad aprile 2018.
Questa crescita porta naturalmente a dibattiti per definire calendari politici e metodi di mobilitazione.
È così che Mounir Baatour, un attivista gay ispirato da Act Up, per competere alle elezioni presidenziali del settembre 2019 in Tunisia, è stato contrastato da una coalizione di associazioni LGBT. Gli hanno negato ogni legittimità a rappresentare la loro comunità, accusandolo di essere una "minaccia" o addirittura un "serio pericolo". Il rifiuto da parte dell'amministrazione tunisina della candidatura di Baatour ha comunque posto fine a questa controversia.
Oggi è l'annuncio dello svolgimento a Dubai, il prossimo maggio, di una conferenza sui diritti LGBT che mette in agitazione diversi circoli di attivisti: una conferenza del genere non avallerà la legislazione ancora molto repressiva degli Emirati Arabi Uniti? Non fa parte del riavvicinamento strategico con Israele, paese in prima linea per i diritti LGBT in Medio Oriente, con il rischio di associarli ancora una volta a priorità più occidentali di quelle degli Arabi?
L'esistenza di tali confronti dimostra, se necessario, la maturità raggiunta dall'attivismo LGBT nel mondo arabo, nonostante i molteplici ostacoli a cui continua a far fronte.

(di Jean-Pierre Filiu su Le Monde del 24/01/2021)
 
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