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Parità di genere. Lavoro, giustizia e non solo. Le responsabilità, i rimedi
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Articolo di Vincenzo Donvito
29 giugno 2020 12:37
 
  Sono 37.611 le lavoratrici italiane neo-mamme che si sono dimesse nel corso del 2019. I babbi, neo-tali, che hanno lasciato il posto sono stati invece 13.947.I dati arrivano dall’Ispettorato del lavoro. La motivazione principale sembra che sia la difficoltà di conciliare l'occupazione lavorativa con le esigenze di cura dei figli; vari motivi tra cui l’assenza di parenti di supporto, gli elevati costi di asilo nido o baby sitter, il mancato accoglimento al nido. Le convalide di dimissioni nel 60% dei casi hanno interessato lavoratrici e lavoratori con un solo figlio o in attesa del primo.
La crisi Covid, di cui al momento non si hanno dati ma solo testimonianze e sensazioni, potrebbe peggiorare questi numeri. Si parla di donne che, in lavoro a domicilio, svolgono anche il lavoro domestico e quello di accudire i figli che non vanno a scuola o all’asilo. Certo, ci sono anche i babbi che non delegano tutto alle mamme, ma la situazione coinvolge moltissimo le donne.

In questo contesto c’è l’assistenza economica erogata dallo Stato e dalla Pubblica Amministrazione: i bonus bebé ordinari (2) erogati sono solo piccole gocce nel deserto (mediamente 120 euro), mentre le misure straordinarie per il periodo Covid per chi ha figli di età inferiore ai 12 anni, riguardano il congedo parentale (50% dello stipendio per massimo 15 giorni a genitore) o l’alternativa del bonus baby sitter (massimo 1.200 euro per tutto il periodo); a cui aggiungere eventuali contributi erogati da Comuni e/o Regioni.
Ma tutto questo non scalfisce il fatto che il problema base, la mancanza di parità, sia il cancro da estirpare. I dati sulle differenze di stipendio tra uomini e donne per le medesime mansioni si trovano ovunque (utimi di oggi quelli del Consiglio d'Europa).

In ambito giustizia,
nonostante una legge del 2006 abbia sancito la bigenitorialità, quanto accade nei tribunali per l’affidamento dei figli, spesso a vantaggio delle donne, continua ad essere un servizio dell’Italia maschilista che allontana la parità di genere: cultura maschilista non solo del giudice ma anche delle parti in gioco, madri che appagano il loro senso materno a danno di quello paterno (spesso considerato come un conto in banca), padri che confondono i soldi col senso paterno a danno delle mamme considerate come “tate”. In tribunale, dove mamme e babbi sono nudi davanti alla giustizia, vengono vestiti da giudici che confezionano abiti secondo il loro modo di vedere e vivere – da giudici/umani - anche in quel mondo del lavoro a cui abbiamo sopra accennato. E sempre in tribunale si vedono più spesso mamme “canaglie” verso i babbi che non babbi “menefreghisti” verso i figli. E ci vengono in mente fatti di cronaca come quello di questi giorni, dove, per quello che al momento se ne sa, il babbo avrebbe ucciso i gemelli per punire la moglie: una follia assassina che non ha nessuna giustificazione, ma maturata in ambiente maschilista dove il babbo si sente padrone della vita di altri esseri umani e la mamma che, allontanando il babbo dai figli, ha dato il suo contributo maschilista al maschilismo assassino.

Nel contesto pubblico,
tra lavoro e giustizia sono ben inseriti i falsi profeti. Quelli che predicano in un modo e razzolano in un altro. Quasi sempre perché i benefici del maschilismo (per uomini o donne che siano) sono per loro tangibili e a portata di mano. E sono proprio questi falsi profeti i soggetti più dannosi all’abbattimento delle barriere materiali e culturali. La perdita di tempo per ascoltare le loro prediche (moderate o estremiste che siano) ha costi giganteschi per gli individui e per la comunità.

Nel contesto privato,
per chi ha consapevolezza di questa necessità di parità, sarebbe importante non farsi coinvolgere. E se ci si è fatti coinvolgere e ci si rende conto dopo di questa anomalia, importante è venirne fuori il prima possibile e nel modo più indolore per tutti i soggetti coinvolti (soprattutto i figli) e per quanto “l’indolore” sia difficile, come può essere difficile ragionare oltre il proprio naso e con la serenità dell’essere oggetto di violenza (economica e psicologica).

In tutto questo il ruolo fondamentale è svolto dalla scuola,
dove ad oggi vige il cronico disinvestimento per quella dell’infanzia e dove – Covid “fa scuola” - urge un totale cambio di pardigma rispetto a quello fatto fino ad oggi.
Senza sembrare azzardosi: oggi è più importante costruire una scuola che una fabbrica, investire sull’istruzione che non sul lavoro.
Bestemmie? A noi ci vengono in mene solo le bestemmie che le vittime del maschilismo pronunciano per il fatto di essere tali grazie a tutta una società, una economia e una cultura che ipocritamente dicono di non essere maschilisti.
Il maschilismo, schematizzando, è principalmente un danno all’economia. E quest’ultima se ne deve far carico.
 
 
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