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Asili nido carenti. Italia terzo mondo?
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Comunicato di Vincenzo Donvito
3 settembre 2018 14:35
 
 Save the Children ha diffuso i dati di un suo rilevamento sulla disponibilità di asili nido in Italia. E ne è venuto fuori che un bambino ogni quattro vi potrà accedere. Ma, come i famosi polli di Trilussa, siccome ci sono Regioni come Valle d'Aosta, Emilia Romagna, Toscana e Umbria, che sono virtuose, con coperture quasi totali, va da sé che la possibilità che un bimbo possa frequentare un asilo nido è molto bassa in alcune regioni (tipo Campania) e, per le regioni restanti, praticamente peggiore.
Lascia perplessi il fatto che “Save the Children”, ONG che siamo abituati a considerare meritoria e presente per l’aiuto ai Paesi più diseredati del mondo (di cui l’Italia non fa parte), oggi si sia messa ad occuparsi del nostro Paese. I casi sono due: o la ONG ha deciso di estendere la sua azione -più di quanto già facesse prima- anche ai Paesi del cosiddetto mondo ricco, oppure l’Italia viene considerata nel novero dei Paesi disgraziati, tipo zone come Sahel, Siria, Africa varia, etc.
Col dubbio di questa considerazione (non tanto campata in aria, ci sembra), entriamo nel merito della questione. Cosa succede? Dove sono finiti i fondi stanziati dal precedente governo con tanta acclamazione, e cosa intende fare il governo attuale e i singoli governi delle specifiche Regioni più disastrate? Ovviamente, la nostra è una domanda al vento e generica, nella speranza che la nostra voce si sommi a tante altre sì da stimolare le necessarie risposte e le conseguenti iniziative.
Per noi questa è occasione per ricordare che gli investimenti sulla scuola, anche prima del famoso obbligo come nel nostro caso, sono fondamentali per costruire una società delle pari opportunità in cittadinanza ed in economia. E non a caso mettiamo al primo posto la cittadinanza e solo dopo l’economia: crediamo che la tendenza sempre più diffusa in questi ultimi decenni di educare e guidare per una futura occupazione, relegando la cittadinanza quasi all’ultimo posto (dove sono le ore di lezione, anche nella scuola dell’obbligo, per la cosiddetta educazione civica? Che anche quando erano obbligatorie erano una barzelletta) sia una politica deleteria: non si possono educare i bimbi e i giovani (e non solo nella scuola dell’obbligo) solo a crearsi una capacità per il proprio futuro economico, ma occorre prepararli ad essere gestori di se stessi e della società in cui vivono. L’attuale situazione della scuola ci ha portato ad una sostanziale mancanza di amministratori, legislatori e governanti (a tutti i livelli della nostra democrazia partecipativa) in grado di esser tali, creando spazi al populismo e alla brutalizzazione della gestione della cosa pubblica. A scuola si insegna solo per acquisire le capacità al raggiungimento di obiettivi individuali economici, e non per formare individui che contribuiscano -pur sempre a partire dalle proprie esigenze- al mantenimento, al miglioramento e alla costruzione della cosa pubblica.
I dati che “Save the Children” oggi ha diffuso sono una eclatante denuncia di questo metodo a-civico di gestire, proporre e organizzare la cosa pubblica. Certo, stiamo parlando di bimbi (e quello che diciamo diventa molto più grave a livello di istituti superiori e università), ma è proprio dal primo approccio di un bimbo che si comincia a forgiare il cittadino che domani dovrà partecipare e gestire nella cosa pubblica.
 
 
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