ciao! bellissimo testo! io penso che tutte le persone
dovrebbero avere una voglia di vivere infinita.. perchè è
fantastico.. perchè ci sono milioni di cose a questo mondo
che vale la pena di vedere, sentire e provare! ma penso
anche che vivere attaccati a una macchina e (nei casi più
fortunati) avere solo i muscoli facciali attivi non
significhi veramente vivere.. ora, io non voglio insultare i
cattolici e tutti quelli che sono assolutamente contro
l'eutanasia.. ma caspita sono loro quelli ridotti a
vegetare su un letto?? ma mi chiedo.. se non sono
d'accordo buon per loro se gli capiterà una simile
disgrazia se la subiranno.. ma perchè negare a qualcuno la
scelta di morire? boh! ciao ciao!
5 marzo 2007 0:00 - laura
sono ancora laura quella pazza di 14 anni di prima, visto
che io nel mio computer non ho internet e questo è quello
della scuola, se qualcuno vuole parlare con me può
messaggiare con me sul num 3341348354 perfavore niente
scherzi stupidi sono una persona molto conscienziosa per una
di 14 anni
5 marzo 2007 0:00 - laura
ciao ho 14 anni e di sicuro state pensando che questa qui
non sa niente della vita,beh probabilmente è così ma io
voglio comunque esporvi le mie considerazioni in merito alla
voglia di morire... io sia pure per cose assurde da ragazze
ho una voglia pazza di lasciare questo mondo.. so che dal
punto di vista medico è una vera sciocchezza perchè al di
la' della vita nn c'è niente e concordo visto che
nn sono nemmeno cristiana e non credo in una altra vita
oltre la morte.. ma secondo me se qualche persona vuole
abbandonare la sua vita e è coscienzioso del fatto che dopo
deve affrontare la verità da solo bisogna aiutarlo! perchè
continuare una vita che non si vuole vivere? mi sa che ho
perso un po' il filo del discorso e mi sa anche che
cio' che ho detto non centra molto con cio' di cui
stavate discutendo ma io ho bisogno di sfogarmi un po'
se no mi sa che una volta o l'altra nn saro' più
padrona di me stessa e non mi serviranno più medici nè
politici per aiutarmi!!
11 agosto 2006 0:00 - jessika
penso ke questo sia un argonento abbastanza spinoso, ma lo
è soltanto x ki nn ankora le idee kiare; io sono ben
konvinta di quello ke penso e di quali potrebbero exere le
mie scelte. certo, mai dire mai nella vita, ma ora kome ora
sono ben basata e konvinta. non sono kontraria
all'eutanasia. io penso ke, spero di nn skandalizzare
nessuno, sia anke una "salvezza" arrivati a un
certo punto. mi spiego meglio: io sono favorevole a far
morire una persona SOLO e dico SOLO nel kaso in cui stia
soffrendo indicibilmente e non ci sia più alkuna soluzione
x poterlo guarire. allora ke senso ha kontinuare a soffrire
aspettando laormai certa morte? tanto vale darle una
mano!!!! ma nel kaso in cui ci fosse anke una sola pikkola
possibilità di salvezza, non pratikerei più
l'eutanasia a un paziente ke ha un barlume di speranza.
questa è la mia opinione e konvinzione ke penso ormai da
molti anni,su un qualcosa di veramente grande e importante.
ragazzi, pensate bene a questo dilemma, xkè non è
un'indecisione kome uscire il sabato e nn sapere se
andare a una disco oppure all'altra. baciotti!!!!
16 marzo 2006 0:00 - Lucio Musto
A prescindere dal solito intervento imbecille del solito
imbecille, questa volta mi sembra davvero di essere in un
forum in cui ci sia qualcosa da meditare, da imparare, da
discutere serenamente e coscienziosamente per chiarire le
idee proprie e tentare di contribuire al coagularsi di
quelle di altri.
Per seguire il mio modo di
ragionare comincerò col cercare i punti focali del
discorso. Mi pare che siano il concetto vita-morte, il
significato di eutanasia, la definizione di “accanimento
terapeutico”.
Mi pare anche che
pregiudizialmente si voglia prescindere da condizionamenti
morali e/o dettami dottrinali e religiosi.
La
morte è unanimamente riconosciuta come mistero, la vita si
manifesta come mistero inevitabilmente per tutti, anche per
quelli che positivisti estremi, cercano di darsi un tono di
assoluta sprezzante sicurezza. E’ esperienza di tutti
noi, spesso dolorosa esperienza, il rilevare come amici e
conoscenti che da sempre avevamo conosciuto come
graniticamente sicuri di sé sciogliersi, ad una qualche
svolta della loro esistenza, in un lago di debolezza ed
incertezza.
Da vita imprevedibile e morte
misteriosa non può che derivare un binomio concettuale
vita-morte affatto personale e per di più instabile nel
tempo. Cosicché dovremo pensare che se ognuno
dovrebbe eticamente essere libero di auspicare per sé una
fine piuttosto che un’altra, egualmente dovrebbe essere
libero di cambiare idea quando sente di farlo, ogni volta
che sente di farlo. Ma è giusto che sia così?... o
meglio, è umanamente ineccepibile il concetto di
non-interferenza nella volontà del singolo?... questo è il
primo scoglio da superare nella nostra analisi.
Mi spiegherò meglio con una riflessione. La più parte
dei gesti estremi, il suicidio per esempio, ma anche azioni
meno definitive come il lasciare la casa paterna ed
arruolarsi nella “Legione straniera” (esiste ancora?), o
semplicemente lo sbattere la porta e chiudere i ponti col
passato, non sono di solito frutto di attente valutazioni,
ma più spesso di passioni scatenate da motivazioni minori,
esplosioni di rabbia o di dolore o di insofferenza o di
disperazione. Col massimo rispetto di ognuno, l’amico
che ti strappa dal ponte da cui stai per buttarti e ti
stordisce con un pugno, viola la tua libertà individuale o
ti protegge da un “te stesso” alterato tanto da non
essere più ancora “te stesso”? … Ti fa “perdere un
occasione” irripetibile, magari solo perché non avrai
più il coraggio di riprovarci, o ti fa un favore?
Questa è una domanda senza risposta, ma solo con una
giustificazione. L’amico che ti strappa dal ponte lo
fa perché ti ama, non vuole perderti, non vuole che
“tu” faccia una cosa che “per lui” è sbagliata.
In definitiva lo fa per sé e per la sua coerenza, non
per te. Ma possiamo definirlo egoismo?
L’aspetto, dicevo è complesso e variabile nel tempo.
Una leggina che si potrebbe fare, (e magari sarebbe anche
educativa), che obbligasse tutti noi ad andare a
diciott’anni, e poi ogni volta che vogliamo cambiarla, dal
notaio a dichiarare come si vuol essere trattati in
malattia, in fin di vita e dopo morti servirebbe a poco.
Perché ci sarebbe sempre il ragionevole, umanissimo dubbio,
da parte dell’operatore sanitario deputato al gesto
estremo nei tuoi confronti: «Ma sarà davvero questa,
la sua volontà in questo momento?... e se avesse cambiato
idea e non avesse avuto il tempo di andare dal
notaio?...» Inevitabilmente, ineluttabilmente (ed è
giusto che sia così) chi stacca la spina lo fa e
continuerà a farlo sulla sua sofferenza, sulla personale
angoscia. Ci spiace, ma è il suo lavoro.
L’eutanasia, la “dolce morte” è la consapevolezza
scientifica che per quel paziente non c’è più nulla da
fare, ragionevolmente, e che quindi sia “meglio che
muoia”.
uando, è giusto intervenire per
accelerare la fine della vita di una persona che soffre?.
Quando, chi, e come decide che “per tizio” è meglio
morire che continuare a vivere?... in base a quali
parametri, se i parametri non li ha, o almeno non li ha
tutti?
Identicamente come per l’aborto:
«per quel feto è meglio essere eliminato che avere una
possibilità di vita»… chi posso essere io per
affermare questo in coscienza?... al massimo posso
ipotizzarlo per la madre, e per oggi. Per domani, nemmeno
per la madre. E come posso stabilire “preferibile”
il passaggio dalla vita alla morte del sofferente, se non so
cosa ci sia “al di là”, o se ci sia davvero qualcosa o
“nulla” e il “nulla” sconosciuto sia preferibile al
dolore che io posso ancora prolungare?
Sarò un
matematico e non un medico, scusatemi, ma la proposizione la
vedo indimostrabile!
L’accanimento terapeutico
è invece un orco tecnologico. Ma con una giustificazione
sua propria e radici remote, molto lontane dal momento in
cui si decide di non esercitarlo più su quell’essere
vivente, ancora e forse, che abbiamo di fronte. Parte
da quel malditesta che avevo stamattina. Ho preso un
antidolorifico e non mi è passato, mi si è solo
affievolito un po’. Che faccio, di antidolorifico me ne
prendo un altro? Se c’è la medicina, perché non
provare?
Basta allargare un “attimino”
l’orizzonte e la mente speculativa ed onesta arriva
facilmente alle conseguenze drammatiche e responsabili di
una vita che fa spegnendosi.
«Lenisco il dolore
ben sapendo che ha controindicazioni pesanti?».
«Provo con un’altra “bomba” per cercare di tenerlo
ancora in vita, nella sofferenza, qualche altra ora, o
abbandono lasciando che la natura faccia il suo corso?»
«E se poi questa spintarella in più smuove qualche
riserva nascosta di vitalità e questo si riprende
inspiegabilmente e campa altri dieci anni?...» Sono i
tormenti quotidiani dei medici delle terapie intensive e di
quelli dei pazienti in fase terminale: «Certo ai
miracoli non ci crediamo più, non ci crede più nessuno, ma
quelli, i miracoli, continuano a succedere e non sappiamo
perché!... e se questo fosse uno di quei casi assurdi, ma
reali?...»
Ed ecco che il medico chiede al
figlio, al nipote ignorante ma buono, di dividere la sua, di
ignoranza, al marito angosciato di condividere la sua
angoscia di professionista dubbioso là dove la scienza
trova il suo limite.
La morte non può essere
sconfitta!, giustamente fa intendere il nostro Autore
parlando della suprema nostra battaglia, “e
fortunatamente!”, occorre un po’ cinicamente aggiungere:
non siamo preparati, come specie, all’assenza della
morte. La morte, per quanto ne sappiamo, è parte
imprescindibile della nostra vita! Ma parlarne è fuori
del nostro tema, per ora.
Ma più oltre egli si
preoccupa concretamente di una «… defezione scellerata di
massa del fronte della vita in favore della morte», e si
chiede, e ci chiede: «come è possibile tutto
questo?».
Non lo so. Non so rispondere. Io,
come lui, sono un amante della vita. Io, come lui, vorrei
che tutti, vivessero per sempre. Io, come lui vorrei che
tutti fossero sani, e felici.
Ma il mio corpo,
ancorché ancora sano, no. Il corpo di alcuni malati gravi
che ho visto, no. Non ambiscono a vivere ancora, questi
corpi, non desiderano più un futuro, non ancora sole,
ancora rugiada, ancora mattino, e meriggio, e sera, e
notte…, finché sia di nuovo mattino.
La
libertà personale. Il diritto di scegliere.
L’istinto a proteggere quello che so di te: la tua
vita. Il dovere di scegliere per un altro. Il
dubbio di amare l’altro nei suoi desiderata, nel farlo
vivere, o non più vivere….
Ci sono tutti, nel
nostro quotidiano.
Fuori, rimane solo
quest’ultima, angosciosa consapevolezza. Perché c’è
un momento o, peggio, più momenti della nostra vita, in cui
ci diciamo: «adesso, basta. Non voglio vivere
più!»? Questa consapevolezza l’abbiamo sperimentata
in molti, la vediamo chiaramente in altri.
Perché?
Non c’è motivo organico che
giustifichi questo. Non un enzima, non un impulso
genetico, non un neurotrasmettitore è stato ancora scoperto
che suggerisca alla vita di finire.
I bravi,
onesti, pii medici di famiglia di un tempo, quando la
medicina era più arte magica e meno scienza di adesso, ad
un certo punto della malattia del loro paziente alzavano le
braccia al cielo ed onestamente ammettevano: «Abbiamo fatto
il possibile, il resto è affidato a Dio ed alla sua voglia
di vivere!...» e si ritenevano soddisfatti del loro
operato.
Oggi, per quanto riguarda il disegno di
Dio ognuno ha il suo parere e non ci spenderò una parola di
commento. Per quanto riguarda la “voglia di
vivere” del paziente siamo esattamente nelle stesse
braccia dello stesso mistero in cui si imbattevano i medici
di un tempo. E sarà buon consiglio alzare anche noi le
braccia a ripetere il loro gesto propiziatorio: magari se
vogliamo, cambiando l’esclamazione scaramantica.
Ho inteso dire, da qualcuno pieno di fede, che il desiderio
della fine è proprio dell’anima che ha intuito il profumo
dell’aldilà, e ci tende. Anche qui, come sempre, ci
sono quelli più fortunati degli altri!
Con
cordialità.
Lucio Musto 16 marzo 2006 parole
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16 marzo 2006 0:00 - Gesù
Miei fedeli, Preghiamo:
Padre Nostro, che
sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga
il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in
cielo così in terra, dacci oggi il nostro pane
quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti, come
noi li rimettiamo ai nostri debitori, non ci indurre in
tentazione, ma liberaci dal male, AMEN
19 febbraio 2006 0:00 - Enrico Falcinelli
L'iniziativa merita senz'altro un seguito per il
tentativo di recupero di quanto più si possa recuperare nei
riguardi della concezione fondamentale della vita. Oggi,
nelle società più progredite, forti economicamente e
maggiormente industrializzate, le valutazioni sulla vita e
la morte riflettono il grado di impatto con cui tali
problematiche vengono recepite. La portanza del concetto
della morte viene sminuita dall'eccesso di contatti
virtuali con essa; la troviamo dappertutto, dal telegiornale
al più innocuo cartone animato per bambini e morire in un
videogioco è all'ordine del giorno. Ma la maggior
verità è nella mancanza di rapporti diretti forti con gli
altri. E' dimostrato che non è difficile decidere per
la vita o la morte di qualcuno quando non si conosce affatto
chi sia colui del quale si decida il destino e se per
determinare la morte di chicchessia bastasse premere un
bottone dall'altro capo del mondo, in questa mancanza di
"implicazione" non ci si penserebbe due volte
prima di farlo.
E' uno dei motivi per cui ci
si compiace di porre il proprio pensiero e la propria morale
come giusto arbitrio per l'altrui vita.
Onde
cercare di evitare questo, è giusto recuperare la
dimensione umana del problema, un po' come i grandi
mistici si imponevano di fare tenendo un teschio sempre
accanto, durante le loro riflessioni. Occorrerebbe una
moderazione di esperienza ed equilibrata, però onde evitare
di trasformare il dibattito in una ulteriore saga da
videogioco di realtà virtuale.