Ciò che viene chiamato pateticamente" spreco alimentare "
è, innanzitutto, un calcolo statistico macroscopicamente
definito fra le differenze che si rilevano tra la produzione
e il consumo. L'industria, l'agricoltura, l'importazione
immettono sui mercati 1000. Non c'è spreco se questi mille
vengono utilizzati e consumati. Ogni periodo viene preso in
considerazione per queste rilevazioni e deduzioni
conseguenti. Prima di tutto questi accertamenti sono reali e
veritieri? Non basta aver notato che il supermercato X alle
3 pm va a buttare nel cassonetto una cassa di pomodori
vecchi di due giorni perchè è arrivato il camion delle
consegne e ha portato i nuovi. Non basta vedere che la
commessa pulisce le insalate per farle divenire più
appetibili e toglie decine di foglie buone, ma appena rigate
che butta nello scarto e che un allevatore di conigli va a
raccattare.
I calcoli di chi asserisce che un venti-trenta ecc. % viene
scartato, dovrebbero essere mirati al prodotto. Mai visto
buttare nei cassonetti bottiglie di olio o pane del giorno
prima. Viene ricollocato, ma con il conto della serva
siccome non è regolarmente venduto, diviene "sprecato".
Poi c'è un'altra osservazione da fare. Tutte le realtà
produttive sono arrivate ai loro equilibri di gestione
caratteristica e di sostenimento ( guadagno, mantenimento di
forza lavoro, rapporti di compravendita materie
prime-prodotto finito, ottimizzando la gestione aziendale.
Vivono sul mercato e danno lavoro e mantengono indotti.
Questo è l'equilibrio che diviene essenziale assicurando
una determinata produzione e garanzia di qualità, consegne,
prodotto.
In definitiva questo è un punto indiscutibile. Una fabbrica
di yoghurt che produce 100, mantiene dieci operai, resta sul
mercato, fa guadagnare pubblicisti, proprietari,
dettaglianti, trasportatori, manutentori, fornitori di raw
material, ecc. ..insomma va avanti discretamente nel grande
mondo della concorrenza. Bene, se a causa della riduzione
delle vendite, vuoi perchè il dettagliante stabilisce (non
vendendoli come magari prima) che non gli conviene più
buttare il dieci (anche solamente e perchè li teneva per
accontentare le smanie di scelta dei consumatori) per cento
dei vasetti scaduti nel cassonetto, o mangiarseli a cena, e
non acquista più tante confezioni, il produttore
conseguentemente dovrà, giocoforza, vedersi decurtate le
vendite e dovrà ridurre le produzioni, quindi mandare a
spasso operai, suoi fornitori, pagare meno tasse, e
affidarsi ad un analista di bilanci per verificare se, alle
nuove condizioni, dovrà fallire o continuare in perdita o
se, ancora guadagna appena un po' non ne sarebbe più
motivato. E il gioco non si fa con i prezzi, perchè c'è la
concorrenza di mercato.
Potete estendere questi concetti a tutto il mondo della
produzione, con uno slogan: Se si smette di sprecare, si
dovrà sostenere e con le maggiori difficoltà di quanto
detto spreco può generare, tutto il mondo produttivo che è
alla base dell'economia globale. Operazione perversa e
recessiva. La stessa cosa è chiudere o limitare la
produzione e l'uso delle plastiche in nome
dell'inquinamento. La cura limitativa potrebbe essere più
deleteria del male stesso.
Il ragionamento ,può essere esteso a tutto il mondo che
vive di economia.
21 ottobre 2020 11:33 - Filanto_051
La questione, a mio parere, ben più complessa, non è
riconducibile unicamente alle ns.responsabilità di 'europei
ben pasciuti' bensì anche alle ataviche difficoltà di
popolazioni che non sono riuscite, negli ultimi decenni del
secolo scorso e in quelli dell'attuale, a riscattarsi anche
politicamente da malgoverni vari, corruzione, analfabetismo,
sovrapopolazione e via discorrendo, in breve: va bene il
'dovere morale' all'aiuto del prossimo affamato e in
difficoltà, tuttavia pare che sia più semplice, per queste
persone, cercare fortuna emigrando 'con ogni mezzo'
piuttosto che tentare di risolvere quei problemi 'a casa
loro'
16 ottobre 2020 11:21 - annapaola
"E vergognarsi di appartenere ad una comunità che ANCORA,
come nei secoli passati, vive sulla disperazione che il
nostro modello di sviluppo e di vita induce in gran parte
del mondo".
Concordo con tutta la riflessione di Vincenzo Donvito, e
trovo importante che egli inviti a farla propria i semplici
contribuenti, elettori, cittadini del nostro Paese che fa
parte dei Paesi ricchi del mondo. E' vero, in quanto tali, e
anche come consumatori, abbiamo un certo potere nel
contribuire, coi nostri comportamenti e azioni sociali e
politiche, a fermare questa questa vergogna prima che la
situazione esploda (e coinvolga anche noi, naturalmente).
Che cosa possiamo fare?
Un esempio solo: limitarci nell'uso dell'auto privata , se
possibile proprio abolirla, perché in tal modo possiamo
tagliare il consumo di petrolio e lo sfruttamento relativo e
speculativo delle risorse di Paesi del sud del mondo, come
la Nigeria, dove l'estrazione del petrolio porta a enormi
danni ambientali, all'avvelenamento di ampie aree, da cui la
popolazione deve fuggire per salvare la vita, perdendo però
casa, campi, quel minimo di benessere che aveva
raggiunto.
Ormai da alcuni anni sento il peso morale di quello che dice
Donvito.
Ragion per cui non mi sono dispiaciuta più di tanto di non
poter più guidare la macchina a causa di un incidente, in
cui si è compromessa la perfezione della vista, che serve
per avere la patente.
Certo, non ne ho bisogno per lavorare, ma ho tagliato anche
dalla mia mente quei "bisogni" indotti - la passeggiata in
campagna o al mare ecc. ecc.. La mia vita si è fatta più
grigia? Non direi. Mi faccio bastare il treno per
raggiungere alcune mete che mi piacciono, e il cavallo di
san Francesco per gustare la bellezza di una città o di una
contrada sempre raggiungibile coi mezzi pubblici.
In base alla mia esperienza, sono quindi convinta che tutti
quanti possiamo scoprire qualche cosa da cambiare nelle
nostre abitudini, oppure accettare di buon grado delle
limitazioni, in modo da vivere con almeno un po' di
solidarietà con i "dannati della terra".