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Mercato e consumo halal. Business per controllare i musulmani?
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Articolo di Redazione
6 gennaio 2017 18:32
 
 Secondo uno studio pubblicato dall’Istituto Montaigne nello scorso settembre, il 70% dei musulmani a cui e’ stato chiesto, dichiarano di comprare “sempre” della carne halal, e solo il 6% non lo fa mai. “Il mercato e’ in piena espansione dagli anni 90, ma c’e’ una certa reticenza francese a studiarlo”, rileva l’antropologa al CNRS Florence Bergeuad Blacker. Il suo libro “Marché halal ou l’invention d’une tradition (Seuil) (Il mercato halal o l’invenzione di una tradizione), che viene pubblicato questa settimana, e’ il risultato di venti anni di ricerche, molto spesso finanziate da contributi europei che sarebbero stati difficili da ottenere in Francia. Per la nostra antropologa, l’alleanza tra neoliberalismo e fondamentalismo religioso ha dato vita ad un mercato inquietante: l’halal si estende costantemente e diviene un mezzo di controllo dei comportamenti dei consumatori. In questa visione molto determinista della societa’, la “islamic way of life” puo’ giocare contro la democrazia, conclude alla fine della sua opera. Affermazioni che possono essere fatte proprie da tutti coloro che si allarmano dell’aumento dell’islam in Francia, estrema destra in testa. La ricercatrice lo sa bene e se ne fa una ragione.

D. Che cos’e’ l’halal?
R. Halal significa “lecito” o “permesso” in arabo, e’ l’opposto di haram, illecito. L'uso teologico della parola indica la liberta’ di permesso, quello che il musulmano puo’ fare. Ma il mercato ha trasformato il senso di halal, definendo halal come il prescritto, per essere un “buon” musulmano. Non esiste la norma halal. Ognuno riconosce che esiste dell’halal, soprattutto i religiosi, i mercanti e i politici, ma nessuno e’ in grado di dire cosa sia. Io la chiamo una “convenzione” dell’halal.
D. Perche’ dice che l’halal e’ una tradizione inventata di recente?
R. Io parlo di invenzione del “mercato halal”, nel senso che non lo si puo’ ascrivere a un antico mercato importato dai Paesi musulmani. Questo mercato non e’ mai esistito nel mondo musulmano prima che gli industriali non ve lo esportassero. La convenzione dell’halal nasce intorno agli anni 70-80. Due le ideologie trionfanti sulla scena internazionale: da un lato il fondamentalismo musulmano, con essenzialmente la proclamazione della Repubblica islamica dell’Iran nel 1979, e, dall’altro, il neoliberalismo, con Thatcher e Reagan. Questo incontro, che non era stato organizzato, permette a due ideologie di lavorare insieme per fissare un protocollo industriale halal. L’agenzia di certificazione della carne halal, un ibrido economico e religioso, ne rappresenta l’atto di nascita:essa stabilisce il lecito e l’illecito nell’ambito della tradizione giurisprudenziale islamica ben piu’ complessa. Essa istituzionalizza il controllo della macellazione industriale dei musulmani nei Paesi occidentali.
D. Come le industrie occidentali hanno accettato questo controllo?
R. Quando Komeini arriva al potere in Iran, vieta tutte le carni importate dall’Occidente per il fatto che sono illegali. Ma la sua decisione minaccia l’equilibrio alimentare del suo Paese. Questo capo di Stato si ravvede ed impone un controllo halal. Concretamente, l’Iran invia dei mollah per lanciare un protocollo islamico sulle delle catene alimentari tayloriste della Nuova Zelanda o dell’Australia. Altri Paesi musulmani, come Egitto o Arabia Saudita, impongono anch’essi il loro controllo “islamico” si’ da non restare in secondo piano. Il principio di una registrazione halal e’ creato, quello che i classici non avevano mai fatto: loro non si accontentano di discutere a partire da un corpus religioso dei modi di macellazione che piacciono a Dio e di mettere all'indice gli altri. La macellazione halal industriale e’ razionalizzata: essa consiste nel tagliare i giugulari e la carotide dell’animale rivolto verso La Mecca da parte di un musulmano. Dopo ci sono delle variazioni. In un numero crescente di casi, l’animale non deve essere stordito.
D. Altri Paesi hanno tentato di fissare le loro norme per far crescere le autorita’ nel mondo musulmano.
R. La Malaisia e’ diventata un centro dell’halal mondiale negli anni 90. Alcuni ingegneri dell’agroalimentare che lavoravano per Nestle’ l’hanno aiutata ad organizzare l’ingegneria necessaria. Il Paese ha anche precisato il perimetro dell’halal lavorando alla pubblicazione, nel 1997, delle “direttive halal” del Codex alimentarius, un organismo neoliberale che codifica le norme alimentari per permettere la loro circolazione nel mondo. La Malaisia fa entrare il principio di purezza: solo gli alimenti che non contengono o non sono contaminati da dei prodotti vietati (maiale, alcool, proteine che non derivano da un protocollo secondo la legge islamica) possono essere halal. Questo esclude una gran parte di alimenti industriali che hanno dei coloranti, esaltatori del gusto e altri additivi! Quasi tutta l’industria diventa halalizzabile. Nello stesso tempo, la Turchia sviluppa il turismo halal e la moda islamica. Poi, a partire dal 2010, gli Emirati arabi Uniti stabiliscono un rapporto con la finanza islamica per promuovere “l’economia globale islamica”.
D. E in Francia, come si crea il mercato?
R. Ha adattato i suoi canali di macellazione per esportare verso i Paesi musulmani, Poi questa offerta si e’ rivolta verso il mercato interno negli anni 90, nello stesso momento in cui delle crisi sanitarie importanti, come l’encelofopatia spongiforme bovina (ndr mucca pazza) e l’afta epizootica creano problemi all’industria. Con la sovrapproduzione di carcasse, l’industria della carne ha cominciato a fare l’occhiolino a milioni di musulmani in Francia.
D. L'offerta, piuttosto che la domanda dei consumatori, ha creato il mercato?
R. No, i due aspetti vanno di pari passo. Quello che io chiamo spazio alimentare musulmano, per molto tempo e’ stato caratterizzato dal solo divieto del maiale. La macellazione rituale era soprattutto praticata nell’ambito delle cerimonie. Le macellerie islamiche si sono sviluppare molto tardi in seguito alla reislamizzazione degli anni 80. L’offerta di halal va incontro alla domanda della diaspora, per la quale la cucina e’ un modo di proteggere l’integrita’ della propria cultura, e la strategia dei gruppi fondamentalisti che vedono di buon occhio che la chiusura alimentare possa anche essere una chiusura comunitaria, Avevo fatto un’indagine nel 2005 in occasione di un incontro dell’Unione delle organizzazioni islamiche di Francia (UOIF) a Bourget: l’85,9% dichiarava di mangiare della carne e dei prodotti di carne esclusivamente halal. Il congresso dell’UOIF non e’ certamente rappresentativo dell’insieme dei musulmani, ma riunisce una popolazione famigliare che va largamente oltre l’audience dei soli Fratelli musulmani. In un’epoca in cui si crede che la secolarizzazione farebbe sparire queste pratiche, questi dati considerevoli hanno suscitato lo scetticismo. Altri studi lo hanno confermato. Uno studio dell’Istituto Montaigne ha mostrato che nel 2016, piu’ del 40% dei musulmani pensa che mangiare halal sia uno dei cinque pilastri dell’islam… che non e’ esatto.
D. Come il diritto francese ha accettato l’halal?
R. Non esiste nella legislazione francese dei riconoscimenti stricto sensu della macellazione rituale -sia essa casher che halal. Ma, nel 1964, la legge ha stabilito una deroga allo stordimento delle bestie per motivi religiosi, all’origine del casher. Anche se queste pratiche sembrano diminuire, dei macelli europei fanno del “tutto halal” per fare business. Evitano i cambiamenti di canali e possono indifferentemente distribuire dell’halal ai loro clienti musulmani o a dei grossisti convenzionali. La regolamentazione europea non obbliga ad una particolare etichettatura.
D. Lei si arrabbia per l’emergenza di una nuova generazione halal che lei chiama “halal illeterata” (ndr. ummique, in francese). Che cos'e'?
R. Fino agli anni 2000 l'halal fa riferimento ad un modello “inclusivo”: i prodotti possono essere fabbricati da dei non-musulmani a condizione che rispettino certe norme e certificazioni. Poi, sotto la pressione di Paesi come la Turchia, i Paesi del Golfo o gli Emirati arabi Uniti, il modello “ummique” ha cominciato ad imporsi: bisogna che la produzione sia sotto controllo e responsabilita’ dei musulmani. Nel primo caso, c'e' un halal per i musulmani. Nel secondo caso un halal attraverso i musulmani. L’halal diventa poco a poco un mezzo di controllo non solo degli oggetti, ma anche di comportamenti. In Francia, a partire dal 2007-2008 alcune associazioni di consumatori musulmani sono comparse: alcune veicolano verso una “etica musulmana” del consumo.
D.L’halal e’ secondo lei forzatamente fondamentalista?
R.Il fondamentalismo si caratterizza con un rapporto letterale ai testi e per il fatto che esso si definisce l’ortodossia: tutte le altre forme religiose sono per lui devianti. E’ questa logica che ha permesso alla convenzione halal di esistere: l’idea che esista un solo modo di abbattere un animale. Agli inizia, questa pratica e’ quindi un’idea fondamentalista, che diventa, nel suo ulteriore sviluppo, quasi totalitaria: essa deve governare l’insieme della vita del credente. Sicuramente, non e’ sempre detto che sia cosi’, i manuali i marketing islamico parlano piuttosto di “halal way of life”.
D. Alcuni ricercatori come Olivier Roy stiamo che l’halal sia il segno di una secolarizzazione dell’islam. Pensa invece che porti i musulmani ad escludere gli altri…
R. Olivier Roy e altri dicono piuttosto, ma io riassumo, che la norma halal e’ una sorta di avatar occidentale. Sara’ vero se questi prodotti di consumo siano inerti. Ma, essi sono accompagnati lungo tutto il processo di mercato da un discorso religioso fondamentalista, e questo negli ambiti alimentari, d’abbigliamento, cosmetici. Questo discorso religioso puo’ essere eufemizzato per essere meglio esportato, il pudore trasformato in “modestia”, un termine piu’ lusinghiero.
D. Lei dice che le persone che consumano halal sono in una sorta di “ansia/rifiuto sociale”, perche’?
R. Dividere in due lo spazio tra il permesso e il vietato crea una certa ansieta’ sociale e porta a delle condotte che portano ad evitare gli altri. Quando si mangia completamente halal a casa propria, si puo’ evitare di invitare qualcuno che non mangia halal per paura di essere inviato a propria volta. E’ pertanto piu’ vero che questi comportamenti per evitare sono accompagnati da un discorso di rigetto del cibo “impuro”. La confusione tra halal e purezza e’ preoccupante. Per fortuna non e’ sempre cosi’.
D. Il mercato casher, a vostro avviso, non pone cosi’ tanti problemi?
R. I due mercati non sono comparabili. Il casher e’ nato da diversi secoli, prima dell’industrializzazione. La separazione tra funzioni di mercato e religiose esiste, anche se puo’ essere trasgredita, ed ha funzionato per dei secoli. Il mercato halal, e’ invece nato industriale, frutto del neoliberalismo e del fondamentalismo, non c’e’ una chiara separazione. La norma halal e’ un’offerta che va oltre il mercato e religiosa. Nessuno controlla l’estensione dell’halal, ma interessa molto i promotori della “economia globale islamica”!
D. Crede che il suo libro possa alimentare la psicosi anti-musulmani?
R. Questa politicizzazione dell’islam e’ doppia, con un commercializzazione del patrimonio culturale e intellettuale musulmano. E’ un fenomeno molto inquietante. Perche’ chi ne approfitta sono, oltre i mercanti molto evidenti, i fondamentalisti che hanno il progetto di imporre questa forma dogmatica di islam di cui si nutrono i gruppi identitari di facciata per organizzare questa paura dei musulmani. Il mio libro vuole dare gli strumenti di comprensione a tutti gli altri, musulmani e non, per resistere a questo cattivo vento che gira molto male. In una recente indagine a Bordeaux, dove ho fatto i miei primi passi di etnografia venti anni fa, delle giovani madri turche mi hanno confidato: “Prima, non si mangiava halal, i nostri genitori non lo sapevano, si sbagliavano”. E’ contro la perdita di memoria, contro l’odio di se' e del passato che seminano quei fondamentalismi di cui ho scritto in questo libro.

(intervista di Sonya Faure e Maryam El Hamouchi pubblicata sul quotidiano Libération del 06/01/2017)
 
 
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