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Lezione dei cicloni per il clima
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Articolo di Redazione
21 settembre 2017 11:40
 
 Le serie nera dei cicloni che dilagano in questo inizio di autunno nei tropici, contiene delle lezioni climatiche? Si’, e non solo nei confronti del cambiamento climatico provocato dalle nostre massicce emissioni di gas ad effetto serra.
Cominciamo con la domanda che infastidisce. Quella che i giornalisti, chiamati per scriverne da capi-redattore avidi di semplificazione, fanno agli scienziati, non sempre specializzati in cicloni.. ma ci si arrangia con cio’ che si trova. I cicloni attuali, Maria, Irma, Katia, etc.. sono provocati dal cambio climatico in atto? Cioe’, ci sarebbero stati senza questo cambiamento climatico?
Pro e contro hanno gia’ la risposta
Cosi’ posta, la domanda ha gia’ risposte una diversa dall’altra in ambito pubblico. Assennate per i militanti del clima – i pro come i contro. Nessuno ha qualcosa contro il clima, sicuramente. Ma i “pro” sono i militanti delle ONG, che non vanno molto per il sottile nel valutarne la qualita’ scientifica di un argomento che a loro sembra convincente. Quindi, per loro, Irma deve la sua esistenza alle nostre centrali a carbone. Per gli “anti”, anche se indifferenti alla scienza, non hanno alcun problema ad argomentare in modo piu’ presentabile, con la la lunga serie di cicloni che mostrano poco, al momento, sui maggiori cambiamenti, pur con la loro frequenza, essendo la loro intensità ancora più difficile da misurare rispetto al passato lontano. Il comico dell’uso di questo argomento da parte degli scettici sui cambiamenti climatici e’ in questa frase di sintesi: “During the 20th century, a significative increase in the number of cyclones has occurred after the 1950s.” (durante il XX secolo, l’aumento del numero di cicloni si e’ manifestato dopo il 1950).
L’ultimo rapporto del IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) precisa che sull’aumento dell’attivita’ dei cicloni piu’ intensi non si crede tanto che siano stati soggetti “a cambiamenti a lungo termine”, anche se “quasi certamente ci sono stati in Atlantico del nord dal 1970”. Per il futuro, alla fine del secolo, questo aumento e’ giudicato “piu’ probabile che improbabile a livello regionale e mondiale”.
E’ quindi utile tornare alle fondamenta, come si dice nel rugby.
Probabilita’
- E’ impossibile fissare un legame di casualita’ tra un evento meteorologico isolato e una tendenza climatica in corso.
- Al contrario, un’analisi a posteriori, basata su un insieme di simulazioni numeriche che esplorano le possibilita’ di un clima stabile e di uno instabile, permette di valutare la probabilita’ di verificarsi di un fenomeno meteo in funzione di queste due possibilita’. C’e’ anche il fatto che e’ stato stabilito che il cambiamento dovuto all’intensificazione dell’effetto serra aveva reso piu’ probabili le inondazioni in Gran Bretagna nel 2007. Nel 2014, uno studio statistico di Met Office britannico dimostrava che un episodio di forte pioggia che aveva una possibilita’ su 125 di manifestarsi tra il 1960 e il 1970, aveva una chance su 85 di accadere negli anni successivi al 2000. Stessa dimostrazione per la canicola/siccita’ in Russia nel 2010. Uno studio pubblicato da Science nello scorso agosto, ha mostrato, per esempio, che negli ultimi 50 anni le date delle inondazioni delle coste e dei fiumi nell’Europa dell’ovest, si sono anticipate alla primavera in funzione del cambiamento climatico.
Sara’ noto in seguito, quanto i meteorologi e climatologi avranno fatto questo lavoro per la stagione dei cicloni del 2017, se la stessa porti o meno un “segno probabilistico” dovuto al cambiamento climatico in corso. Una scienza completamente opposta alla domanda del sistema mediatico di risposte immediate: cari lettori, avrete la risposta alla vostra domanda tra qualche mese o piu’.
- I rischi di cicloni piu’ intensi o piu’ frequenti con un clima piu’ caldo alla fine del secolo, sono poco conosciuti. La loro simulazione resta un fatto delicato. Un ragionamento semplicistico che faccia riferimento all’aumento della temperatura dei primi cento metri dell’acqua degli oceani, potrebbe portare alla conclusione di una crescita della loro frequenza, ma non e’ quanto ci mostrano le simulazioni digitali. In effetti, la formazione di un ciclone dipende anche dall’insieme della troposfera e del tasso di variazione della temperatura, nonche’ dai venti a grande altezza, per la sua intensificazione. Comunque, il riscaldamento generale modifica poco il profilo verticale delle temperature, il vero catalizzatore dei fenomeni ciclonici. Il loro numero potrebbe quindi non variare, o anche diminuire un po’ con il riscaldamento.
E la massa ciclonica futura? No.
Miracolo socio-politico
- Innanzitutto perche’ il danno dei cicloni non è realmente determinato dal loro numero totale. Cio’ che conta veramente, sono quelli piu’ intensi. Il riscaldamento dell’atmosfera lo carichera’ con piu’ vapore acqueo (formula di Calusius-Clapeyron), un fenomeno attivo in un ciclone, generatore di energia supplementare in virtu’ del calore latente. Quindi, maggiori piogge, come si e’ visto nelle conseguenze in Florida.
- Poi, perché il danno dei cicloni all'arrivo sulla terra è legato al livello del mare. Come quest’ultimo si alza in virtu’ del cambiamento climatico, le inondazioni marine minacceranno piu’ di oggi i terreni occupati dall’essere umano. In un ciclone, con la concomitanza di depressione e aumento delle maree, il livello delle acque puo’ salire di 4 metri, e anche di piu’. D’altra parte, un articolo comparso sulla rivista Nature evidenzia un’estensione verso le medie latitudini della zona di impatto dei cicloni. Anche se questo risultato e’ preliminare, le maggiori proiezioni dei climatologi per il riscaldamento degli oceani portano a pensare che sia probabile questa estensione spaziale della zona a rischio.
- Infine perche’ il rischio climatico e’ l’incrocio dei fenomeni naturali e della vulnerabilita’ delle societa’ (o degli ecosistemi, ma per questi ultimi non si possono fare grandi cose). La distruzione totale degli edifici della Prefettura di Saint Martin da parte del ciclone Irma, mostra soprattutto che anche lo Stato francese non e’ capace di decidere di costruire un edificio resistente ad un ciclone del genere, pur se questo e’ tecnicamente possibile e che la sua durata di vita renderebbe molto probabile che debba far fronte almeno ad un ciclone di categoria 4 o 5. Ora, le evoluzioni attuali mostrano un aumento degli abitanti vicini alle coste marine e quindi vulnerabili a questi cicloni.
Perche’ il rischio ciclonico non cresca con il cambiamento climatico, ci vorra’ quindi una sorta di miracolo socio-politico: le societa’ minacciate facciano tutte delle vigorose politiche di protezione, diminuiscano la loro vulnerabilita’ attraverso un abbandono generalizzato delle coste o con importanti investimenti negli edifici, si’ da proteggerli contro l’aggressione dei venti e delle acque. In breve, che esse siano anticipatrici, ben gestite, capaci di proteggere sia i poveri che i ricchi, senza elusioni come autorizzare costruzioni vulnerabili.
E’ quindi ragionevole dirsi che l’attenuazione di questa minaccia dagli effetti delle emissioni di gas ad effetto serra, e’ una necessita’ complementare dei politici per adattarsi a questo rischio che non sta per niente scomparendo.

(articolo pubblicato sul quotidiano Le Monde del 21/09/2017)
 
 
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