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Gestire la crisi, mantenere e rivendicare i diritti ottemperando ai doveri. Verso la ‘Non-fase’
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Articolo di Vincenzo Donvito
5 maggio 2020 20:42
 
Ne scriveranno i libri di storia, forse così come noi oggi leggiamo della peste nera del XIV secolo o di quella milanese del XVII o della spagnola del XX. Per noi italiani più quella milanese, visto che a tutti a scuola, più o meno, hanno fatto imparare a memoria qualche pagina dei “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni.
Ora dobbiamo capire come tramandare l’oggi al futuro, senza farci male.

Gestire la crisi
Gestire con equilibrio e razionalità le emozioni del Paese è uno dei compiti più complicati di questa Fase. Molto diversa dalla strategia del terrore usata per tenere gli italiani a casa durante i giorni bui della Fase precedente, con la caccia all’untore in opera per settimane e settimane, ora attenuata.
E la si deve gestire in un contesto in cui in tre mesi di confino il presidente del Consiglio, ministri, sottosegretari, consulenti, comitati tecnico-scientifici e “task force” non sono stati in grado, o forse non sono riusciti a trovare il tempo, di raggiungere un accordo su cosa si debba intendere, in un testo di legge, con il concetto di “amico”, abbandonandosi al freddo e burocratico “congiunto”.
Gestione in cui si è affermata quella nuova fonte del diritto, agognata da tutti ad ogni nuova emissione di un Dpcm, che viene chiamata FAQ (Frequently Asked Questions), di un Governo guidato da - come si è definito lui stesso - l’avvocato del popolo che, in una intervista l’altro giorno al quotidiano “La Stampa” ha sostenuto anche di essere un “cittadino di buone letture”.

Si dice che la crisi dovrà essere gestita come dopo la fine della seconda guerra mondiale, nella metà del secolo scorso, l’età del boom, quando si passò dal giorno alla notte, in modo preciso, con un prima e un dopo. Ma oggi sembra che così non sia: il confino (quello che alcuni continuano a chiamare quarantena) stretto è finito… ma la paura di morire resta. Anzi: 1. Sono stati effettuati i tamponi in modo diffuso? No. 2. Sono state effettuate le indagini sierologiche in modo diffuso? No. 3. Sono attive le applicazioni (app) per la mappatura? No. 4. Sono state effettuate indagini statistiche sulla presenza del Coronavirus? No. E forse la paura sale pure di intensità: la alta circolazione di persone, mezzi, merci, potrebbe far aumentare il rischio, e si moltiplica la necessità di protezione e cautela.

Poi ci sono gli amministratori locali di due tipi: a) quelli che promulgano ordinanze restrittive, mettono off limits i loro territori, invitano a segnalare i disobbedienti delle seconde case, rispondendo in qualche modo all’ansia di ampie fasce della popolazione. b) gli altri, essenzialmente governatori di Regione che, al contrario, cercano di forzare i provvedimenti restrittivi della “Fase 2”, per venire incontro in modo diverso alla stessa ansia: parlano di biciclette, pesca, manutenzione delle barche, sempre seconde case ma raggiungibili, sperando di sollecitare un ritorno alla “normalità” almeno psicologico.

Come si rimette in movimento un Paese dopo averlo terrorizzato per due mesi a reti unificate, politica unificata, virologi unificati? Difficile compito per chi governa e per chi dice di fare l’opposizione. Ché entrambi hanno partecipato a questo gioco, forse credendo di rafforzare posizioni politiche traballanti o forse perché “così fan tutti”.
Il governo, che si è rafforzato con l’epidemia (cancellati dall’agenda gli appuntamenti elettorali e dibattiti parlamentari che solo ora timidamente stanno riprendendo) ha un bel dire “arrivano i soldi”, “misure mai viste prima”, “bazooka economico”. La paura è paura. Dopo due mesi di bollettini tv di morte, dopo i film dei camion militari con le bare, le riprese più o meno clandestine di agonizzanti in terapia intensiva, l’ecatombe dei medici e degli infermieri, i tantissimi spot quotidiani sul mostro in agguato, dire “tornate a produrre, tornate normali”, non è cosa facile.
La psicoterapeuta Costanza Jesurum ha delineato bene la questione sul suo blog. Lo stallo economico che tutti paventano, scrive, “potrebbe arrivare dai comportamenti dei singoli”. Con un possibile rialzo del tasso di contagio, “hai voglia ad aprire le frontiere, a mandare la gente al mare, o nei ristoranti: la gente non ci va”. Ed hai voglia a dire fabbriche a pieno ritmo, lavori riattivati, attività riaccese, spendete, consumate: al primo focolaio, al primo incremento dei malati, non serviranno neanche le ordinanze per cambiare registro. Le persone si rifugeranno in casa, e buona notte. Il virus, scrive la Jesurum, attaccando i corpi attacca i comportamenti economici: in questo momento è più potente di ogni ragionamento sui bilanci famigliari o sul Pil.

Dopo i virologi forse il governo ha bisogno di qualche psicologo sociale: la paura non va via con un’ordinanza, i grandi traumi collettivi si producono con facilità ma sono complicati da superare.
A tutto questo aggiungiamo che, mentre molti governi in Europa e in tutto il mondo sono stati miopi nell’affrontare la situazione, in Italia ci sono due elementi in più che hanno pesato ed appesantito: burocrazia e retorica.
Il rischio? Che il nostro Paese si trasformi in una società assistenzialista diffusa come la Grecia dopo la crisi o, peggio, in uno di quei Paese di socialismo reale modello secondo millennio (gli ammiccamenti e le fusa alla Cina sono costanti in buona parte del governo e – dopo la massiccia campagna pubblicitaria in cui i figli di Mao, i medici cubani e i soldati russi venivano presentati come salvatori – della popolazione).

I cittadini impauriti, con diritti e doveri
Riguardo ai doveri, i cittadini hanno dato ampia dimostrazione di cosa sono capaci di fare. Mai visto un Paese così “ordinato” e “doveroso”. La paura? Anche. Capiremo col tempo quanto il mix paura-consapevolezza penda da un lato piuttosto che dall’altro.
Forse per qualcuno che aspira a governare col “bastone e la carota” non sarà importante, e quindi che si tratti di paura o di consapevolezza poco importa. Dipende dai punti di vista. Ché un domani non lontano “l’avvocato del popolo e cittadino di buone letture” e il suo governo e gli attuali legislatori e amministratori, avranno i loro successori. E perché siano scelti da cittadini consapevoli (e siano loro stessi consapevoli) occorre che abbiano potuto vivere metabolizzando la paura con forti dosi di consapevolezza. C’è una medicina per questo? Sono gli anticorpi che ognuno ha dentro se stesso, alimentati da informazione e curiosità: quelli che si sviluppano nel continuo gioco armonioso di diritti e doveri, dove i primi sono funzionali ai secondi e viceversa; dove gli uni non sono messi in disparte a vantaggio degli altri. Questo può verificarsi solo se non si abbassa il livello di attenzione e di guardia sui diritti: “ma come, in un momento come questo mi rivendichi il diritto ad amare anche chi non è parte della tua famiglia biologica?”. Sì, va rivendicato, come il diritto a non ricevere una multa ingiusta o a non vedersi restituire i soldi per un viaggio che, prenotato e pagato, non si è potuto fare, o a non restare senza giudice in un momento fondamentale della propria vita (7), etc etc
Così, forse, potremo affrontare meglio la crisi in corso e tutte le future crisi, di qualunque tipo.
 
 
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