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Emissioni mondiali CO2 di nuovo in crescita
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Articolo di Redazione
13 novembre 2017 12:06
 
 Dietro le promesse di de-carbonizzazione dell’economia, il greenwashing e le parole politiche, la realta’ e’ sempre la’, spietata. Dopo tre anni di stagnazione, le emissioni umane di diossido di carbone (CO2) sono ricominciate a crescere nel 2017, rovinando le speranze di vedere l’umanita’ ad iniziare la diminuzione delle sue emissioni. E’ la maggiore constatazione che si evince dai lavori pubblicati oggi 13 novembre sulla rivista Earth System Science Data, dal consorzio scientifico Global Carbon Project (GCP) che stila, ogni anno dal 2006, il bilancio delle emissioni mondiali di CO2. La pubblicazione dovrebbe fare da stimolo per ricordare ai delegati degli Stati che partecipano alla Convenzione quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici, riunita per la COP23 a Bonn, in Germania, fino al 17 novembre.
Secondo le proiezioni del GCP, l’anno in corso dovrebbe chiudersi con un totale di circa 41 miliardi di tonnellate di CO2 emesse dalla combustione di risorse fossili, attivita’ industriali e uso dei territori -essenzialmente deforestazione. Cioe’ un bilancio in crescita del 20% rispetto all’anno precedente. Gli autori sottolineano che il principale motivo di questa crescita -che mette fine ad un ritmo di tre anni- e’ il nuovo inizio delle emissioni cinesi, in crescita del 3,5%, prodotte da una crescita economica stimata intorno al 6,8%. “La crescita delle emissioni nel 2017 e’ fondata sull’aumento progettato del consumo cinese di carbone (+3%), di petrolio (+5%) e di gas naturale (+12%), secondo gli autori.
Pechino e’, piu’ che mai, il primo in assoluto ad emettere CO2: 10,2 GtCO2. Cioe’ piu’ di un quarto delle emissioni mondiali sono cinesi. A seguire ci sono gli Usa (5,3 GtCO2), l’India (2,4 GtCO2), la Russia (1,6 GtCO2), il Giappone (1,2 GtCO2), la Germania (0,8 GtCO2), e l’Iran… Nel suo insieme, l’Unione europea e’ in terza posizione, con 3,5 GtCO2.
Creare fiducia
I dati raccolti dagli scienziati del GCP suggeriscono inoltre che la dissociazione tra crescita economica e crescita delle emissioni di carbone, sia possibile: nel corso del decennio 2007-2016. ventidue Paesi che rappresentano un quindo delle emissioni mondiali hanno anche visto le loro produzioni di CO2 decrescere a tutto vantaggio della crescita della loro economia. Siamo ancora lontani, pero’, da una generalizzazione di questa situazione. Nel corso degli ultimi dieci anni e nella maggior parte dei casi -per 101 Paesi che rappresentano la meta’ delle emissioni- far salire il prodotto interno lordo comporta meccanicamente la produzione di CO2.
“Nonostante la crescita del 2017, e’ poco probabile che le emissioni mondiali ritornino a dei tassi di crescita elevati nel tempo, che si sono osservati durante gli anni 2000 con degli aumenti di piu’ del 2% all’anno. E’ piu’ probabile che le emissioni vadano a stabilizzarsi, si pensa leggermente, grosso modo rispetto agli impegni nazionali previsti nel quadro degli accordi di Parigi”. Nel contempo, questi impegni sono ancora ben lungi dal mettere l’atmosfera terrestre sulla traiettoria dei 2 gradi di riscaldamento.
Una settimana prima dell’inizio della COP23, un’altra sintesi, supervisionata in questo caso dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (PNUE), giudicava insufficienti gli impegni nazionali presi a fine 2015 per contenere il riscaldamento sotto la soglia dei 2 gradi. Supponendo che i 195 Stati firmatari dell’accordo di Parigi rispettino l’integralita’ delle loro promesse, il Pianeta si incammina verso un aumento del termometro di almeno 3 gradi alla fine del secolo, dicono gli esperti dell’ONU.
A Bonn, le delegazioni dei Paesi in via di sviluppo, aspettano quindi che i Paesi ricchi, grandi emettitori di gas ad effetto serra, perche’ rinfocolino le loro ambizioni climatiche, ma anche perche’ rispettino le parole date. Durante la prima settimana di negoziati e’ essenzialmente riemersa la questione degli obiettivi fissati nell’ambito del protocollo di Kyoto, che esigevano degli sforzi di riduzione di emissioni solo degli Stati sviluppati. Ora, numerose regioni del Nord, a cominciare dall’Unione Europea, non hanno sempre ratificato il secondo periodo di impegno di Kyoto, che va da gennaio 2013 a dicembre 2020.
“Se non rispettiamo le decisioni prese, come creare fiducia, e come dare una buona base all’applicazione dell’accordo di Parigi?”, ha sottolineato il negoziatore cinese Chern Zhihua, molto a suo agio nell’affrontare la materia dopo che la Cina, diventata in seguito il primo emettitore di gas ad effetto serra, rimane valutata come una nazione emergente, non sottomessa quindi alle decisioni di Kyoto. Il sostegno finanziario agli Stati piu’ vulnerabili e’ l’altro argomento di tensione della COP23, che ha avviato i suoi lavori con la presidenza di un Paese esso stesso colpito dai cambiamenti climatici, le isole Fiji.

(articolo di Simon Roger e Stéphane Foucart, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 13/11/2017)

 
 
 
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