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Columbus Day - Cosa non mangeremmo senza Cristoforo Colombo
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Articolo di Redazione
12 ottobre 2020 10:31
 
 “Pensare locale per agire globale”. È un po’ questo il significato della biodiversità, della storia e delle tradizioni di cui noi italiani ci fregiamo spesso. Esattamente l’inverso di quello che insegnano nella scuola di marketing dove il pensiero è globale per un intervento locale. Una sfida che coinvolge in prima linea l’Italia concentrata sulla valorizzazione del made in Italy e in cui le energie si focalizzano sul racconto delle tradizioni. In un sistema fluido dove tutto è diventato globale, anche la cucina non è estranea agli scambi perché è essa stessa portatrice di cultura e Cristoforo Colombo è stato il primo vero importatore, fondamentale per il nostro bagaglio culinario.

528 anni fa Colombo approdò in quello che è stato poi definito il Nuovo Mondo, le Americhe. Quando il navigatore ed esploratore genovese tirò su l’ancora il 3 agosto 1942 aveva 41 anni ed era convinto dei suoi calcoli, o meglio, aveva persuaso i reali di Spagna affinché finanziassero il suo viaggio ritenuto da tutti folle. Lui proponeva di salpare da Occidente, attraversare l’Oceano Atlantico, l’unico ai tempi conosciuto, e arrivare in Giappone, l’Oriente estremo, per poi avanzare in India e in Indonesia, nelle isole delle spezie, dei medicinali naturali e dei tessuti, che all’epoca avevano un potenziale economico equivalente al petrolio arabo. Credette di toccare la terra del Sol Levante diverse volte, prima facendola coincidere con le Bahamas, poi con Cuba e Haiti. Lui morì nel 1506 portandosi nella tomba il suo più grande rimpianto: la mai raggiunta Asia. Questo fallimento, però, resta nell’immaginario collettivo come una delle più grandi avventure di tutti i tempi nonostante oggi le statue in suo onore vengano fatte cadere come olive nella fase di bacchettatura e si rinneghi la festa federale del 12 ottobre a favore dell’Indigenous People Day.

La storia tributa a Colombo diversi primati, dal rinnovamento della rappresentazione del mondo sulle carte geografiche all’inaugurazione del filone della letteratura di viaggio ma sappiamo tutti che l’America è un doppio dell’Europa, una sua proiezione che rappresenta l’idea di rinascita e di rinnovamento e, non a caso, molte delle città qui fondate iniziano con il termine New. Paradossalmente restiamo ancora di stucco nell’apprendere che molti cibi della nostra tradizione gastronomica italiana non provengono dalle nostre regioni bensì da Oltreoceano ed è stato proprio Cristoforo Colombo, o meglio, il passaggio dall’Età Medievale all’Età Moderna a scoprire tutti questi alimenti, assolutamente ignoti a noi che al secolo non eravamo ancora italiani.

Uno su tutti il pomodoro, tra i cardini della dieta mediterranea, che in Italia vanta più di 5000 specie per forma, grandezza e colore, è in realtà originario del Sud America. Il tacchino, invece, era addomesticato dagli Aztechi mentre nel Vecchio Continente il consumo della carne era molto ridotto. L’antico nome del mais era mahiz per gli indigeni a Hispaniola e arrivò a noi come granturco, parola esegetica per identificare un prodotto esotico, forestiero, che veniva da lontano. Nell’America tropicale si coltivavano l’ananas, molto apprezzata dallo stesso Colombo e oggi frutto immancabile sui banchi del mercato, e il peperone, ortaggio ormai ben adattato al clima caldo del nostro Sud. Quest’ultimo è stato, altresì, annotato nei diari di Colombo come “aji” toponimo che lo caratterizza in qualità di spezia ad Haiti. Suo diminutivo, il peperoncino, arrivò sempre come spezia con le varietà di Scotch Bonnet o Habanero, una pianta inizialmente incompresa e usata a scopo ornamentale. Originaria delle regioni andine del Sud America è anche la patata, un ingrediente povero, giunto qui alla metà del ‘500, la cui coltivazione si è ben radicata da noi a partire dal XVI secolo. La zucca ebbe successo in Spagna e in Portogallo prima di familiarizzare con i palati degli altri Paesi e la sua testimonianza più longeva è in Messico. Sconosciuti prima della scoperta dell’America erano pure i fagioli, nonostante alcune varietà fossero diffuse in Asia e in Africa. Ha origini antichissime la storia del cacao a cui Maya e Aztechi attribuivano proprietà afrodisiache oltre a essere classificato come bene di lusso nell’America centrale pre-colombiana.
È vero che la storia americana si fonda sulla bugia, ma è giusto dare a Colombo quel che è di Colombo.

(articolo di Andrea Martina Di Lena, su Linkiesta del 12/10/2020)
 
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