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Cannabis ricreativa. La sfida della legalizzazione in California
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Articolo di Redazione
1 gennaio 2018 19:20
 
 A Berkeley e’ tutto pronto. Alle 6 di mattina del 1 gennaio, il Sindaco Jesse Arreguin taglia il nastro: le vendite di marijuana potranno cominciare nel negozio del Berkeley Patients Group (BPG) sulla San Pablo Avenue. Un momento “storico” secondo il proprietario del dispensario, Sen Luse, che e’ impegnato per la legalizzazione della cannabis da venti anni e che ha conosciuto gli alti e bassi della lotta contro il divieto del 1915: le prime prescrizioni di marijuana medica, nel 1996, la brusca repressione durante la presidenza di George W, Bush, nel 2004, e la grande liberalizzazione degli anni di Obama.
Sean Luse si aspetta una fila che fara’ “il giro dell’isolato”. Il negozio ha installato dei distributori automatici di canne gia’ pronte. E’ previsto un “kit del principianti” per i neofiti che vogliono provare le diverse varieta’ (Indica, Sativa, etc.). Sara’ necessario pagare in contanti. Il settore bancario esita sempre ad impegnarsi in un commercio che resta illegale a livello federale. Cosi’ come le assicurazioni: 44 delle molteplici piantagioni illegali del “triangolo di Smeraldo” nel nord della California hanno gia’ fatto la loro esperienza. Devastate dagli incendi di ottobre, non hanno alcuna speranza di riscuotere rimborsi.
La legalizzazione della marijuana -coi suoi derivati esotici, minestre, elisir- e’ diventato pressocche’ un fatto comune in Usa. Sette Stati l’hanno gia’ approvata. Ma per la sua importanza (39 milioni di abitanti), il Golden State da’ una dimensione “irreversibile” ad un movimento lanciato dal Colorado, primo Stato ad aver fatto il passo, il 1 gennaio 2014. A partire dal 1 gennaio 2018, un americano su cinque vive in uno Stato che autorizza il consumo a fini ricreativi. Solo un pungo di Stati, nel Sud repubblicano, resistono alla tendenza e vietano anche la marijuana terapeutica.
Un’oncia e sei piante
Il mercato, nello Stato piu’ popolato degli Usa, si annuncia colossale. Le stime prevedono vendite annuali per 7 miliardi di dollari (5,8 miliardi di euro) entro il 2020, cioe' piu’ del giro d’affari dell’industria casearia e anche della raccolta delle mandorle e dei pistacchi, i fiori all’occhiello dell’economia locale. Affatto sereno di dover vedere circolare cosi’ tanto cash nello Stato (le aziende trasferiscono i loro sacchi di denaro contante in furgoni blindati fino agli uffici dove si pagano le imposte), l’ufficio del governatore Jerry Brown ha preso contatto coi rappresentanti di 65 banche ed istituti di credito per cercare di eludere l’ostacolo federale.
La legalizzazione e’ il risultato della approvazione da parte degli elettori della Proposition 64, a novembre del 2016, con una maggioranza del 56%. L’amministrazione californiana ha avuto un anno per prepararsi. Ci sono stati dei ritardi e un po’ di pasticci. La regolamentazione e’ stata pubblicata solo a novembre 2017: prevede che gli adulti possano comprare un’oncia (28,3 grammi) e coltivare sei piante a domicilio. Soprattutto, chiede che le coltivazioni siano autorizzate dalle specifiche amministrazioni comunali. Risultato: confusione in seno ai consigli comunali, che hanno fatto apparire una realta’ contrastata. Siccome e’ stato il primo Stato a legalizzare la marijuana terapeutica, la California, bastione progressista, ha tirato le fila per l’autorizzazione del mercato ricreativo.
Fino a giovedi’ 28 dicembre, solo 42 autorizzazioni erano state concesso dallo Stato, 150 erano in esame e gli impiegati dell’ufficio del controllo della cannabis prevedevano di lavorare tutto il week-end per smaltire le pratiche. Los Angeles non e’ pronta il 1 gennaio e a San Francisco l’apertura del primo negozio avverra’ solo il giorno 5, e con dei permessi temporanei di 120 giorni.
Solo una minoranza delle collettivita’ locali (27%), rispetto alle 500 dello Stato, ha approvato la vendita libera sul proprio territorio. Le localita’ senza un soldo dell’interno e le “desert towns” della California del Sud, hanno dato il loro via libera, allettatati dalla manna fiscale (dal 7 al 9% per le vendite, con un 15% in piu’ per la tassa federale). Al contrario, le comunita’ asiatiche si sono rifiutate. Proprio come Palo Alto, dove ha sede l’Universita’ di Stanford. Anche nella contea di Marin, a nord della baia di San Francisco, il luogo di nascita della festa della cannabis -il 20 aprile- i vecchi araldi della contro-cultura si sono opposti ai negozi di canne.
Sembra che la California si sia fatto carico delle ingiustizie provocate dagli anni della repressione. Secondo l’associazione NORML, impegnata sul fronte dell’abrogazione del divieto, 2,7 milioni di arresti legati alla marijuana sono stati fatti tra il 1915 e il 2016. Secondo l’Unione Americana per le Liberta’ Civili (ACLU), i negri hanno quattro volte in piu’ di possibilita’, rispetto ai bianchi, di essere arrestati per possesso di cannabis, anche se ne consumano meno.
Causa popolare
A guisa di “riparazione”, secondo l’espressione dei militanti, diverse localita’, tra cui San Francisco e Los Angeles, hanno organizzato dei programmi “di equita’”. L’idea e’ nata a Oakland, il luogo storico delle rivendicazioni afro-americane. Dalla primavera, la citta’ ha deciso di riservare la meta’ delle autorizzazioni per le piantagioni alle vittime della “guerra contro la droga”. Condizioni: essere stati condannati per un crimine legato alla marijuana, avere dei redditi di meno dell’80% della media locale, essere stato residente per almeno 10 degli ultimi venti anni in un quartiere in cui c’e’ stato un alto numero di arresti. Centotrenta persone hanno fatto richiesta di usufruirne.
Il Comune di Oakland ha anche incoraggiato i ricchi investitori ad associarsi con delle vittime se questi ultimi volevano ottenere un’autorizzazione per la coltivazione. L’industria della cannabis ha bisogno di notevoli capitali, che sono fuori della portata dei giovani dei quartieri poveri. Occorre assicurare la tracciabilita’ di ogni passo, installare un sistema di videosorveglianza, controllare con dei test i raccolti per l’eventuale presenza di pesticidi, assumere agenti di sicurezza per i trasferimenti.
Da un anno a questa parte, l’amministrazione Trump invia dei segnali contraddittori. Il ministro della Giustizia, Jeff Sessions, ripete regolarmente che lui si oppone al mercato libero e che non ha perduto la speranza di avere un risultato. Fino ad oggi, il Congresso ha preferito pelare altre gatte, nonostante che la legalizzazione sia una causa popolare presso i libertari e che il 64% della popolazione americana vi e’ favorevole, secondo il sondaggio effettuato da Gallup a partire dal 1969 (12% all’epoca, 36% nel 2006). Nel 2017 la percentuale di repubblicani che sosteneva la normalizzazione ha oltrepassato per la prima volta il 50%.
La legalizzazione fa riferimento a due disposizioni, fragili, ma che testimoniano la flessibilita’ del federalismo americano. La prima e’ un memorandum (“Cole Memo”) dell’agosto del 2013, nel quale il vice-ministro della Giustizia di Barack Obama, James Cole, raccomandava ai procuratori federali di non perseguire le singole persone o le aziende in virtu’ di una serie di principi che aveva esplicitato -divieto di vendita ai minori, non oltrepassare i confini con Stati non favorevoli alla legalizzazione, divieto di consumo sui territori federali, nessuna ricaduta sui profitti di bande di criminali o cartelli… Non e’ stata ufficialmente abrogata, ma diversi procuratori non la applicano piu’. La seconda e’ un emendamento, chiamato Rohrabacher-Farr, che impedisce ai procuratori federali di destinare risorse per il perseguimento di queste questioni. L’emendamento, che e’ del maggio 2014, e’ stato discretamente riconfermato il 22 dicembre quanto Donald Trump ha firmato la legge di bilancio suppletivo. I sostenitori della marijuana possono quindi approfittare della festa del 1 gennaio.

(articolo di Corine Lesnes, corrispondente da San Francisco, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 31/12/2017)
 
 
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