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Cambiamento climatico: una bomba a scoppio ritardato
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Articolo di Redazione
21 novembre 2018 9:36
 
 Il 6 agosto del 1945, con il lancio della bomba atomica su Hiroshima, l’umanità comprendeva di disporre della capacità di autodistruzione. Il fatto che questa minaccia sia ben chiara ci ha permesso di riuscire ad addomesticarla facendo emergere una consapevolezza mondiale che, dopo tre quarti di secolo, è riuscita ad evitare l’apocalisse.
Oggi, un pericolo di uguale grandezza mette in discussione il futuro del Pianeta: il cambiamento climatico. A differenza della distruzione nucleare, si tratta di una bomba a scoppio ritardato, i cui effetti, più diluiti nel tempo, danno la sensazione ad alcuni che si tratti di un pericolo immaginario e ad altri che c’è tutto il tempo per affrontare la questione. La quasi totalità dell’umanità è così immersa in una sorta di negazione, più o meno scontata, che sta rimandandone le soluzioni, che si scontrano frontalmente coi nostri modelli di vita.
Eppure ne sono già coinvolti. Uno studio, pubblicato il 19 novembre sulla rivista Nature Climate Change, aggiunge nuovi elementi sull’ineluttabilità e ampiezza del disastro. Una ventina di ricercatori internazionali dimostrano il degrado della vulnerabilità dell’umanità di fronte al rischio climatico ed hanno analizzato 467 forme di impatto sulle nostre vite quotidiane, in materia di sanità che alimentazione e accesso all’acqua, di economia, di infrastrutture e di sicurezza.
La sua originalità è nel mettere in prospettiva l’aspetto cumulativo dei flussi intrapresi dalla deregolamentazione climatica a partire da migliaia di dati sociali, economici o geografici pubblicati dopo gli anni 1980.
Fino ad oggi, molti lavori si sono limitati ad esaminare separatamente le conseguenze di questa alea. Questo studio ha il merito di mettere in evidenza la concomitanza e l combinazione dei rischi coi quali dobbiamo confrontarci grazie ad un approccio multidisciplinare.
Dalla nostra capacità di ridurre le emissioni ad effetto serra dipende il nostro futuro. Purtroppo, la consapevolezza si scontra con lo scetticismo climatico che ha continuato ad essere tale da diversi anni grazie alle industrie legate all’energia fossile. Il fenomeno ha finito per diffondersi nell’opinione pubblica grazie a movimenti politici che hanno fatto della contestazione scientifica una loro caratteristica ideologica.
Una negazione permanente
Ma credere che lo scetticismo climatico è sempre l'altro, è una facile approssimazione che impedisce di comprendere appieno la difficoltà del compito che ci attende.
Come dice il filosofo australiano Clive Hamilton, siamo tutti scettici sul clima a livelli diversi, nella misura in cui non accettiamo né “la verità su ciò che abbiamo fatto subire alla Terra” né il cambiamento radicale di vita che ci viene imposto dal cambiamento climatico, e ancora meno la rimessa in discussione del principio di modernità e di un progresso lineare sempre più ingeneroso.
E’ la negazione permanente che ha condotto Nicolas Hulot alle sue dimissioni del 28 agosto da ministro dell’Ecologia (ndr. del governo francese), ritenendo che la strategia “dei piccoli passi” per preservare, costi quel che costi, “un modello economico che è causa di tutti i problemi climatici”, conduce ad una impasse mortifera.
Quanti studi come quello pubblicato da Nature Climate Change, e quante catastrofi con effetti devastanti, ci vorranno per rendersi conti che il costo della non-azione è molto superiore a quello della lotta contro i cambiamenti climatici? E’ pertanto urgente che emerga una consapevolezza identica a quella che si è forgiata sulla minaccia nucleare: l’umanità è all’origine di quello che la può distruggere. La Conferenza delle Nazioni Unite (COP24), che comincia il 2 dicembre a Katowice, in Polonia, sarà una nuova occasione per tentare di riprendere in mano il nostro destino ed evitare l’irrimediabile. Una volta di più.

 L’immagine è la veduta aerea, il 16 novembre scorso, della più grande cartolina postale del mondo, installata sul ghiacciaio di Aletsch (Svizzera), per sensibilizzare i partecipanti alla COP24 sul cambiamento climatico.

(editoriale del quotidiano Le Monde del 20/11/2018)
 
 
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