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Cambiamenti climatici e coltivazioni cereali: allarme sul calo
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Articolo di Redazione
1 settembre 2018 15:50
 
  Gli scienziati non smettono di dare l’allerta: il clima ha un impatto sugli alimenti che noi coltiviamo. Uno studio pubblicato dalla rivista Science il 30 agosto, rivela che il cambiamento climatico dovrebbe diminuire i rendimenti dei raccolti di cereali. Un’équipe diretta da alcuni scienziati dell’Università di Washington, del Colorado e del Vermont, fa sapere che l’attività degli insetti parassiti delle coltivazioni è in crescita con l’aumento delle temperature. Lo studio si basa su 38 specie, tra cui l'afide, il trivellatore e il verme del riso.
“Le perdite dei raccolti per tre cereali di base -riso, mai e grano- sono in aumento in virtù del fatto che il clima è più caldo, dice Scott Merrill, ricercatore all’Università del Vermont e coautore dello studio. Il calore, aumentando il tasso metabolico e la crescita delle popolazioni di insetti dannosi, fa sì che le coltivazioni subiscano un’accresciuta pressione dei parassiti”.
Le regioni tropicali meno toccate
Per arrivare a queste conclusioni, l’équipe ha analizzato i dati raccolti dagli anni 1980 a partire da esperienze di laboratorio sui tassi di metabolismo e di riproduzione degli insetti. Contrariamente ai mammiferi, gli insetti sono ectotermi, e questo significa che la loro temperatura corporale varia in funzione di quella del loro ambiente. Nello stesso tempo, la temperatura dell’aria influenza il loro consumo di ossigeno, i loro bisogni calorici e quindi il tasso metabolico. “Più la temperatura è alta, più il loro appetito aumenta -constata Scott Merrill-, fatto che è devastante per le coltivazioni”.
Il legame tra la crescita di questa popolazione animale è nello specifico più complesso. Esiste in eftetti una temperatura animale alla quale gli insetti si sviluppano meglio. Se fa troppo caldo o troppo freddo, la popolazione aumenterà più lentamente. Motivo per cui per perdite delle coltivazioni saranno maggiori nei Paesi temperati che non ai tropici. “Le regioni temperate non hanno raggiunto questo optimum, per cui se la temperatura aumenta in questi ambiti, le popolazioni andranno a crescere più rapidamente -precisa Merrill-. Nei tropici, gli insetti sono già vicini alla loro temperatura ottimale, le popolazioni quindi diminuiranno; ci sarà, in pratica, troppo caldo per questi animali".
I ricercatori hanno anche esaminato come gli insetti dannosi reagirebbero nel quadro di diversi scenari climatici. Secondo loro, le perdite delle coltivazioni potrebbero aumentare dal 10 al 25% in base ai gradi di riscaldamento. Un aumento della temperatura media mondiale di due gradi, porterebbe alle perdite del 31% di mais, 19% di riso e 46% di grano. In queste condizioni le perdite annuali totali delle coltivazioni si attesterebbero rispettivamente sui 62, 92 e 59 milioni di tonnellate. Questa proiezione costituisce “lo scenario meno allarmista -precisa Curtis Deutsche, ricercatore all’Università di Washington e principale autore dello studio-. Le temperature potrebbero aumentare da 2 a 5 gradi da qui alla fine del secolo”.
“I ricercatori americani hanno utilizzato dei dati deboli e molto semplici -stima Simon Fellous, ricercatore dell’INRA-. I loro risultati fanno parte di quelli generali che ci ricordano come le modifiche indotte dagli umani, rischiano di stravolgere drasticamente la nostra alimentazione”.
Cina, Usa e Francia, che producono la maggior parte di mais, grano e riso, figurano tra i Paesi che dovrebbero subire le peggiori perdite, secondo Merrill, ma “la Francia subirà un colpo doppio in quanto grande produttrice di mais e grano”. La riduzione dei rendimenti di queste tre coltivazioni è particolarmente preoccupante perché, secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, esse sono coltivazioni di base per 4 miliardi di persone e rappresentano di conseguenza i due terzi del loro apporto energetico.
Gli agricoltori e i governi potrebbero cercare di ridurre l’impatto della proliferazione di insetti utilizzando la rotazione delle coltivazioni o cercando di produrre dei cereali resistenti ai parassiti, stimano gli autori dello studio. Ma queste modifiche rischiano di avere bisogno di tempo e non sono accessibili da tutti i Paesi.
“Ci sono molte cose che i Paesi più ricchi possono fare per ridurre gli effetti negativi, sviluppando strategie di lotta integrata contro i parassiti -spiega Merrill-. Ma i Paesi più poveri, che dipendono da queste coltivazioni come cereali di base, avranno maggiori difficoltà”. La lotto contro questo flagello rischia quindi di far ancora crescere un po’ di più l’ineguaglianza tra i Paesi di fronte al cambiamento climatico.

(articolo di Clémentine Thiberge, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 01/09/2018)
 
 
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