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Ambiente, clima e città
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Articolo di Redazione
20 gennaio 2023 15:26
 
Il pianeta si sta rapidamente urbanizzando e aumentano di numero e dimensioni le grandi megalopoli, cresciute rapidamente e disordinatamente. I grandi complessi urbani, osserva Massimo Livi Bacci, sono forti consumatori di energia, e produttori di gas serra e di inquinamento, generando, inoltre, problemi specifici per la salute. Il loro governo riveste una grande importanza in questa complessa fase di cambiamento climatico.

Nel 2007, secondo le stime delle Nazioni Unite, la popolazione urbana del mondo aveva superato quella rurale e nel 2022 è già pari al 57% del totale, e in ascesa. In molti paesi sviluppati, la popolazione classificata come “urbana” supera l’80 per cento, e le proiezioni indicano che almeno altri due miliardi di persone vivranno, verso la metà del secolo, in contesti urbani. Due o tre secoli fa, in Europa, il continente più urbanizzato del mondo, non più di un decimo della popolazione viveva in centri con più di 10.000 abitanti, in una rete insediativa a maglie molto grandi, e debole impronta ecologica. Ma lo sviluppo ha cancellato quasi ovunque questo tipo di urbanizzazione. 

Città, megacittà e i pericoli per la salute
Una parte crescente della popolazione urbana vive oggi in conurbazioni molto estese e dai confini incerti. Le cosiddette “megacittà”, agglomerati con oltre 10 milioni di abitanti, che erano 2 nel 1950, sono cresciute a 10 nel 1990 e a 33 nel 2018; le grandi città, tra i 5 e i 10 milioni, che erano 21 nel 1990, sono più che raddoppiate a 48 nel 2018, mentre le città da 1 a 5 milioni di abitanti (“piccole” nella terminologia internazionale) sono passate da 239 a 467 (Figura 1)1.
La concentrazione demografica nelle aree urbane non è, di per sé, un fatto negativo. L’umanità è essenzialmente gregaria e tende a vivere in spazi ristretti. La tendenza delle società a concentrare gli abitanti in spazi ristretti è antica e fondata su solidi presupposti: “dalle città più piccole alle enormi distese metropolitane con 30 milioni di abitanti o più, le società urbane rendono più facile trovare lavoro, beni, servizi, e soluzioni abitative…istituzioni educative, comunità artistiche e culturali, di svago” e di cura2. Ma il moderno processo di mega-urbanizzazione è stato compresso in pochissimo tempo, in modo disordinato e spesso anarchico, anche se occorre segnalare che il loro tasso di crescita  è andato moderandosi negli ultimi tempi. C’è, a quanto pare, un effetto “saturazione” che tende a frenarne la corsa.  Le conseguenze negative per l’ambiente riguardano soprattutto l’inquinamento dell’aria, con i ben conosciuti effetti perversi sulla salute, e quello delle acque, con effetti che si irradiano nell’ecosistema ben oltre il territorio delle megacittà, nonché con lo spreco o il degrado dello spazio. E siccome la crescita delle grandi conurbazioni, in specie di quelle costiere e rivierasche, è più veloce di quella della popolazione urbana (e ovviamente di quella rurale, che è stagnante o in declino) e questo divario crescerà ancora nel futuro, l’effetto negativo sull’ecosistema è destinato ad aggravarsi in assenza di robusti correttivi. Aumentano le emissioni di gas nell’atmosfera, che generano rischi per la salute e impongono pesanti costi economici e sociali. La dispersione di agenti inquinanti generati localmente nei territori circostanti, genera foschie e precipitazioni acide, danneggiando i raccolti e la salute. Uno studio su 27 megacittà, concludeva che queste, nel 2010, ospitando il 6,7% della popolazione mondiale, producevano il 13% dei rifiuti, consumavano il 10% dei carburanti e il 9% dell’elettricità3. (Figura 2).
 Un recentissimo studio, per esempio, informa che tra il 2000 e il 2019, l’aumento della concentrazione dell’ozono nella troposfera è responsabile di un sensibile aumento della mortalità per malattie respiratorie e cardiovascolari, particolarmente nelle aree peri-urbane e urbane (in queste ultime la concentrazione dell’ozono è cresciuta dell’11%)4.
Si presuppone che il riscaldamento globale avvenga con maggiore accelerazione nelle aree urbane, nelle “isole di calore” che in esse si generano. La Figura 3 è tratta dal rapporto dell’IPCC (International Panel on Climate Change), e riporta – allo stato attuale – le aree del globo secondo il numero di giorni nei quali la temperatura e l’umidità raggiungono livelli che generano “pericolo di morte” per le persone. Queste aree sono prossime al Golfo del Messico in America e alle regioni del Golfo di Guinea in Africa, e si estendono nell’Australia settentrionale e in quasi tutta la fascia meridionale dell’Asia, che è la regione del globo più densamente popolata e urbanizzata. Nei prossimi decenni è in queste regioni che il riscaldamento climatico creerà i maggiori rischi per la salute, ed è nelle città di queste regioni che l’azione di adattamento dovrà essere esplicata dai paesi interessati nella maniera più intensa e robusta. 
 Il rischio di catastrofi
Fin dalle origini dell’urbanizzazione gran parte delle città sono sorte in aree costiere, o rivierasche, che, per loro natura, sono più fragili ed esposte ad eventi catastrofici naturali. Uno studio delle Nazioni Unite5 ha esaminato la rischiosità di 1860 città (aree urbane) del pianeta con oltre 300mila abitanti (con una popolazione totale di 2,5 miliardi) classificate a seconda che si trovino a rischio di una o più catastrofi naturali (suddivise in sei categorie; cicloni, inondazioni, siccità, terremoti, frane ed eruzioni vulcaniche). Va detto che la valutazione della “rischiosità” è basata su analisi del tutto indicativ, per la scarsità dei dati di base. In ogni caso, l’analisi ha stimato che il 58% di queste città (in numero di 1087) sono “altamente esposte” ad una delle sei categorie di disastri, e il 16% (291) sono esposte a due o più di queste. La Figura 4 indica la % delle città che – per ciascun tipo di rischio –  possono subire alti livelli di mortalità e di perdite economiche. Si noti che il 37% delle città è a rischio di inondazioni; che il 76% di queste è suscettibile di patire gravi perdite in termini di decessi, e il 72% di queste in termini di danni economici.
 Sono ovviamente le città costiere e rivierasche, particolarmente quelle situate in territori a bassa elevazione sul livello del mare.
I processi di urbanizzazione continueranno, nei prossimi decenni, a coinvolgere una quota sempre maggiore degli abitanti del pianeta. Evitare che questi avvengano disordinatamente è un obbiettivo primario per moderare gli effetti negativi che essi esercitano sull’ambiente, sulla salute e, in fin dei conti, sul benessere delle popolazioni. 

Note
1. United Nations, World Urbanization Prospects, New York, NY, 2018, WUP2018-Highlights.pdf (un.org), p. 16
2. MIT,  Cities and Climate Change | MIT Climate Portal
3. C.A Kennedy et al., Energy and material flows of megacities, PNAS, May 12, 2015,| vol. 112, no. 19, pp. 5985–5990
4. D.A: Malshock e al., Global trends in ozone concentration and attributable mortality for urban, periurban, and rural areas between 2000 and 2019: a modelling study, The Lancet, Dicembre 2022, 6, 12.
5. Gu, Danan (2019). Exposure and vulnerability to natural disasters for world’s cities. United Nations, Department of Economics and Social Affairs, Population Division, Technical Paper No. 4.

(Massimo Livi Bacci su Neodemos del 20/01/2023)

 
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