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Alcool, proibizionismo e politica in Pakistan
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Articolo di Redazione
4 gennaio 2018 18:24
 
 Quel lunedi’, a Lahore, una serata tra amici quarantenni della buona societa’ musulmana. Una invitata suona alla porta, un dolce su una mano, una bottiglia di gin blu elettrico nell’altra, che viene messa insieme alla vodka e alla birra che sono su un tavolo basso, tutti con l’etichetta “made in Pakistan”. Comincia l’aperitivo. Non si fermera’ prima delle 2 del mattino perche’ l’intento e’ di ballare ed ubriacarsi. Quando finisce il carburante, una telefonata e’ sufficiente per far arrivare alla porta un fattorino. “Lo si fa spesso, talvolta anche piu’ volte alla settimana, a casa di uno o dell’altro. Abbiamo bisogno di divertirci”, spiega un altro ospite, che andra’ via titubante, con le chiavi della macchina in mano. Il Paese di 207 milioni di abitanti non fa controlli alcolemici per chi guida ne’ campagne di prevenzione. Il proibizionismo c’e’ dal 1977, quando, trent’anni dopo la fine del colonialismo inglese, il governo ha deciso di vietare l’alcool ai musulmani. Una legge che produce traffici di ogni tipo, come lo ricorda un fantastico incidente.
Tutto comincia ad ottobre dell’anno scorso, quando il primo segretario dell’ambasciata della Corea del Nord ha presentato una denuncia alla polizia pakistana per furto con scasso nella sua residenza di Islamabad. 3.000 dollari (circa 2.530 euro) e due diamanti sono spariti… Ma anche, e soprattutto, due casse di vino, un migliaio di bottiglie di whisky, 60 scatole di birra e due dozzine di bottiglie di tequila. Gli stranieri non musulmani, cosi’ come i cristiani, indu e zoroastri pakistani, cioe’ circa il 4% della popolazione e tra la piu’ povera, non sono toccati dal proibizionismo. Possono consumare alcool nei bar degli alberghi di lusso o acquistarlo nei negozi con delle quote massime annuali. Il furto al diplomatico nordcoreano, che va ben oltre i 140 litri di vino e di alcool pesante, e 240 litri di birra che sono la quantita’ per cui sarebbe autorizzato a consumare in un anno, era verosibilmente destinato a fornire il mercato nero, con un valore stimato in 150.000 dollari. Secondo il giornale Pakistan Today, che ha fatto conoscere la vicenda, quando si e’ saputo che i tre ladri erano poliziotti corrotti, il diplomatico tentò, senza successo, di cancellare la sua denuncia.
10 milioni di litri di birra
Il contrabbando e’ un sistema usato dalla Corea del Nord per far entrare valuta pregiata che altrimenti non avrebbe per le sanzioni economiche. “Le sanzioni impediscono alla Corea del Nord di commerciare normalmente, e questo fa pensare che usi il contrabbando in larga scala”, ricorda il ricercatore Henri Féron, Nel 2015, dei diplomatici nordcoreani erano stati accusati di traffico di alcool a Karachi, e uno dei due arrestati stava anche per inviare 1,4 milioni di dollari d’oro in Bangladesh. Siccome il commercio bilaterale e’ ufficialmente sospeso da piu’ di un anno, Pyonyang mantiene senza motivo una quindicina di diplomatici in Pakistan, senza che questo provochi sospetti da parte del ministero degli Affari Ester. I due Paesi hanno relazioni amichevoli dagli anni 70. Nel 2004, il padre della bomba pakistana, Abdul Qadeer Khan, aveva esplicitamente veduto dei segreti nucleari alla Corea del Nord.
Nonostante il diplomatico nordcoreano avesse una passione per il vino francese e il whisky scozzese, la maggior parte dell’alcool consumato in Pakistan e’ comunque prodotto in loco. La brasserie Muree, la piu’ conosciuta, e’ nel Pendjab. L’istituzione, piu’ che secolare e quotata in Borsa, impiega 2.200 persone e produce 10 milioni di litri di birra ogni anno e degli whisky invecchiati di 20 anni. Tutto destinato al mercato interno, considerato che il Pakistan non importa alcool. In buona salute, il suo settore “alcool pesante” ha ricavato 8 milioni di euro nell’anno fiscale 2015-2016. Ma nel quotidiano Dawn, a settembre scorso, il suo patron, un deputato zoroastra, deplorava la stagnazione dei guadagni dopo la crescita a due cifre negli ultimi cinque anni. Un freno che, secondo lui, sarebbe dovuto “all’arrivo sul mercato nero di 50 container ogni mese di alcool straniero di contrabbando”, e alla “concorrenza sleale della brasserie di Sindh e del Balouchistan, dopo che il governo del Pendjab aveva cominciato a prelevare un diritto doganale sugli alcolici e le birre esportate nelle altre province.
Dopobarba e torcibudella
I guadagni, legali e non, della vendita di alcool attirano le persone ad ogni livello. Alla fine del 2016, quando l’Alta Corte della provincia di Sindh ha fatto chiudere senza preavviso 120 negozi di alcool, il ministro delle Accise ha deplorato sull’Express Tribune che questa decisione avrebbe portato a far venire meno 36 milioni di euro di incassi per le finanze della provincia. Una manna generata per le tasse grazie alla vendita e al rinnovo delle licenze. Un deputato indu’ che diceva di essere favorevole al divieto, spiegava che “solo i personaggi piu’ influenti” possono procurasi dei permessi di vendita, e che era notorio ai piu’ che un ex-ministro della provincia avesse aperto una fabbrica di alcool nella periferia di Karachi. La chiusura dei negozi di alcolici e’ stata levata dopo un ricorso in appello qualche settimana dopo.
Rimane il fatto che solo quelli che provengono dalle élite sono in grado di acquistare della birra a 2,50 euro da Muree (piu’ la commissione di intermediazione) o di bersi in buona compagnia una bottiglia di whisky comprata al mercato nero a 30 euro in una camera d’albergo. Le persone piu’ ingegnose si trasmettono in famiglia delle ricette per produrre vino d’arancia nella loro cucina. In alcuni villaggi lontani, la distillazione è così ammanicata con la dogana che ci rimangono male se i loro ospiti rifiutano un bicchiere di acquavite. E se i musulmani beccati a bere rischiano, in teoria, 80 colpi di frusta, i cristiani, in genere molto poveri, pagano anche un alto prezzo per il divieto: l’anno scorso, un pranzo di Natale dove si beveva un torcibudella tagliato con un dopobarba ha ucciso 42 persone.

(articolo di Laurence Defranoux, inviato speciale a Lahore, pubblicato sul quotidiano Libération del 04/01/2018)
 
 
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